Veneto: senza autonomisti-indipendentisti ci sarebbe l’autodeterminazione

George Santayana scrittore e poeta spagnolo, rappresentante del cosiddetto realismo critico, ha scritto: «Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo.» Questa sorta di maledizione, di anatema, non dovrebbe affliggere il popolo Veneto; che, sia detto per inciso, non è solo quello rinserrato nei confini dell’attuale Regione Veneto, ente amministrativo italiano. Questo perché sono molti i cultori della storia delle genti venete, e immensa è la letteratura a disposizione che partendo dai reperti archeologici, sfocia nella sterminata produzione bibliografica politico-istituzionale. Repubblica Serenissima docet.

Certo nell’era di Internet, del “torrente informativo” e della conseguente Dizinformacja, gli strumenti di cui sopra e una certa pigrizia fanno passare in secondo piano la consapevolezza del proprio passato. Meglio ancora: qualche partitocratico Quisling sarà pronto a sproloquiare di nazionalismo. Ma secondo Ernest Renan «Ogni nazione ha un’idea di cosa la renda tale: un principio etnico, linguistico, territoriale, o qualcosa di affatto diverso, ma che funga da divisorio tra un “noi incluso” e un “altro escluso” dal circolo ristretto di coloro che legittimamente possono richiamarsi a tale segno inclusivo. Ogni intuizione o teoria sul principio di nazionalità fa accenno, implicitamente o esplicitamente, a ragioni di questo genere. Quando diciamo di essere “figli di una stessa terra” o “discendenti di uno stesso popolo” o che il nostro universo è strutturato in una certa maniera perché “parlanti di una stessa lingua”; quando questo implica l’accesso esclusivo a determinati contenuti e la legittima — e unica — via alla rappresentanza politica, all’interno dello Stato, ecco che ci richiamiamo a un princìpio di nazionalità.»

Certo è che durante il secolo appena trascorso e in quello nuovo, ci si è sforzati di distinguere questo princìpio positivo nella formazione e nel mantenimento di una cultura comune per la società civile, dal suo fratello degenerato: il nazionalismo. Quest’ultimo avrebbe un carattere maggiormente ideologico e trascenderebbe le reali esigenze politiche dello Stato-Nazione. Il princìpio di nazionalità, al contrario, ha risposto e sostiene, in maniera funzionale, l’organizzazione dell’identità culturale all’interno delle strutture dello Stato. Di quest’ultimo princìpio le genti venete ne hanno una coscienza “carsica”. Un sentimento che scorre nelle profondità dell’essere, che sarebbe pronto ad emergere, ma trova il contesto esterno interessatamente carente da parte di una classe politica che anziché essere dirigente si comporta da dominante.

Abbiamo stilato questa lunga premessa, perché avendo verificato il gradimento di buona parte dei nostri lettori per alcune nostre escursioni nella storia contemporanea, proveremo a solleticarne il favore con l’ennesima rivisitazione d’una trama che, almeno in Italia, è pressoché sconosciuta.

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Alcuni piloti francesi del NormandieNiémen”
che operarono in URSS durante la seconda guerra mondiale.

Orbene, agli inizi della seconda guerra mondiale ci fu L’Appel du 18 Juin”. Esso fu il primo discorso del generale Charles de Gaulle da Radio Londra, sulle onde della BBC, il 18 giugno 1940. Questa allocuzione rappresentava una sorta di “chiamata alle armi” con la quale De Gaulle incita a non smettere di combattere contro il Terzo Reich, e nel quale predisse una mondializzazione della guerra.

Eppure in quel 1940 De Gaulle non era molto amato dai francesi. Tra il 23 e il 25 settembre 1940 davanti al porto di Dakar nell’ambito dei più vasti eventi della campagna dell’Africa occidentale della seconda guerra mondiale, avvenne lo scontro che vide contrapposte la squadra navale dell’ammiraglio John Cunningham della Royal Navy britannica, di scorta a un corpo di spedizione di truppe britanniche e della Francia Libera agli ordini del generale Charles De Gaulle, alla guarnigione francese di Dakar e alle unità della Marine Nationale presenti in porto, fedeli al governo di Vichy.

In tale occasione (nome in codice Operazione Menace) c’era l’intento di occupare la città senza colpo ferire o al limite dopo una breve dimostrazione di forza, confidando su un presunto sostegno della popolazione locale e dei soldati della guarnigione alla causa della Francia Libera. Al contrario delle aspettative, il governatore della città Pierre François Boisson, invece, rifiutò le offerte avanzate dai gollisti e in breve tempo tra le difese a terra e le navi britanniche si scatenò un violento cannoneggiamento. Lo scontro andò avanti per diversi giorni, con un fallito sbarco dei reparti anglo-francesi e varie azioni in mare, finché alla fine la flotta attaccante rinunciò all’operazione e ripiegò su Freetown.

