La realtà è completamente diversa

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Quando un numero sempre maggiore di mezzi di comunicazione è al servizio di un centro indefinito dove si amalgamano le notizie, quando la diversità di opinioni si riduce drasticamente, quando sempre più redazioni si fondono e i giornalisti vengono licenziati, o ci sono quotidiani di provincia che dichiarano una tiratura dalle 16mila alle 19mila copie giornaliere, e tuttavia mantengono due direttori responsabili, si è portati a credere che qualcosa nell’informazione che ci viene elargita diverge dalla realtà.

In parole povere: i media mainstream soffocano nel proprio vomito. E i giornalisti sono comprati, in varie forme chiaramente documentate da Udo Ulfkotte nel libro Giornalisti Comprati (Titolo originale: Gekaufte Journalisten — Wie Politiker, Kopp Verlag, Rottenburg 2014) pubblicato in Italia da Zambon Editore, © Febbraio 2020.

E così i giornali vendono sempre meno copie, le edicole mano a mano chiudono. Questo non ha nulla a che fare con internet, come spesso viene sostenuto. Perché la gente potrebbe abbonarsi in massa alle edizioni elettroniche di questi mass-media, ma non lo fa. Semplicemente le persone comuni sono stanche della propaganda apertamente sovversiva. E sono indotte a credere che rimanga poco tempo per la ricerca del giornalismo “cane da guardia” …che sceglie il potere. Sic!

Si considerino (solo per citarne alcuni) i grandi scandali: dai Pentagon Papers originati nel giugno 1967, ma pubblicati per la prima volta sul New York Times il 13 giugno 1971 o il Watergate venuto alla luce nel 1972 o la cosiddetta pandemia da Covid-19 che inizia il 31 dicembre 2019, quando la Cina comunicava la diffusione di un “cluster”, e dove una classe politica si è già auto assolta: l’ex Ministro Speranza viene indagato per omicidio per i vaccini anti-Covid, ma il Tribunale dei ministri (in base alle norme contenute nella legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1; prevede che i ministri non siano processabili per reati ministeriali commessi nell’esercizio delle proprie funzioni, a meno che la Camera di competenza lo consenta.) archivia l’inchiesta su Giuseppe Conte e Roberto Speranza con un Il fatto non sussiste“.

Intanto l’uomo qualunque come la casalinga di Voghera non comprano più i giornali, disertano le sale cinematografiche, e stanno semplicemente staccando la spina a una propaganda senza scrupoli. Disertano in massa le urne elettorali, perché alla fin fine sono stufi di una propaganda apertamente faziosa.

Il nuovo mezzo di comunicazione principale si chiama senza dubbio Internet. Ma così come i cinema nella loro forma precedente si sono estinti a causa dei media digitali e dei negozi di dischi, allo stesso modo anche i media classici di primo piano si estingueranno. E questo non significa in alcun modo la caduta della nostra cultura. Al contrario, c’è qualcosa di positivo in questo sviluppo.

L’informazione dei principali media (non solo italiani, purtroppo) oggi è, per dirla in modo educato, disonesta. Quello che troviamo non sono altro che articoli lubrificati. Il peggior tipo di giornalismo. Bisogna prendere atto che coloro che non sono onesti non possono meritare fiducia.

Chiunque accenda la televisione e segua una storiella melensa su emittenti (specialmente pubbliche) difficilmente sospetta che anche i dialoghi possano essere stati comprati. I popolari spettacoli in prima serata con un pubblico di milioni di persone sono pagati dal cittadino attraverso le tasse obbligatorie. E poi c’è la pubblicità surrettizia a pagamento per influenzare l’opinione di milioni di persone.

Il giornalista Udo Ulfkotte, nel libro qui citato, documenta come, in passato, l’associazione della lobby dei datori di lavoro Iniziativa Nuova economia sociale di mercato ha fatto delle pubbliche relazioni segrete acquistando i dialoghi del popolare spettacolo a puntate della ARD Marienhof. Il messaggio che doveva essere ancorato nella mente degli spettatori attraverso tali dialoghi era: ‘maggiore orario di lavoro’. Il prezzo per la pubblicità occulta dei datori di lavoro in sette episodi: 58.000 euro. Anche se noi cittadini guardiamo una melensa storiella a puntate in televisione per rilassarci, siamo abilmente manipolati psicologicamente. Così è stato quando abbiamo detto addio alle monete nazionali (marco, lira, franco etc.) per adottare il devastante Euro. Ed è così che funziona ogni giorno. Siamo disinformati 24 ore su 24.

Una recente riprova?

Secondo i dati ufficiali forniti da organismi statali (dati che qualcuno a causa del conflitto d’interessi comincia a prendere con le molle) circa il 50% degli aventi diritto al voto diserta le urne.

Ecco allora che su Netflix è possibile vedere un film di recente produzione: C’è ancora domani, dove si possono passare un paio d’ora seguendo la storia di una moglie e madre poco apprezzata (e spesso picchiata) nella Roma del maggio 1946. La città è occupata, come il resto d’Italia dopo la sconfitta e le tragiche devastazioni lasciate dalla seconda guerra mondiale, dai reparti militari Alleati; inoltre è imminente il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente del 2 e 3 giugno.

Oggettivamente è un film di buona fattura. Scritto, diretto e interpretato (2023) da Paola Cortellesi, al suo esordio come regista. L’opera è stata presentata alla 18ª edizione della Festa del Cinema di Roma in concorso nella categoria “Progressive Cinema – Visioni per il mondo di domani”, ottenendo due premi, tra cui il premio speciale della giuria e una menzione speciale come miglior opera prima. È stato poi premiato come Film dell’anno ai Nastri d’argento del 2024. Insomma il potere è riconoscente.

Nella trama, la violenza e le difficoltà, come pure una corretta descrizione dell’ambiente sociale dell’epoca, sono superati quando la protagonista (di nascosto dal marito manesco) trova qualcosa che le cambierà la vita: il voto che le donne italiane eserciteranno per la prima volta il 10 marzo 1946.

Cosa abbiano cambiato 70 anni di elezione dei rappresentanti politici designati dai capi partito, è sotto gli occhi di tutti, e non serve dilungarsi. Anche l’immaginaria Casalinga di Voghera quand’anche affetta da analfabetismo funzionale e priva di senso critico se n’è oramai resa conto.

D’altra parte, negli ultimi anni non c’è praticamente elezione che non sia contestata per brogli o irregolarità. Ecco allora che in alcuni atenei dei paesi più democraticamente progrediti si studiano innovative forme di sorteggio per i pubblici amministratori. Qualcuno rammenta che Aristotele sosteneva: il sorteggio è democraticolelezione è oligarchica”. Il sorteggio dei parlamentari oggi avrebbe evidentemente tutt’altro significato, non implicando alcuna forma di rotazione nell’esercizio di funzioni di governo.

Una cosa resta da constatare: i nostri più rinomati giornalisti se ne infischiano dei cittadini. Non ascoltano l’opinione pubblica. Cercano di tappare la bocca alla gente o di ignorarla in modo politicamente corretto. Lo si può notare dalla diffusione costante di informazioni tendenziose. Sempre più persone hanno l’impressione che la loro vita, le loro impressioni, i loro atteggiamenti vengono trascurati. C’è un’élite viscida e distaccata che armeggia con il mondo come piace a lei e solo a lei. Regna solo il tono assillante, il guardare altrove e il so tutto io. Ma lo spirito dei tempi si è ormai ribaltato nella popolazione come una massa d’acqua che è rimasta ferma per troppo tempo.

Come sì volle, senza scrupoli, rendere l’euro appetibile per noi cittadini attraverso i media, con il senno di poi, è quasi impossibile comprenderlo. A quel tempo, si era anche psicologicamente abili nell’avvicinare i genitori attraverso i bambini: con i pacchetti scolastici. In Germania, l’Euro-gruppo d’azione, la Bundesbank e la Landesschulrate hanno influenzato gli alunni della terza e quarta elementare, scuole speciali e scuole per bambini con difficoltà di apprendimento. Dovettero familiarizzare con la nuova moneta tramite le piccole confezioni regalo. Un concorso doveva promuovere il desiderio di partecipare. Il materiale, progettato in modo ludico, fu distribuito anche nelle case di riposo, nei ricoveri per anziani, nei manicomi e nei rifugi per senzatetto.

Nelle intenzioni di Udo Ulfkotte, autore del libro di cui qui abbiamo riportato alcuni stringati brani, era la prima parte di tre pubblicazioni esplosive sull’industria dei media. Ma fu trovato morto nella sua abitazione il 13 gennaio 2017. https://it.wikipedia.org/wiki/Udo_Ulfkotte Alcuni hanno avanzato sospetti sulle cause della morte, anche perché il governo tedesco ha dichiarato si trattasse di infarto e senza alcuna autopsia è stato cremato, togliendo così per sempre ogni possibilità di indagini più corrette ed approfondite.

 

Mala tempora currunt

Enzo Trentin

Il nome d’arte della menzogna è propaganda

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Possiamo chiedere ai padroni di tutto, parole comprese, di tornare ai fondamenti del pensiero antico, alla lingua della libertà, al ripudio della censura?

Le parole di guerra preparano la guerra?

Pare di sì.

In molti sono convinti che l’Europa – Commissione UE e Francia in primis – vogliano la guerra!

In ciò supportati dalla penetrazione pervasiva dei mass media mainstream, che ha trasformato l’Occidente nel regno della propaganda più ignorante, becera e disonesta.

Dopo oltre 20 anni dall’adozione dell’Euro; il radicale e massiccio interventismo politico ed economico del Governo eletto da nessuno della Commissione UE a favore di alcune aree (l’Est Europa), ed alcuni settori (l’economia green e, con la guerra russo-ucraina, il settore militar-industriale), a colpi di centinaia di miliardi di sussidi, agevolazioni e finanziamenti a pioggia, indipendentemente dalle intenzioni ha condotto a risultati catastrofici, quali appunto la perdita netta di oltre il 30% della crescita, del reddito e del potere d’acquisto rispetto agli USA. [ https://comedonchisciotte.org/se-non-parte-la-protesta-popolare-leuropa-finira-distrutta-dalla-terza-guerra-mondiale/ ], portando alcuni a considerare che la terza guerra mondiale è già in atto.

L’evaporazione della democrazia che il sistema neoliberista ha prodotto principalmente grazie all’arma della TV (totalmente a disposizione del potere economico-politico), grande dispensatrice di immagini, in cui è sempre meno chiaro il confine tra vero e falso, reale e virtuale, umano e artificiale, sembra irreversibile.

Per comprendere è fondamentale l’ordine: prima si studia, quindi si elabora cognitivamente quanto studiato, e infine si parla. Oggi si è ridotto tutto alla terza fase, che senza le prime due si rivela a guisa di chiacchiericcio insignificante e ottundente. L’uomo che non pensa funziona, e sempre più noi oggi siamo ridotti ad automi che compiono le stesse cose senza pensarci su. Funzioniamo secondo un programma algoritmico ideato da qualcun altro.

È il “dramma” dell’intelligenza artificiale.

Noam Chomsky, filosofo della comunicazione, ha dichiarato che la mente umana non è un motore statistico ingombrante per la corrispondenza dei modelli, come le intelligenze artificiali, come ChatGPT che si ingozza di centinaia di terabyte di dati ed estrapola la risposta più probabile a una conversazione o la risposta più probabile a una domanda scientifica.

Sul quotidiano New York Times il filosofo Usa avverte: «Rischiamo di svilire l’etica incorporando nella tecnologia una concezione fondamentalmente errata del linguaggio e della conoscenza». E il quotidiano La Stampa riporta il prosieguo del suo pensiero: «ChatGPT e le IA non sarebbero, nel concreto, altro che un abbaglio, rispetto al quale dovremmo guardarci le spalle.»

Il filosofo, d’altronde, non è il primo a scagliarsi contro l’Intelligenza Artificiale creata da OpenIA e recentemente acquisita dal colosso dell’informatica Microsoft. Anche Henry Kissinger si è esposto denunciandone la presunta opera di distruzione dell’umanità.

Lo Stato, la sua giustizia, e la sua moralità

Pierre-Joseph Proudhon (Besançon, 1809 – Passy, 1865) è stato un filosofo, economista, sociologo, saggista, per alcuni il padre del federalismo moderno, socialista, anarchico e politico francese, scriveva:

«Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, regolamentato, schedato, registrato, indottrinato, catechizzato, controllato, esaminato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il diritto, né la saggezza, né la virtù per poterlo fare.

«Essere governato vuol dire, in ogni azione o transazione, essere annotato, catalogato, censito, iscritto, tassato, bollato, giudicato, enumerato, valutato, autorizzato, ammonito, proibito, riformato, corretto, punito. O ancora, in forza del pretesto dell’utilità pubblica, ed in nome dell’interesse generale, significa essere messo a tributo, educato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, estorto, spremuto, mistificato, derubato; in seguito, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, vuol dire essere represso, sanzionato, dileggiato, vessato, calpestato, abusato, randellato, disarmato, strangolato, imprigionato,  giudicato, condannato, fucilato, deportato, sacrificato, venduto, tradito; e per coronare il tutto, ciò postula l’essere schernito, ridicolizzato, oltraggiato, disonorato.

«Questo è lo Stato; questa la sua giustizia; questa la sua moralità.»

Forse è necessario riprendere gli studi e la pratica più genuina dell’anarchia, che in senso storico-politico è la dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e, soprattutto, l’abolizione dello Stato, da attuare eliminando o riducendo al minimo il potere centrale dell’autorità, e rendendo effettivo il controllo e la revoca (https://www.ncsl.org/elections-and-campaigns/recall-of-state-officials) sui burocrati e rappresentanti politici.

La dottrina e il movimento anarchico si svilupparono nella seconda metà del 19° secolo. Furono soprattutto guidati da Mikhail Bakunin e da Pëtr Alekseevič Kropotkin, che sostenevano un estremo decentramento dei poteri amministrativi della società, affinché i cittadini potessero organizzare da sé la proprietà e l’amministrazione dei mezzi di produzione.

Anselme Bellegarrigue, che partecipò alla Rivoluzione francese del 1848, e fu redattore di Anarchie, Journal de l’Ordre e Au fait ! Au fait ! Interprétation de l’idée démocratique, ebbe a scrivere:

«Chi dice anarchia, dice negazione del governo. Chi dice negazione del governo dice affermazione del popolo; chi dice affermazione del popolo dice libertà individuale; chi dice libertà individuale dice sovranità di ciascuno. Chi dice sovranità di ciascuno dice uguaglianza. Chi dice uguaglianza dice solidarietà o fratellanza. Chi dice fratellanza, dice ordine sociale.

«Al contrario: chi dice governo, dice negazione del popolo; chi dice negazione del popolo dice affermazione dell’autorità politica. Chi dice affermazione dell’autorità politica dice dipendenza individuale. Chi dice dipendenza individuale dice supremazia di classe. Chi dice supremazia di classe dice ineguaglianza. Chi dice ineguaglianza, dice antagonismo. Chi dice antagonismo, dice guerra civile.

Sì, l’anarchia è l’ordine, mentre il governo è la guerra civile.»

Che la soluzione rappresentata da un governo che garantisca l’esercizio di una democrazia meno incline ad una moralità deviata e sbilenca come quella offerta dall’attuale sistema dei partiti, è dimostrato – tra gli altri – dalle vicende della LN di Umberto Bossi e il M5S di Beppe Grillo.

Sono entrati nelle istituzioni che si volevano cambiare, ma come si può leggere nel romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi“.

Una parziale riprova è qui:

@claudio.messora

Mentre i giornali parlano di Putin, qui sta arrivando il Green Pass globale. A maggio l’OMS lo mette alla firma, mentre in Italia il Governo ha sfornato un decreto legge che finanzia la piattaforma. Poi, dopo averla finanziata, dice che proporrà un emendamento in Parlamento per rimuovere il finanziamento, ma bisogna vedere se il Parlamento lo voterà, questo emendamento. E per il Trattato Pandemico, aspetteremo maggio per vedere se è vero che l’Italia a Ginevra non lo voterà. Ricordo che il Governo non è stato neppure in grado di controllare il nostro rappresentante ONU in occasione della mancata firma alla risoluzione su Gaza.

♬ suono originale – Claudio Messora

con la vicenda del green pass conseguente alla pandemia da Covid-19, e con quanto previsto dal Decreto Legge 2 marzo 2024, n. 19 (Art. 43 Interoperabilità delle certificazioni sanitarie digitali – https://i2.res.24o.it/pdf2010/S24/Documenti/2024/03/05/AllegatiPDF/Dl_19_24.pdf ) che ha appena finanziato la piattaforma nazionale che emette il green pass, all’apposito scopo di interfacciarsi con la rete globale di certificazione sanitaria digitale dell’OMS.

Ha un bel scrivere Ernst Jünger (“Trattato del ribelle” – Adelphi, 1952): «Questi Stati armati fino ai denti, che si vantano di possedere il monopolio del potere, e al tempo stesso appaiono tanto vulnerabili, offrono davvero uno strano spettacolo. La cura e l’attenzione che devono dedicare alle forze di polizia minano la loro politica estera. La polizia erode il bilancio dell’esercito, e non quello soltanto. Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono a un pastore per le sue greggi. Ma le cose stanno diversamente, poiché tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto quegli esseri sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. È questo l’incubo dei potenti.»

Ma appunto dove sono le tattiche di coloro che non vogliono la guerra? Di quelli che desiderano una democrazia compiuta: dal greco antico démos, “popolo” e krátos, “potere”, che etimologicamente significa governo del popolo“?

Sarà il nostro strabismo politico o saranno altri scompensi da attempati ma, sinora, più che i lupi descritti da Ernst Jünger, abbiamo visto sciacalli.

Enzo Trentin

la realtà è una bugia che qualcuno ha inventato

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di Camilla Badoer  Noi per lo più nella vita ci sentiamo smarriti. Diciamo: «Ti prego, Dio, dicci che cos’è giusto, dicci che cos’è vero.» E non esiste giustizia. Il ricco vince e il povero è impotente. Ci sentiamo stanchi di sentire le menzogne della gente. E con il tempo diventiamo morti… un po’ morti, considerando noi stessi come vittime. E ci diventiamo vittime. Diventiamo deboli. Dubitiamo di noi, di ogni nostro princìpio. Dubitiamo delle nostre istituzioni. E dubitiamo della legge.

Stiamo vivendo immersi in un mondo di tatuati, smartphone dipendenti. Apparentemente insensibili alla violenza criminale delle baby gang che oramai infestano anche le nostre città. Della criminalità delle mafie. Della criminalità sociale di certa politica affaristica, e nella propaganda mascherata da informazione.

Quando si dedicano tutte le nostre forze a cercare di far capire l’inganno a chi lo ignora, e di contro non si ottengono risultati; è chiaro che la rassegnazione prende il sopravvento. Ed è proprio sulla nostra rassegnazione che il “Vero Potere” gioca costantemente tutte le fiches a sua disposizione per essere sicuro di incassare il piatto, consistente nel perenne mantenimento del controllo delle nostre vite.

L’uomo qualunque è “bombardato” dalla cronaca nera, dai gossip, dal chiacchiericcio da talk show, dalla propaganda politica, e da una enormità di altra spazzatura mediatica, non ha niente. Ha smarrito anche sé stesso.