Fu sempre De Gaulle, comandante della resistenza francese, ad avere l’idea di inviare dei piloti francesi sul fronte russo. Il piano fu approvato dai sovietici nel novembre 1942. Ça va sans dire, è un po’ la riedizione di quello che fece il Presidente USA Franklin D. Roosevelt, con l’invio dell’American Volunteer Group al comando di Claire “faccia di cuoio” Chennault. Le famose AVG Flying Tigers che difesero la Birmania e la Cina con i loro Warhawk P-40 dal muso di squalo nei mesi iniziali della guerra del Pacifico, dal dicembre 1941 al luglio 1942.

A quel tempo l’URSS aveva bisogno di qualsiasi aiuto militare che potesse ottenere. Pertanto, i piloti stranieri erano molto importanti. C’erano poi altri due motivi che spinsero la leadership sovietica a osservare da vicino lo squadrone francese e ha portato il gruppo combattente al centro della politica internazionale. Quando Stalin sostenne l’idea di De Gaulle di creare un’unità militare francese sul fronte sovietico-tedesco, gli alleati non stavano ancora combattendo i nazisti in Europa. In quel momento essi stavano combattendo in Nord Africa, Asia e Nord Atlantico. L’URSS era sola e tentava in tutti i modi di spingere gli inglesi e gli americani a invadere il continente.

Il reparto che concretizzò questa alleanza fu lo “Squadrone della Normandia”, come fu chiamato all’inizio, e divenne operativo nel marzo del 1943, inizialmente con 14 piloti e 47 meccanici nei suoi ranghi. Più tardi, in seguito al successo nelle battaglie per la liberazione della Bielorussia e della Lituania, Joseph Stalin aggiunse “Niémen” al nome dell’unità, dopo che il fronte superò il fiume Niémen. Presto lo Squadrone si espanse e si trasformò in un reggimento.

In questo contesto, il “NormandieNiémen ha fornito una presenza visibile degli alleati sul fronte russo, affermò il rettore dell’Istituto statale per le relazioni internazionali, Anatoly Torkunov. Usando questo esempio, Mosca voleva rendere più efficace la cooperazione militare con gli Alleati.

Tuttavia, l’importanza del NormandieNiémen” per Stalin non si esaurì con queste considerazioni. Nel Regno Unito si sosteneva che “Stalin ha capito che il tandem di Londra e Washington aveva bisogno di un contrappeso”. Questo è il motivo per cui il Cremlino sostenne De Gaulle come principale rappresentante della Francia durante la guerra, mentre gli Alleati all’inizio non erano desiderosi di accettare lo status del generale. F. D. Roosevelt non sopportava De Gaulle, e a Winston Churchill faceva solo comodo per dimostrare che, insieme a tutti gli altri governi in esilio dell’Europa occupata dai nazisti, era la Gran Bretagna il baluardo delle libertà democratiche.

La storia del gruppo fu estremamente popolare in URSS, e ancora oggi in Russia. C’erano film sui piloti francesi, il primo dei quali apparve nei cinema nel 1946. Era una commedia: Troublesome Enterprise, con protagonista il futuro e famoso regista teatrale sovietico, Yury Lubimov. E un famoso cantante sovietico dedicò loro una canzone. Il film e la canzone non riapparvero per caso a Mosca nel 1966, e fu il culmine della “visita trionfante” di De Gaulle. Era il tempo del ritorno al potere del grande asparago” (nomignolo che gli fu affibbiato alla Scuola militare per la sua altezza e la fronte alta) in Francia ed entrambe le parti erano interessate allo sviluppo di legami reciproci.

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Il caccia Yakolev Yak-3, del “Normandie-Niémen”

Ma torniamo ai piloti francesi che volavano sui caccia sovietici “Yak” ed erano una formidabile unità militare, che completò oltre 5.000 missioni e abbatté almeno 273 aerei tedeschi. Comprensibilmente ha fatto infuriare i nazisti e si dice che il feldmaresciallo tedesco Wilhelm Keitel abbia emesso l’ordine: «qualsiasi pilota francese catturato dovrà essere immediatamente fucilato.»

Secondo l’Agenzia TASS, della composizione iniziale del gruppo sopravvissero solo tre piloti. Complessivamente, circa un centinaio di francesi hanno combattuto nel reggimento “NormandieNiémen”, e per loro coraggio hanno ricevuto molti onori militari sovietici. Quattro dei piloti ricevettero persino il più alto riconoscimento sovietico: “Eroe dell’Unione Sovietica”, che all’epoca era un raro onore.

Al centro della politica internazionale

A parere di alcuni storici, a guerra finita la Francia si trovò tra le potenze vincitrici e il sostegno di Stalin assicurò il posto della Francia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Infatti il presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, nel piano iniziale per il varo dell’ONU non includeva la Francia.