Imbambolato dai mezzi d’informazione la cui governance è gestita dal potere economico-politico, e che come consumatore non può controllare, è inconsapevolmente prigioniero dell’effetto Werther.

Un fenomeno che ha una interessante e storia lunga. Alla sua pubblicazione (1774) il romanzo di Goethe narra I dolori del giovane Werther, e il suo suicidio, ebbe una risonanza enorme: non solo assicurò al suo autore una fama immediata, ma suscitò un’ondata di suicidi emulativi in tutta Europa. L’effetto fu così potente che in diversi paesi le autorità vietarono la circolazione del libro. Si poté assistere a un fenomeno analogo in Italia dopo la pubblicazione nel 1802 del romanzo di Ugo Foscolo Ultime lettere di Jacopo Ortis.

La definizione di effetto Werther si deve a David Phillips, un sociologo dell’Università della California, a San Diego. Nel 1983 ha ricevuto lo Shneidman Award dall’American Association of Suicidology per il suo lavoro sul suicidio. I meccanismi psicologici di tale effetto sembra rimbalzino anche su molti altri comportamenti umani.

Si tenga presente che come in qualsiasi sistema totalitario, e la censura fascista, anche il sistema democratico rappresentativo suggerisce di comporre i giornali con una più ampia attenzione alla cronaca nei momenti politicamente più delicati, in modo da distrarre l’opinione pubblica dai problemi del governo. La stampa creava allora come oggi dei “mostri” o si concentrava su figure terrorizzanti (assassini, serial killer, terroristi, pedofili, mafiosi, etc.).

Sulla moralità e sull’etica dei politici e dei governanti, il San Francisco Chronicle, 28 ottobre 1982, p. 12, ci offre uno spaccato. Richard Nixon negava di aver mentito ma riconosceva che, come altri uomini politici, aveva dissimulato. È una pratica necessaria per ottenere e mantenere cariche pubbliche, spiegava: «Non puoi dire quello che pensi di questo o quell’individuo perché può capitare che ti debba servire di lui… non puoi dichiarare le tue opinioni sui leader mondiali perché può capitarti di dover trattare con loro in futuro.»

In passato, quando necessario, veniva evidenziata l’immagine di uno Stato sicuro e ordinato, dove la polizia era in grado di catturare tutti i criminali e, come vuole il luogo comune, i treni erano sempre in orario. Tutte queste manovre oggi non funzionano più; la realtà è sotto gli occhi di tutti e si dice che il minimo battito d’ali sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo.

Quindi all’effetto Werter andrebbe contrapposto l’effetto Papageno, in cui la notizia di una persona che rinuncia agli istinti suicidi provoca una emulazione positiva della notizia portando le altre persone con detta propensione a scegliere la vita invece che il suicidio.

Un bell’esempio (che peraltro raramente appare nella informazione mainstream) potrebbe essere l’articolo di Valeria Randone sul quotidiano La Stampa del 7 febbraio 2024.

Valeria Randone, psicologa e sessuologa clinica a Catania, Milano e on line, ci racconta l’incontro con la signora, che resta anonima, e il suo cane Billy, che contiene una storia dura e insieme di una tenerezza infinita.

È arrivata a Milano di mattina presto. Sente molto freddo, “un freddo che in Sicilia non abbiamo nemmeno a dicembre”, e si incammina verso l’uscita della stazione, quando il suo sguardo “viene letteralmente catturato da una mano intrecciata a una zampa”. Allora rallenta e guarda meglio, ma sempre in modo da non mettere in imbarazzo la signora, finché si ferma per mettere accanto al “suo cartone-materasso la colazione che le ha regalato Trenitalia”.

E poi prosegue. Ma all’improvviso una voce ancora assonnata la chiama e la ringrazia, e allora Valeria torna sui suoi passi “con in mente e nel cuore l’immagine della zampa nella mano e la mano nella zampa” e vede sbucare dalla coperta due occhi scuri e penetranti. Che sono quelli del cane che “sembrava aver capito che mi ero fermata per lui”. Il cane comincia a stiracchiarsi “come se volesse danzare verso di me”.

Valeria lo percepisce come “un cane sobrio, abituato agli estranei e alla sofferenza”, un cane che non scodinzola con la coda, ma lo fa con lo sguardo. Un cane che riesce a scrutare la donna estranea “fino in fondo al cuore”, la odora a distanza come per capire se può fidarsi di lei, e infine si mette seduto “pronto per la sua colazione”.

Nel frattempo, anche la sua amica umana si è tirata su, apre la scatola rossa che Valeria le ha dato, apre le confezioni e le divide col suo amico a quattro zampe; un boccone lei e uno lui, e “inizia a raccontarsi”.

Pochi minuti, ma fra le due donne si intreccia un dialogo intenso e profondo.

La signora senza tetto aveva un famiglia molto amata, che la guerra ha spazzato via. Aveva un casa costruita col lavoro e tanti sacrifici, ma anch’essa non c’è più. “Adesso non ha niente. Ha smarrito anche se stessa”.

Arrivata a Milano aveva deciso di togliersi la vita. Sopravvivere alla sua famiglia la sentiva come una punizione tremenda, insopportabile. Presa la decisione, mentre cercava il coraggio per metterla in pratica, “la signora in fuga dalla guerra e dal dolore ha incontrato Billy, un senza tetto come lei. Un randagio, suo malgrado, bistrattato dalla vita”.

Lui era tutto sporco e tanto affamato, avendo addosso “tutta la sua storia di incuria e abbandono”.

È stato un istante – “la signora senza tetto non ha sentito più il suo dolore e ha sentito solo quello di Billy. Quel cane aveva bisogno di lei, e lei di lui. Lo ha sfamato, pulito, e adottato”.


Anzi, si sono adottati a vicenda e da quel momento – così si conclude l’articolo –  “camminano  l’uno a fianco dell’altra, senza separarsi mai più nemmeno per un istante”.

A noi uomini qualunque potrebbe quindi essere sufficiente abbandonare l’informazione spazzatura e la propaganda politica, privilegiando e stimolando ogni comunicazione positiva.

Si consideri che nell’attuale mondo distopico anche Niccolò Machiavelli viene spesso citato a sproposito: “il fine giustifica i mezzi” (del Principe. Ndr). In realtà l’Etica di Machiavelli traspare in molti punti delle sue opere: «la moltitudine è più savia e più costante che uno principe […], non senza ragione si assomiglia la voce di un popolo a quella di Dio.» E più avanti afferma «Sono migliori i governi de’ popoli che quegli de’ principi.» E qui, come si vede, emergere anche la dimensione repubblicana del Machiavelli.

Si badi che nella religione cristiana si dice: agisci come se avessi fede. E la fede ti sarà data. Se dobbiamo avere fede nella giustizia ci basta solo di credere in noi stessi, e agire con giustizia, poiché la giustizia è nei nostri cuori.

È una fervente preghiera. Una spaventata preghiera.

Democrazia e tirannia – Cencio dice male di straccio

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Gli storici del futuro, posto che ne trovino l’interesse, si chiederanno come l’archetipo delle città splendenti della penisola italiana di un tempo si sia trasformato in quel motel per scarafaggi che il nostro Paese è diventato alle soglie del 2024 d.C.

S’intende che i tempi sono cambiati: chi sceglie i “democratici rappresentanti” è circa il 50%. A volte meno: Il 22 ottobre 2023 gli elettori che si sono recati ai seggi aperti nei Comuni del collegio MonzaBrianza per le suppletive del Senato erano esattamente il 19,23% degli aventi diritto.

Tali storici saranno stupidamente disorientati dal come ai nostri giorni è predominante la «politique d’abord»? Capiranno, per caso, le conseguenze di questa espressione di Charles Maurras (1868-1952) che afferma il primato della politica nella risoluzione dei problemi sociali, economici e morali che il paese di Arlecchino e Pulcinella sta, e deve affrontare?

Tuttavia ciò che è più nauseante sono quelle istituzioni che sono guidate da una congrega di partiti persi nel loro fallimento etico-morale, nei loro malumori, nei loro odi meschini, nelle loro bugie compulsive, nella loro fraudolenza, nella loro venalità, nella loro cupidigia, e nella loro totale mancanza di limiti.

Stanno distruggendo il Paese di proposito, e in ciò sono agevolati da soggetti che pretendono di fare informazione; ma nel caso della RAI-radiotelevisione italiana, hanno disatteso quanto deliberato dal cosiddetto popolo sovrano mediante un referendum del lontano 1995.

C’è poi una stampa mainstream nella disponibilità di potentati economici, che per sovrammercato è finanziata con soldi pubblici. In totale i soldi distribuiti dallo Stato per il 2021 (in spregio al referendum dell’11-12 giugno 1978) [ https://pagellapolitica.it/articoli/classifica-contributi-pubblici-giornali-2021 ]. hanno superato i 30 milioni di euro, di cui quasi 18 milioni sono andati ai primi tre quotidiani e periodici in graduatoria

Tuttavia questo comparto è sempre più carente di lettori, e (come riprova) la professione dell’edicolante non è più sufficiente a mantenere una famiglia. Risulta che in 4 anni in Italia hanno chiuso 2.700 edicole. A fine settembre 2023, il Paese ne contava circa 13.500.

Quanto ai giornalisti nelle vesti di “cani da guardia del potere”, si tratta perlopiù di una fanfaluca. E i politici loro interlocutori prediligono i professionisti della genuflessione.

Tutta gente più o meno consapevole di praticare il gaslighting o in italiano: la manipolazione psicologica maligna. Un modo violento e subdolo nel quale vengono presentate al lettore-spettatore false informazioni con l’intento di farlo dubitare della sua stessa memoria e percezione. Può anche essere semplicemente il negare da parte di chi ha commesso qualcosa che gli episodi siano mai accaduti, o potrebbe essere la messa in scena di eventi bizzarri con l’intento di disorientare le vittime.

Un capitolo a parte meriterebbero i burocrati. Non solo gente che nessuno elegge, ma che praticamente nessuno può licenziare. I sindacati hanno lavorato per non applicare il recall che, in qualche forma, è pur previsto dalla Carta Europea delle Autonomie Locali, in essere dal 15 ottobre 1985. Non pochi funzionari pubblici dovrebbero finire nei tribunali e, con un’adeguata ed equa sentenza, essere sbattuti in prigione.

Il burocrate non è soltanto un impiegato statale. In un regime democratico, egli è allo stesso tempo un elettore e, come tale, partecipe della sovranità dello Stato, suo datore di lavoro. Il funzionario si trova in una posizione particolare: egli è insieme datore di lavoro e lavoratore. E il suo interesse pecuniario di dipendente sopravanza il suo interesse di padrone, dato che egli trae dai fondi pubblici molto più di quanto a essi non contribuisca.

Come osserva Ludwig von Mises (1944, Yale University Press): «Tale doppia relazione diventa più importante nella misura in cui aumenta il numero delle persone sul libro paga dello Stato. Il burocrate, come elettore, è più desideroso di ottenere un aumento che di mantenere il bilancio in pareggio. La sua maggiore preoccupazione è ingrossare il libro paga. Costoro se ne infischiavano delle questioni “ideali” quali la libertà, la giustizia, il primato della legge e il buon governo. Essi chiedono più denaro; e questo è tutto. Nessun candidato al Parlamento, ai Consigli provinciali e comunali può correre il rischio di opporsi all’appetito dei pubblici impiegati, avidi di aumenti. I vari partiti politici sono ansiosi di superarsi l’un l’altro in prodigalità.»

Ci si può legittimamente chiedere: avremo una tirannia tecnologica dell’élite che opprime i servi mangia-insetti, secondo gli obiettivi proclamati dal WEF? Una guerra di tutti contro tutti (o forse solo di alcuni contro alcuni)? O solo un altro po’ dello stesso stancante, inconcludente, morboso e grottesco giacobinismo post-moderno? In un Paese cloaca possiamo solo assicurarci che non venga tirato lo sciacquone?

Il primo dovere di qualsiasi governo è quello di difendere il territorio sovrano del Paese. Eppure stiamo consentendo a sempre più stranieri illegali di attraversare ogni giorno il confini terrestri e marittimi. La maggior parte di questi personaggi sono uomini in età militare, il 90% dei quali proviene da luoghi diversi e da terre musulmane ostili. Non ci preoccupiamo più di controllarli. Ci limitiamo a dare loro cellulari, e denaro da portare a spasso… dove vogliono.

Chi cerca di scrivere cose di buon senso è sanzionato, deriso, insultato, trasferito come l’autore del libro “Il mondo al contrario”. Cosa pensiamo possa succedere in una situazione del genere?

Il quadro energetico

Il petrolio è ancora molto importante. Tuttavia, grazie alle genialate USA di Joe Biden & Neoconservatism [ https://www.ieri.be/en/publications/wp/2021/mai/joe-biden-and-neoconservatism ] abbiamo subito la disattivazione fraudolenta dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, e mentre la Germania è ricorsa al rilancio della produzione di carbone per l’elettricità, dimostrando che la grande iniziativa tedesca per l’energia eolica e solare è fallita. Al “Belpaese” sono rimaste le “pezze al culo”.

I crimini ideologici

Attualmente esiste un problema di corruzione politica, di erosione o crisi del modello democratico [ https://www.raiplay.it/video/2024/01/Cosa-vedrete-domenica-14-gennaio—Report-07012024-ec510127-9c42-43c9-9aaf-5e19a3c7f641.html ], e di inefficienza dei funzionari pubblici, oltre al crescente desiderio di migliorare la qualità della vita e le aspirazioni (desideri, ambizioni) dei singoli cittadini.

A Bolzano centinaia di persone della provincia hanno firmato un appello ai neo eletti membri del Consiglio provinciale, invitandoli a intraprendere una nuova strada di cooperazione tra tutti i partiti nella formazione del governo e nei lavori del Consiglio.

Tutto ciò è possibile solo con una composizione del nuovo governo provinciale in cui siano rappresentate tutte le forze politiche più votate, con maggioranze variabili in Consiglio a seconda delle questioni da risolvere. Senza faziosità, senza giochi di potere improduttivi e con forme e sistemi di partecipazione democratica diretta del popolo sovrano ben regolate e realmente funzionanti. Tuttavia sino al momento in cui scriviamo sembra che la Südtiroler Volkspartei, partito egemone a quelle latitudini, faccia orecchie da mercante.

Per concludere

È in corso un nuovo prestabilito gioco dei quattro cantoni con il petrolio, e l’Europa non riesce a trovare un posto dove parcheggiare il suo vecchio e triste deretano. Gli schemi energetici “Green New Deal”, come le politiche stanno trasformando Eurolandia in una topaia neo-medievale.

Il petrolio è ancora molto importante. È il motore di ogni aspetto della nostra cosiddetta economia avanzata. Abbiamo fatto finta che fosse possibile abbandonare facilmente il petrolio per passare alle energie alternative e questa fantasia si sta ora dissolvendo.

Non crollerà tutto in una volta, e stiamo già assistendo al lento decadimento di molte linee di approvvigionamento e servizi che tutti noi prima davamo per scontati, come ottenere un certo pezzo di ricambio per l’auto, o una visita medica in meno di due mesi, o un volo aereo che non sia una specie di trauma esistenziale. La finanza governata dalla “Bidenomics” sembra essersi sganciata con successo dalle attività concrete della vita quotidiana. E noi viviamo in un Paese di selvaggi tatuati che hanno imparato a detestare le istituzioni, i loro rappresentanti e i loro clientes. Il che ci porta ad una conclusione infelice.

Politici e burocrati vanno rinnovati

Tutte le forme di protesta si presentano come un ritorno alla democrazia, ovvero come una reazione alla degenerazione della democrazia (a causa della partitocrazia, della corruzione, etc.): queste reazioni sono comprensibili se coincidono con una situazione di crisi economica e sociale che necessita di una valvola di sfogo. Ma celano una fondamentale verità della forma democratica, ovvero che la democrazia richiede, da coloro che la “esercitano”, delle qualità “spirituali” che la rendono diversa dalla “tirannia del popolo”.

La fascinazione è la madre della tirannide

I politici sono maestri nel dirci quello che vogliamo sentire. Essi ci portano verso un’isola felice dove ogni pena troverà il proprio riscatto, e la parte migliore di noi si realizzerà pienamente. Ci infiammano, ci convincono e ci conducono per mano in questo luogo incantato perché essi hanno capito a fondo i nostri bisogni e le nostre necessità. Si chiamino: Mussolini, Bossi, Grillo… o vattelapesca.

La democrazia, invece, è parte di un eco-sistema di concetti: potere, popolo, individualismo, diritti, doveri, contrattualismo, libertà, pace, istituzioni, non-violenza, giustizia, eguaglianza, pluralismo, relativismo dei valori, che contribuiscono a qualificarla. Ciò riguarda le premesse, le condizioni, i valori, gli ideali, le istituzioni, le tecniche, le finalità, della democrazia stessa come insieme di regole (primarie e fondamentali) che stabiliscono chi è autorizzato a prendere decisioni collettive, e con quali procedure.

Il “cosa” venga deciso, non appartiene, né può appartenere al concetto di democrazia. Le decisioni devono essere prese da «un numero molto alto di membri del gruppo» con la regola di maggioranza. Devono esserci alternative reali tra cui i cittadini possano scegliere. Sono presupposti i diritti di libertà propri dello Stato. Mentre il problema oggi è che la partitocrazia da’ l’impressione d’essere una banda di anime perdute che hanno svenduto il loro Paese e la loro cultura, sottraendo a tutti noi qualcosa di prezioso che sarà molto difficile recuperare. Saremo fortunati se non ci sarà uno spargimento di sangue. Le elezioni quindi dovrebbero essere sostituite dal ballottaggio.

Il primo scopo del ballottaggio è quello di proteggere la società dagli incantatori. Il demagogo, ossia colui che guida il popolo è privato fin da subito di un uditorio da affascinare.

Il Ballottaggio con alla base una nuova struttura (telematica?) tutta da programmare, dove non esiste un’aula o un uditorio per oratori che infiammano gli animi e che sobillano le fazioni. Una piattaforma dove i rappresentanti delle istituzioni operano per il bene dei cittadini consultandoli su ogni decisione dirimente.

Nicolas de Condorcet [1743-1794. Filosofo, matematico, enciclopedista, https://www.academie-francaise.fr/les-immortels/jean-antoine-nicolas-de-caritat-marquis-de-condorcet ] sosteneva: «A prima vista il ballottaggio o più semplicemente il sorteggio può sembrare complicato. invece è straordinariamente semplice, elementare e rapido. Era sicuramente utile e necessario ad assicurare secoli di continua stabilità dell’ordine politico. La preveggenza dei veneziani è sorprendente, poiché è precedente di oltre cinque secoli…»

Al contrario sembriamo soffrire di un inequivocabile declino mentale. Se non prendiamo atto di ciò è impossibile comprendere il motivo che spinge oggi i funzionari europei a permettere l’invasione del continente da parte di milioni di persone chiaramente antagoniste della cultura europea. I governi di Eurolandia, compreso il blocco amministrativo non eletto dell’UE, stanno intraprendendo un’azione dopo l’altra per reprimere il malcontento dei loro amministrati: museruola nei mass-media, minacce di bandire i partiti politici, sorveglianza profonda. Le loro iniziative per l’energia verde sono un fallimento comprovato, e le loro prospettive per qualsiasi tipo di energia affidabile in futuro si fanno sempre più flebili.