Dopo la sconfitta del nazismo il NormandieNiémen” rimase un simbolo importante della cooperazione sovietico-francese nonostante la guerra fredda, o forse, al contrario, a causa di essa. Il NormandieNiémen” ha ricordato che “l’URSS aveva il sostegno in una grande capitale occidentale”, sostiene Anatoly Torkunov, aggiungendo che la Francia era anche importante per l’Unione Sovietica perché il Partito Comunista Francese era il secondo più forte in Europa dopo i comunisti italiani.

Francobollo
Francobollo commemorativo del 75° anniversario.
Detto en passant. Nel 1994, l’Escadron “NormandieNiémen” ha partecipato ai bombardamenti NATO dell’Opération Crécerelle in Bosnia ed Erzegovina partendo dall’aeroporto di Istrana (TV).

I partecipanti alla conferenza organizzata dalla Russian History Society a Mosca in occasione del 75° anniversario (2018) del NormandieNiémen” hanno fatto alcuni riferimenti alla politica di De Gaulle volta a porre fine allo scontro con Mosca nell’Europa postbellica. È stato sostenuto che nell’attuale contesto politico l’opera di De Gaulle in generale, e l’esperienza del NormandieNiémen” in particolare, potrebbero essere una buona fonte di ispirazione per l’attuale generazione di leader politici.

Gli autonomisti-indipendentisti veneti

Veniamo dunque ai giorni nostri per osservare come oramai da più decenni ci sia un sentimento di autodeterminazione delle genti venete che si affida a personale politico portatore di una cultura politica diventata arcaica, ma che con la sua ostinata (e prezzolata?) riproposizione ad ogni elezione italiana nella sostanza scoraggia e scredita la realizzazione di un qualche obiettivo. Infatti, è dal 1987 che via via sono eletti Parlamentari, europarlamentari, Sindaci e Presidenti di Province e Regioni con conseguenti Consiglieri Comunali, provinciali e regionali, a cui vanno aggiunti i deferenti Peones procacciatori di voti da allocare secondo il “Manuale Cencelli”. Veri adulatori e scavezzacollo per ottenere incarichi ben remunerati in Aziende municipali, Enti, Fiere, Cciaa, Consorzi, Fondazioni e chi più ne ha più ne metta. Quanto al raggiungimento dell’autonomia, del federalismo o dell’indipendenza, risultati zero per nessuno di questi obiettivi.

Ci sono soggetti che – per usare una similitudine della seconda guerra mondiale – sono come gli aderenti alla Repubblica di Vichy. Pseudo leader che negli ultimi venti anni sono risultati rifiuti elettorali o negatori del princìpio di rappresentanza appellandosi alla mancanza di vincolo di mandato. Hanno continuato compulsivamente a creare e distruggere partiti politici dall’insignificante elaborazione politico-istituzionale, e dall’ancora minore consistenza elettorale. Molti attivisti che si sono avvicinati a questi sedicenti portabandiera se ne sono allontanati per fondare associazioni culturali o movimenti o Comitati o Fronti di liberazione anch’essi intorpiditi dall’idea che si possa democraticamente cambiare il governo con il consenso del governo. Altri annebbiati dall’idea che ‘ci sarà pure un giudice a Berlino, non si sono accorti che costui non esiste nel paese di Arlecchino e Pulcinella, come non è rintracciabile nell’UE rigurgitante di magistrature atte solo a garantire le istituzioni esistenti.

Nessuno, salvo forse una o due eccezioni, che abbia un benché minimo aggancio internazionale che serva da appoggio o da accredito, quanto da confronto e arricchimento della propria proposta politica. Per cui ritorniamo da dove siamo partiti con questa nostra disamina: il Veneto senza gli attuali autonomisti-indipendentisti – veri agenti di distrazione di massa – sarebbe costretto a elaborare un disegno strategico per l’autodeterminazione che poggiasse su una spendibile bozza di progetto politico-istituzionale che comprendesse non solo i tre poteri fondamentali dello Stato:

  1. Potere Legislativo: fare le leggi.
  2. Potere Esecutivo: farle eseguire.
  3. Potere Giudiziario: giudicare se la legge è rispettata.

Ma offrisse anche la garanzia dell’esercizio semplice e tempestivo degli strumenti di democrazia diretta: referendum (non consultivi), iniziativa popolare di leggi-delibere, e recall quale deterrenza alle devianze del potere, oltre beninteso ad una riforma della burocrazia, e ultimo ma non meno importante che prevedesse una moneta non in esercizio delle banche, ma quale supporto alla sovranità popolare. Tutto questo perché l’opinione pubblica è stanca di registrare solo parole e proclami e ritiene invece che sia il tempo di misurare l’evoluzione delle istituzioni democratiche verso processi sempre più vicini ai cittadini.

Enzo Trentin

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