Non funzionerà. Questa dirigenza dovrà rispondere anche della militarizzazione della legge, dell’umiliante sconfitta del mal concepito progetto dell’Ucraina, dell’invasione di milioni di stranieri illegali, dell’economia in frantumi, della crisi demografica, e dei postumi del criminale programma di vaccini.

C’è chi prevede che nel 2024 [ https://www.lewrockwell.com/2023/12/james-howard-kunstler/do-you-dare-even-look-forecast-2024/ ] la popolazione europea esploderà violentemente contro i propri governi. Alcuni saranno rovesciati da rivolte di piazza, altri saranno cacciati. Nel 2024, l’Unione Europea perderà tutto il suo sostegno, e crollerà quando le prime nazioni si auto-elimineranno.

Anche l’economista britannico Andrew Caplin [dottorato di ricerca 1983, Università di Yale, ttps://en.wikipedia.org/wiki/Andrew_Caplin ] sostiene qualcosa a proposito del ballottaggio: «Quei vecchi parrucconi del maggior consiglio (l’età minima era di 30 anni) mandavano fuori uno di loro a cercare un bambino per fargli estrarre a sorte i nomi dei prescelti. Un ringiovanimento simbolico che mostra il grado di diffidenza reciproca. Verso la fine dell’algoritmo celebravano una santa messa. Come dire: ora siete di fronte alla vostra coscienza ed al giudizio di Dio. Oggi senza Dio ci possono essere tante morali, ognuno è libero di creare la propria.

«Venezia non fu mai preda di grandi slanci giovanili, non ebbe eccelsi statisti o grandi condottieri come Federico Il, Pietro il Grande o Napoleone. Si resse a lungo grazie al buon uso della mediocrità delle sue istituzioni che impedivano a chiunque: stupidi o lestofanti di fare troppi danni e per troppo tempo. Alla fine la mediocrità batte il genio ed il commercio batte la gloria.»

Enzo Trentin

Siamo stati voluti da altri

In evidenza

Gli ultimi 162 anni di storia italiana sono la palese dimostrazione che il Regno prima, e la Repubblica italiana dopo, furono voluti da altri: inglesi e francesi in particolare.

Questa presa di coscienza non sempre è patrimonio dell’opinione pubblica, tanto assordante è stata la pelosa propaganda di Casa Savoia all’inizio, e poi dei partiti politici conseguenti alla resistenza. All’incirca negli ultimi quaranta anni è semmai un patrimonio intellettuale di frange politiche che via via si sono auto-qualificate federaliste, autonomiste, indipendentiste.

Tutte persone in perfetta buona fede. Con l’eccezione di alcuni disinvolti tamburmaggiore alla testa di cortei di torti e di ingiustizie. Politicanti che hanno convinto la buona gente a votarli per entrare nelle istituzioni democratiche con l’obbiettivo (mai neppure sfiorato) di renderle autenticamente “governo del popolo“, ovvero la forma di governo e valori sociali in cui la sovranità è esercitata direttamente dall’insieme dei cittadini che ricorrono a strumenti di consultazione popolare come: istanze, petizioni, leggi e deliberazioni d’iniziativa popolare, referendum, recall, votazioni, ed altro ancora.

Insomma non siamo una “nazione“. Non lo siamo mai stati.

Come diceva sempre il filosofo liberale Piero Gobetti: «gli italiani restavano un popolo di sbandati che non sono ancora una nazione.» Nella realtà siamo popoli diversi, con distinte culture e tradizioni, messi insieme con la sciabola. Dove le guerre e i molti tradimenti perpetrati dalle élite sono stati pagati con il sangue dei soldati italiani che ha sempre dovuto lavare inadeguatezze e cialtronerie impensabili per l’«uomo qualunque». Siamo mantenuti coesi dall’assenza di un autentico esercizio della democrazia, e da poteri che si trovano altrove: Washington, Bruxelles/Strasburgo, Londra, in primis.

L’elettore è un soggetto in via d’estinzione considerata l’oramai scarsa affluenza alle urne. I partiti vivono in campagna elettorale permanente, e potendo contare su aficionados e “usufruidores non paiono interessati alla consistenza di coloro che con il voto legittimano la loro esistenza e la loro “occupazione” delle istituzioni.

Prossimamente ci sarà la decima elezione diretta del Parlamento Europeo, che si terrà in una data compresa tra il 6 e il 9 giugno 2024. Tuttavia Mario Draghi & Co. (nessuno eletto dai popoli europei) molto probabilmente riusciranno a fare lo Stato Europeo. Una prospettiva, tanto allarmante quanto realistica.

Oltre a questa elezione, nel 2024 si svolgeranno quelle regionali in Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria, mentre in 3.700 Comuni (su circa 8 mila totali) si eleggeranno Sindaci e Consigli comunali.

Ma nella maggioranza c’è il gelo

Il “Governatore” Zaia, mal sopporta l’uscita del segretario di F.I. di fissare il limite a due mandati consecutivi, e rinfaccia a chi non è d’accordo con lui, che il limite deve valer anche per i parlamentari.

Oramai non passa settimana che Flavio Tosi, coordinatore veneto di Forza Italia, attacchi Luca Zaia, come accadde a lungo tra 2010 e 2015 quando entrambi erano leader della Lega. Spesso Tosi punta l’indice sulla gestione della sanità in Veneto, e va a recuperare il video di una trasmissione su Rete4 del 2016: «Nessuno dice – sono le parole di Zaia nel video diffuso da Tosi – che il Veneto su mia volontà è stato introdotto anche nello statuto il blocco dei due mandati. Uno fa due mandati e poi va a casa. Penso che sia un bel segnale.» Ma Zaia con le ultime dichiarazioni sembra ripensarci: «Perché vale solo per sindaci e governatori? […] Mi chiedo come mai non si propone mai il blocco dei mandati ai parlamentari.»

Battibecchi tra smemorati, considerato che un video (del 2016) riguarda Flavio Tosi allora Sindaco di Verona ormai in scadenza di mandato che, interpellato da “Un giorno da Pecora”: confermava il suo favore all’eventuale terzo mandato ai Sindaci

Queste baruffe chiozzotte (che si svolgono anche altrove) hanno ammorbato tutti coloro che credono in buona fede alla fanfaluca del diritto-dovere al voto, e alimentano semmai l’animosità di quei “Clientes” che parassitariamente vivono di politica e non per l’agone civico. A ben riflettere gli unici (unitamente alle sempre più rare persone in buona fede) che trovano conveniente recarsi alle urne.

Di converso, chi si dice impegnato o cerca di fare politica al di fuori dei partiti politici tradizionali sembra non mettere sufficientemente a fuoco alcuni dati importanti:

1 – Le varie forme della manifestazione della crisi della democrazia sono rappresentate dalla “anti-politica”, dal populismo classico, dalla democrazia interattiva via internet, dall’odio contro la “Casta”, e così via. Sono tutte forme di protesta che si presentano come una volontà di autentica democrazia; ovvero come una reazione alla degenerazione della partitocrazia, della corruzione, eccetera. Non bastasse il Nobel F. A. Hayek in un discorso del 1976 osservò: «La parola magica democrazia è diventata così potente che tutte le precedenti limitazioni del potere statale stanno crollando di fronte ad essa. È la democrazia senza limiti, non la democrazia in sé, ad essere il problema oggi.»

Queste reazioni sono comprensibili laddove coincidono con una situazione di crisi economica e sociale che necessita di una valvola di sfogo. Ma celano una fondamentale verità della forma democratica; vale a dire che la democrazia richiede, da coloro che la “esercitano”, delle qualità “spirituali” che la rendono diversa dalla “tirannia del popolo”. Un insegnamento spesso dimenticato perché impossibile da “vendere” alla clientela politica del mondo post-ideologico.

2 – Il sorteggio al posto delle elezioni. In questa sede, come altrove, l’argomento è ampiamente trattato. [https://blogdiet.wordpress.com/2023/11/23/perche-non-sorteggiare-una-classe-dirigente/ ] Basti ricordare che nell’Atene del V secolo a.C. non solo tutti i cittadini liberi maschi potevano votare, ma che i candidati godevano di indennità che assicuravano un compenso a chi svolgeva attività pubblica, in modo che non fossero solo i ricchi a poter essere eletti. Non solo: il sorteggio alla base della scelta dei candidati metteva al riparo da tentativi di corruzione e di “acquisto” dei voti. Il mandato poi era molto breve, per assicurare un continuo ricambio, e alcune cariche potevano essere ricoperte solo due volte, con l’intervallo di un anno. Inoltre a fine incarico i politici venivano sottoposti a una verifica che ne valutava l’operato.

3 – Bisogna anche prendere atto che le rare unificazioni politiche si fanno quasi sempre a fronte di un rischio esistenziale, perché si deve rispondere, aggregandosi, a una minaccia: ci si unifica contro un nemico da cui sarebbe impossibile difendersi in ordine sparso. E non può esserci vera autodeterminazione che per uno Stato, o una federazione, abbastanza forte da respingere con le proprie forze tutti i tentativi di conquista allogena.

Checché se ne creda, le classi dirigenti, (anche quelle europee) vivono alla giornata, pianificano ben poco, si limitano a reagire agli eventi man mano che si presentano. Eppure ci sono davvero momenti in cui servirebbe un piano B.

Attualmente la maggioranza in Parlamento italiano accampa meriti di una legge di Bilancio per il 2024 attraverso una manovra di circa 24 miliardi di €uroMa glissa con fare codico sul costo annuale del debito in Italia che ammonta a circa 75 miliardi di euro quest’anno, rispetto ai 57,3 miliardi di €uro del 2020; come affermato da una società di rating in un rapporto preannunciato da Bloomberg. [ https://www.money.it/per-l-italia-il-debito-sara-sempre-piu-costoso-la-stima-che-allarma ] Il conteggio potrebbe raggiungere tra i 90 e i 100 miliardi di €uro entro il 2026.

In conclusione nessuno dovrebbe entrare in un’ottica di indipendenza senza obiettivi realistici, una strategia per raggiungerli e un piano per ottenerli. Alla fin fine, l’autodeterminazione si ottiene con appoggi internazionali, non con la propaganda ispirata e diretta a rafforzare un pio desiderio.

Il cittadino deve anche essere modellato secondo la forma di governo sotto cui vive. Ci saranno sempre delle differenze a seconda che l’area geografica sia governata in forma oligarchica o democratica. Ma lo scopo dell’educazione civica è la «virtù», non l’utilità. E ciò che Aristotele intende per «virtù», ce lo ha detto nell’Etica.

Un nuovo soggetto statuale dovrebbe generare uomini e donne colti, che uniscano alla mentalità aristocratica (dal greco àristos: “migliore“) l’amore per le scienze e per le arti, non la competizione tra la massa della popolazione, e i benestanti.

Enzo Trentin

La falsificazione sistematica

In evidenza

di Camilla Badoer Per definizione, la democrazia dà al popolo la possibilità di decidere il suo governo e il suo futuro. Nelle democrazie rappresentative, significa che gli elettori possono scegliere chi li rappresenta, ma viene meno il principale requisito della democrazia.

Infatti, ecco quindi che viviamo:

  • in un paese che deve schierare il suo esercito per difendere le città: “Operazione Strade sicure”.
  • Un paese che ha sacrificato l’idea del bene comune: esiste solo il bene dei partiti politici che pretendono non già un ordinamento federale, ma una “Repubblica unica e indivisibile”.
  • Un paese in cui si constata che il multiculturalismo ha fallito, e che le comunità sono diventate vulnerabili.
  • Un paese in cui circa il 60% della popolazione ha la fortuna di avere 10 euro a disposizione alla fine del mese, e in cui otto milioni di persone (cioè una persona in età lavorativa su quattro) sono senza lavoro, sottoccupate o con un lavoro precario.
  • Un paese in cui la produzione industriale è in regressione anche per merito di guerre a cui partecipiamo senza averle volute. Imposte da altri come i prezzi dell’energia volutamente distorti da altri, e giustificati da un’informazione palesemente distorta e bugiarda.
  • Un paese in cui i posti di lavoro, le imprese e i servizi pubblici stanno scomparendo, e dove ogni giorno, qualcuno si toglie la vita.
  • Un paese dove la cura del territorio e del patrimonio artistico-culturale sono praticamente inesistenti.
  • Un paese in cui le classi superiori risiedono in abitati simili a cittadelle, che sono diventate bolle di pensiero soggette a un totale conformismo intellettuale.
  • Un paese in cui la classe dominante considera illegittima l’opinione della maggioranza.
  • Un paese le cui brillanti élite sembrano sempre sapere cosa è meglio per gli ordini inferiori, ma non sanno nulla di quanto radicalmente le loro vite siano cambiate.
  • Un paese che si dichiara democratico, ed ignora che in democrazia l’intervento dei cittadini è il fondamento che rende forte il sistema. E la partecipazione è più che votare il giorno delle elezioni, anche se questa è certamente la forma più importante. Infatti, in Unione sovietica la dittatura si era data una parvenza democratica mediante elezioni fittizie.

Tuttavia anche questo esercizio democratico sembra in via di superamento. Belisario ha recentemente pubblicato un articolo nel quale commenta come [ https://comedonchisciotte.org/stato-di-guerra-lucraina-cancella-le-elezioni-e-se-accadesse-anche-da-noi/ ] in uno “stato di emergenza o di eccezione” o in uno “stato di guerra”, è facile cancellare le elezioni: è quello che ha appena fatto Zelensky in Ucraina. Ed elencando alcuni precedenti storici, continua chiedendosi: siamo veramente sicuri che le elezioni per il Parlamento Europeo (giugno 2024) e per la Presidenza statunitense (novembre 2024) si terranno?

In queste pagine abbiamo già riferito su come Emmanuel J. Sieyès, uno dei maggiori costituenti della prima repubblica francese (1791) descrivesse la democrazia rappresentativa [ https://blogdiet.wordpress.com/2023/10/24/la-governance-rappresentativa-non-e-democrazia/ ]; quindi né le elezioni, né la democrazia rappresentativa di per sé sono garanzia d’esercizio di effettiva democrazia.

Da tempo noi osserviamo come in molte parti del mondo si studiano metodi per superare alcune deficienze della democrazia, e si pensa di ritornare al sorteggio di buona parte del personale politico e amministrativo [ https://blogdiet.wordpress.com/2023/01/23/le-cose-andranno-meglio-se-si-tolgono-di-mezzo/ ].

Moisej Ostrogorskij (nel 1902) scrisse un libro dal titolo: “La democrazia ed i partiti politici”. Secondo questo autore la democrazia diretta, eliminando il monopolio del potere legislativo, rappresenta una soluzione efficace al problema della degenerazione oligarchica dei partiti. Però la democrazia diretta esige un livello di coscienza politica e sociale da parte dei cittadini, non sempre e non immediatamente disponibile.

A Bolzano, dopo le elezioni provinciali del 22 Ottobre 2023, c’è chi sta tentando e dichiara:

«Vogliamo un governo di concordanza e non di concorrenza. In stretta relazione con tale impostazione sta la necessità di vedere finalmente garantiti strumenti di democrazia diretta efficaci, ben regolati e facilmente praticabili, con i quali i cittadini stessi possano, se necessario, garantire che proposte su problemi trascurati siano portate al voto popolare e che le decisioni politiche discutibili possano essere sottoposte al controllo dei cittadini col referendum.

Nella vicina Svizzera – un Paese la cui stabilità politica e l’alto livello di soddisfazione e identificazione dei cittadini con il sistema politico sono tra i più alti al mondo – i quattro partiti che oggi rappresentano l’80% dell’elettorato, governano insieme fin dal 1943.»

Il consenso popolare per i partiti è sceso vertiginosamente e i partitòcrati sono sgomenti per le plurime verifiche elettorali. Il debito pubblico italiano è al 142,1% (2.858 miliardi e 601 milioni, nel luglio 2023) e rimarrà sopra il 140% fino al 2026.

Sia la destra che la sinistra come il centro si sgolano nell’affermare: «l‘antipolitica è un salto nel buio. Senza i partiti, non c’è democrazia.» Ma si tratta di una fanfaluca, frutto di ignoranza, ottusità o ipocrisia (o tutte e tre le cose insieme). Infatti è vero esattamente il contrario. È la democrazia che è necessaria ai partiti non viceversa: una democrazia senza partiti è ipotizzabile, ma i partiti senza democrazia no, perché senza democrazia c’è un partito solo, quello del tiranno. La democrazia, garantendo libertà di pensiero e di associazione, è la causa e i partiti sono l’effetto, non il contrario. E scambiare la causa con l’effetto non è il massimo dell’intelligenza.

Gli organismi alternativi ai partiti potrebbero essere associazioni per singola questione. I loro leader potrebbero ugualmente primeggiare politicamente, e una volta raggiunti i singoli obbiettivi, dette formazioni, perdendo la ragion d’essere, dovrebbero sciogliersi.

Ci fu un tempo in cui Gianfranco Miglio approfondì la questione Stato. Riflettendo sull’articolo 1 della Costituzione, ricordò che «dal punto di vista rigorosamente linguistico, democrazia vuol dire potere del popolo. “Potere” dunque e non “governo”. Perché una moltitudine non può governare, cioè prendere decisioni quotidiane, anche minute, e seguirne l’esecuzione, adottando poi tutte le misure conseguenti.»

I cittadini, che compongono il popolo, per esercitare il loro potere (cioè la loro sovranità) devono quindi affidare il governo a una minoranza di delegati, o comunque a persone che i più considerano (e accettano) come rappresentativi dell’intera moltitudine. Sono i cittadini che affidano la responsabilità di amministrare e sono i cittadini che, grazie al voto (meglio sarebbe il sorteggio, si veda qui

https://www.vicenzareport.it/2019/04/elezioni-democrazia-sorteggio/ e qui

https://www.swissinfo.ch/ita/democracy-lab_nessuno-elegge-pi%C3%B9-equamente-del-sorteggio/45043998 ), possono revocare questo mandato: la chiave di volta sta qui, nella possibilità di esercitare la sovranità attraverso gli strumenti della democrazia diretta, che in Italia esisterebbero, ma sono stati edulcorati e depotenziati dalla partitocrazia.

I cittadini affidano i poteri a coloro che eleggono, ed essi hanno il dovere di usare quei poteri per arricchire le loro comunità. I politici sono responsabili nei confronti del popolo, devono agire secondo la sua volontà e hanno il dovere di non abusare del loro potere per arricchire se stessi e i loro amici.

Quando i governi autoritari prendono il controllo dei giornali e dei canali di informazione, quando ostacolano e molestano le organizzazioni della società civile, diventa fin troppo facile nascondere al pubblico la corruzione e l’abuso di potere, e questo rende più difficile per il popolo chiedere conto al governo il giorno delle elezioni.

Un’analisi precisa su cosa sia oggi la “comunicazione velenosa” a cui siamo sottoposti h. 24, sotto ogni forma e con ogni mezzo, la fa Andrea Zhok [ https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-andrea_zhok__lera_della_menzogna_manipolativa_e_le_coscienze_dei_giovani/39602_51530/ ]

«Stavo pensando al continuum di bugie, manipolazioni, finzioni strumentali in cui siamo immersi.

Nel dibattito pubblico e nei giornali il tentativo di fare spazio a posizioni plurali, documentate e dialettiche è sostanzialmente estinto.

I giornali non ci provano neppure a dare informazioni di prima mano: ricevono i comunicati di una manciata di agenzie di stampa internazionali a guida Nato e ci fanno sopra una poesia gradita all’azionista di maggioranza.

I talk show invece che essere esercizi dialettici sono apparati di costruzione del consenso a colpi di battute ad effetto e strategie registiche.

Ma questo è noto e piuttosto palese. Poi c’è tutto il resto.

Le produzioni cinematografiche propongono continue ricostruzioni artificiali del passato in forme che si confanno al gusto politicamente corretto di alcune lobby; le fiction propongono una modellistica di mondo con una distribuzione dei buoni e dei cattivi secondo la manualistica della NSA; dominano rappresentazioni proiettive di rapporti psicologici ed emozionali di nicchia, che vengono presentati come la forma normale dell’umanità.

E poi la pubblicità, onnipresente forma di menzogna strumentale istituzionalizzata, in cui qualcuno con parole suadenti, volto sincero, nel nome di ideali suggestivi, magari con un capolavoro musicale in sottofondo, ti racconta torrenti di balle per indurti a trasferirgli i tuoi maledetti soldi per acquistare la qualunque.

Poi c’è tutto il mondo virtuale delle auto rappresentazioni telematiche, in cui ci si mette in vendita recitando sé stessi (dalle chiareferragni ad Onlyfans). Ecc. ecc.

Ciò che mi chiedo, e che mi angoscia, è quale forma debba prendere una coscienza, soprattutto giovanile, in questo contesto di manipolazione e menzogna ininterrotte.

Spesso lamentiamo nelle nuove generazioni apatia, rassegnazione e quando c’è un sussulto di reazione, confusione estrema.

Ma quello che mi chiedo è come crediamo sia possibile qualcosa di diverso.

Come immaginiamo sia possibile crescere in un mondo in cui le voci ufficiali e la rappresentazione del discorso pubblico sono sistematicamente veicoli di manipolazione e frode, di persuasione interessata, di imbroglio mercenario?

Per chi ha avuto la fortuna di costruirsi in passato un retroterra fondato, esiste un modo per sottrarsi – sia pure a fatica – da questa falsificazione sistematica del mondo, ma per gli altri rimane solo un incubo infinito di bugie a breve termine tra cui divincolarsi in una condizione di perenne provvisorietà.

Di fronte all’era della menzogna manipolativa ci si può ancora rifugiare forse solo nei testi di epoche più o meno remote, che non conoscevano quest’ipertrofia della manipolazione. Per chi non vi ha accesso il residuo terreno della fiducia nel mondo viene divorato ogni giorno, ricadendo nel nulla.»

Eppure, nel caos economico, sociale e culturale che è l’Italia di oggi, c’è ancora una speranza. Non è una speranza riposta nei politici, o negli intellettuali e certamente non negli ideologi; piuttosto, è fondata sull’istinto di sopravvivenza della maggioranza, la maggioranza è costituita dalle classi lavoratrici e medie. Perché, agendo come una barriera contro l’atomizzazione della società, è la gente comune che sta dietro a un movimento nascosto ma potente di resistenza contro un modello distruttivo.

Questo movimento non assomiglia a nessuno dei gruppi sociali che lo hanno preceduto nei secoli precedenti. Non c’è un partito, non c’è un sindacato, non c’è un leader alla testa della protesta; piuttosto, è spinto dalla gente comune che presto sentirà la necessità di dotarsi d’un innovativo progetto politico-istituzionale.

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Perché non sorteggiare una classe dirigente?

In evidenza

Da tempo ci siamo assunti il ruolo di agitatori di idee. Con questo intento questa volta esploreremo il fatto che da noi, erroneamente, la democrazia è uguale a elezioni. Tuttavia gli antichi [ https://blog.demarchia.info/ ] non la pensavano così.

La ragione che, con il sorteggio, tutti (quindi anche l’incapace, l’inadatto, l’impreparato) hanno uguali probabilità di ricoprire una carica pubblica o di partecipare a un organismo decisionale, lascia perplessi una moltitudine di individui. 

Nondimeno l’esperienza  delle elezioni – specialmente con le più recenti leggi – ha dimostrato che esse non servono a selezionare una classe dirigente. L’argomento lo abbiamo già trattato qui. [ https://www.vicenzareport.it/2019/04/29/elezioni-democrazia-sorteggio/ ]

Teoricamente potrebbero servire per selezionare gli aristocratici nel senso di migliori, coloro che meritano di rappresentarci perché hanno qualche caratteristica che noi non abbiamo. Ma l’esperienza degli ultimi decenni, sotto questo aspetto, è assai deludente.

La selezione di una classe dirigente attraverso il sorteggio è avvenuta nell’antichità e anche nella Repubblica di Venezia a partire dal 1268, fino alla sua caduta nel 1797.

Dal XIII secolo si riforma  definitivamente l’elezione ducale con un

[ https://www.venetoinside.com/it/aneddoti-e-curiosita/post/lelezione-del-doge-della-repubblica-di-venezia/ ] complesso sistema di nomine e ballottaggi, e si istituisce un Collegio di Promissori incaricati di redigere una formula di giuramento personalizzata per ciascun doge (in modo da cucirgli su misura una promessa, e contrastare più nello specifico gli interessi di ciascun principe) e di verificarne il rispetto. Epperò non è facile definire 

[ http://storiadivenezia.net/sito/saggi/todesco_demografia.pdf ] con precisione il numero delle famiglie patrizie.

S. Chojnacki ne ha individuate 244 per la prima metà del 1300, il diarista Marin Sanudo compilò quattro liste delle “caxade dil mazor conseio” nel periodo 1493-1527, elencandone 150 nel 1493, 149 nel 1512, 154 nel 1522, e 144 cinque anni più tardi, mentre un suo contemporaneo, l’anonimo trattatista francese autore del “Traité du governement de Venise”, fissò a 125 il numero delle famiglie patrizie, riferendosi sempre ai primi decenni del 1500. Due secoli più tardi, nel 1714, dopo numerose aggregazioni, il loro numero era salito a circa 216. Insomma, a parte ciò, il sorteggio avveniva tra un ristretto numero – circa 2.000 – di N.H. (Nobil Homini).

Prima di arrivare ad individuare una possibile via d’uscita democratica, sono necessarie due citazioni. La prima del Prof. Giovanni Sartori: «“Partecipazione” è prendere parte attivamente e volontariamente di persona. “Volontariamente” è una specificazione importante, perché, se la gente viene costretta a partecipare a forza, questa è mobilitazione dall’alto e non partecipazione dal basso. Insisto: partecipazione è mettersi in moto “da sé, non essere messo in moto da altri e mobilitato dall’alto.» Qualcosa, quindi, di molto diverso dal ricatto morale del diritto-dovere di partecipare alle elezioni.

La seconda citazione, è quella di Buckminster Fuller, che sosteneva

[ https://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Buckminster_Fuller ]: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta.» Ed infine non si trascuri che anche il mondo accademico sta cominciando ad argomentare per un ritorno all’antecedente per proiettarsi nel futuro con il sorteggio. Si veda il proposito la posizione del Prof. Michele Ainis qui[ https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/01/14/la-democrazia-a-sorteggio33.html ]

Una riforma potrebbe esserci partendo dal rispetto della Carta Europea della Autonomia Locale qui[ http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1989_0439_Carta_eur_aut_locale.pdf ]  Ma si deve tener presente che ogni legge è costituita da un dettato e da uno spirito. E tenuto conto di ciò, sorprende alquanto che i sedicenti autonomisti, federalisti e indipendentisti non abbiano mai approfondito l’essenza di tale documento.

Se si guardasse con arguzia all’alito vitale di questa legge – “proposta” dall’UE – si scoprirebbe che a livello comunale si può avanzare una “moderna” e “rivoluzionaria iniziativa puntando sull’utilizzo della struttura dell’ufficio elettorale comunale, al quale tutti per diritto sono iscritti. Per sottoporre a sorteggio l’equivalente degli “aristocratici” (i migliori) o dei Nobil Homini, la riforma contemporanea potrebbe consistere nell’iscrizione a un preciso “comparto su base volontaria i candidati. In tal modo le persone che non hanno tempo o voglia da dedicare alla cosa pubblica o si sentono inadeguate al ruolo di pubblico amministratore, verrebbero auto-escluse preventivamente. Mentre (e questo è determinante) le persone da includere nel sorteggio esprimerebbero così un preciso impegno. Infine per constatare la rispondenza all’incarico eventualmente loro assegnato, dovrebbero superare aprioristicamente un apposito esame. 

Proviamo ad elencare alcuni dei vantaggi ottenibili con questa riforma:

1 – Lo Statuto di un Ente Locale (come una costituzione democratica) è buono se per prima cosa realizza tra i cittadini uno stato di equilibrio, e soltanto in seguito fa in modo che le volontà del popolo siano eseguite. 

2 – Le lotte tra fazioni ideologico-partitocratiche non avrebbero più senso. Il fatto che esistano i partiti non è in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. 

3 – Non sarebbero più necessarie costose campagne elettorali in radio-TV, Internet, manifesti, volantini o “santini” promozionali.

4 – Inadatti diverrebbero i sondaggi; quasi sempre eterodiretti.

5 – Inutili i finanziamenti sia pubblici che privati. Questi ultimi troppo spesso illegittimi e “interessati”.

6 – Inservibili i condizionamenti posti in essere da parte dei mass-media; quasi sempre in mano al potere economico-politico.

7 – Non sarebbero più necessarie le promesse elettorali, che puntualmente sono eluse.

8 – Verrebbe meno tutto quell’esercizio circense e indecoroso delle campagne elettorali, che hanno oramai allontanato oltre il 50% degli aventi diritto al voto. 

Al sorteggio dei “rappresentanti” va però affiancata – sempre in ossequio alla Carta Europea dell’Autonomia Locale -, la “deterrenza”, non l’uso compulsivo, degli istituti di partecipazione popolare che genericamente sono: 

* Istanze

* Petizioni

* Proposte d’iniziativa popolare di delibera per gli enti locali. 

* i referendum, senza quorum, confermativi o abrogativi o d’iniziativa (quelli “consultivi” sono solo una truffa. Un furto di democrazia). Si veda in proposito quanto suggerisce un parere della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa qui [ https://www.coe.int/it/web/venice ] su quorum di partecipazione, e soglia delle firme da raccogliere. Sulla soglia delle firme da raccogliere, e il quorum di partecipazione, la predetta Commissione, che svolge una funzione di consulenza su questioni costituzionali nei confronti dei paesi europei, ha redatto una precisa raccomandazione nel suo parere 797/2014. In questo parere si consiglia di non prevedere un quorum di partecipazione né uno di assenso, in quanto avrebbero effetti non desiderabili sotto il punto di vista democratico. Le raccomandazioni ritengono “consigliabile” non prevedere un quorum di affluenza del 50%+1 come previsto dalla normativa vigente, o un quorum per l’approvazione. I quorum di affluenza hanno almeno due effetti indesiderati: primo, le astensioni sono assimilabili ai non-voti, e secondo, i voti espressi per una proposta che alla fine non raggiunge il quorum saranno inutili. Gli avversari saranno tentati di incoraggiare l’astensione, che non è salutare per la democrazia. I quorum di approvazione rischiano di “coinvolgere una situazione politica difficile, se il progetto è adottato a maggioranza semplice inferiore alla soglia necessaria”. Per quanto, infine, riguarda il numero di firme necessarie per proporre un referendum, il numero di riferimento chiave sembra essere quello relativo alla soglia di 1/50 (2%) degli elettori. Un elevato numero di firme può indicare un ampio sostegno popolare. Tuttavia, esso non garantisce il supporto, perché le persone possono firmare perché sono convinte che la questione sia controversa e che dovrebbe essere decisa dal popolo (in qualsiasi senso). Parole chiare, dunque, da parte di un autorevole organismo internazionale di alta competenza.

* la revoca o recall di politici e burocrati. Vedasi qui, [ https://en.wikipedia.org/wiki/Recall_election ] ma ci sono molti altri siti che approfondiscono il tema.  

La latitanza su un progetto politico-istituzionale riformista dei cosiddetti autonomisti, federalisti, indipendentisti non è funzionale alla loro esistenza. Se vogliono prendere il controllo della nostra economia e della nostra democrazia, debbono agire adesso. Ogni giorno che tardano sempre più potere si accumula contro di noi cittadini. Per esempio, è devastante il rapporto di estrema povertà: 7 milioni di italiani poveri secondo l’Istat.

[ https://it.blastingnews.com/economia/2018/04/istat-in-italia-piu-di-7-milioni-di-poveri-002528237.html ] In pratica, sono aumentati i poveri assoluti, e questo a prescindere dall’area geografica di riferimento. Mentre i diritti umani sono una chimera dopo otto anni di uno dei più radicali programmi di austerità tra le economie avanzate del G20 adottato in risposta al crollo finanziario del 2008, e alla conseguente recessione globale.  

Il sorteggio, infine, ben si concilia con il pensiero di Noam Chomsky (filosofo, e teorico della comunicazione), che acutamente sostiene: «Penso che la vera democrazia sarebbe molto più efficace senza quelli che chiamiamo partiti politici, che funzionano solo come macchine per la produzione di candidati. […] La gente si radunerebbe pubblicamente o per via telematica, e deciderebbe quale politica preferisce, e direbbe ai candidati: “Questa è la politica che desideriamo; se sei in grado di portarla avanti bene, altrimenti vai a casa”. Questa sarebbe una democrazia effettiva.»

Enzo Trentin

Pubblicato anche su “Miglioverde”:  https://www.miglioverde.eu/perche-non-sorteggiare-la-classe-dirigente/

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Una fotografia da giudicare con poca indulgenza

In evidenza

di Tony FassinaBassano del Grappa (VI), la foto è stata scattata nei primi mesi del 2015. Secondo alcuni osservatori si tratta della manifestazione più partecipata dagli indipendentisti veneti.

Le elezioni regionali del Veneto si terranno il 31 maggio 2015.

Dopo la sfilata per le principali vie della cittadina del Grappa (cui l’istantanea si riferisce), i convenuti si raduneranno in Piazzale Cadorna, dove dal palco installato di fronte al Tempio Ossario, il “Doge” Zaia (da buon affabulatore, e affiancato – in uguale posizione – dai due personaggi in immagine) arringherà gli astanti inneggiando all’indipendenza del Veneto.

Alla destra di Zaia si riconosce il fondatore del partito «Indipendenza Veneta». Alla sinistra del “Governatore” un altro supposto leader indipendentista che si distinguerà (peraltro come altri suoi omologhi) per le numerose scissioni tra sedicenti autonomisti, federalisti, indipendentisti.

In primo piano a destra l’ennesimo preteso indipendentista, che nell’occasione e assieme ad una mezza dozzina di suoi sodali (sembra senza nessun suggerimento) si distinguerà per assumere la guida di una sorta di squadra d’ordine pubblico a “difesa” del Presidente della Regione.

Sempre la persona in primo piano a destra sarà anche protagonista della spaccatura del partito «Veneto Stato», come della nascita del fallimentare (elettoralmente parlando) «Partito dei Veneti», guidato dall’ennesimo disinibito (ex democristiano) e pseudo leader che si distinguerà per non riconoscere la validità della sua firma in calce ad un “impegno di lealtà” pre-elettorale datato 29 aprile 2015.

In terza fila, alle spalle di Luca Zaia si intravvede colui che in quel periodo pre-elettorale percorrerà in lungo e in largo le contrade del Veneto glorificando l’«indipendentista» e candidato Presidente: Luca Zaia. Questo ennesimo disinvolto ex democristiano sarà gratificato con l’elezione a Consigliere regionale. Costui, nell’aprile 2013 presentò una proposta di legge (342/2013) per indire un referendum sull’indipendenza entro la fine di quell’anno.

En passant, ma restando in tema di anticonformismo non va trascurata la vicenda politica di Gianluca Busato [ https://www.miglioverde.eu/plebiscito-eu-tanto-fumo-poco-arrosto-e-puzza-di-bruciato/ ]. Ne scriverà più volte il quotidiano on line “Miglioverde”:

«l referendum online per l’indipendenza della regione dall’Italia ha conteggiato 2 milioni 360mila 235 voti, pari al 73% del corpo elettorale regionale. I sì sono stati 2 milioni 102mila 969, pari all’89%, i no 257.276 (10,9%).

La consultazione è promossa dal movimento venetista “Plebiscito.eu”, il cui leader Gianluca Busato ha proclamato la nascita della “Repubblica veneta”, decretando come “decaduta la sovranità italiana sul popolo e sul territorio veneto”. “È la primavera veneta”, ha affermato Busato, sostenendo che quella per l’autodeterminazione del popolo veneto “è una battaglia di civiltà”. Gianluca Busato è un ex leghista che ha attraversato negli anni tutti i movimenti venetisti, ottenendo sempre scarsi risultati elettorali quando si è candidato.» 

All’epoca la Legge regionale n. 16 del 19 giugno 2014: Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto fu bocciata. Passò la legge regionale 19 giugno 2014, n. 15, intesa a dare nuovo impulso e rafforzare il processo volto ad ottenere riconoscimento di ulteriori forme di autonomia. Quest’ultimo riceverà l’approvazione dell’elettorato il 22 ottobre 2017, ma ad oggi non c’è una legge che lo certifichi, e quando finalmente il Parlamento la varerà, si sa già che non soddisferà le esigenze del cosiddetto “popolo sovrano”.

Insomma la cosiddetta democrazia diretta (prevista dalla Carta Europea delle Autonomie Locali, efficace dal 1° settembre 1988) difficilmente sarà esercitata. I burocrati faranno grandi acrobazie di maieutica e pratica per contrastarne l’esercizio.

Per capire chi siano i burocrati ricorriamo al pensiero di Ludwig von Mises (Yale University Press, 1944): “Il burocrate non è soltanto un impiegato statale. In un regime democratico, egli è allo stesso tempo un elettore e, come tale, partecipe della sovranità dello Stato, suo datore di lavoro. Il funzionario si trova in una posizione particolare: egli è insieme datore di lavoro e lavoratore. E il suo interesse pecuniario di dipendente sopravanza il suo interesse di padrone, dato che egli trae dai fondi pubblici molto più di quanto a essi non contribuisca.

Tale doppia relazione diventa più importante nella misura in cui aumenta il numero delle persone sul libro paga dello Stato. Il burocrate, come elettore, è più desideroso di ottenere un aumento che di mantenere il bilancio in pareggio. La sua maggiore preoccupazione è ingrossare il libro paga.

La struttura politica della Germania e della Francia, negli anni antecedenti alla caduta dei loro governi democratici, è stata in larga parte influenzata dal fatto che lo Stato costituiva una fonte di reddito per una parte considerevole dell’elettorato. Non c’erano solo le schiere dei pubblici impiegati e dei dipendenti dei servizi nazionalizzati (per esempio, ferrovie, poste, telegrafi e telefoni), ma c’erano i beneficiari del sussidio di disoccupazione e dell’assicurazione sociale, come pure i produttori agricoli e alcuni altri gruppi che lo Stato direttamente o indirettamente sovvenzionava. Il loro principale interesse era quello di assicurarsi una parte più grande dei fondi pubblici. Costoro se ne infischiavano delle questioni «ideali» quali la libertà, la giustizia, il primato della legge e il buon governo. Essi chiedevano più denaro; e questo era tutto. Nessun candidato al Parlamento, ai Consigli provinciali e comunali avrebbe potuto correre il rischio di opporsi all’appetito dei pubblici impiegati, avidi di aumenti. I vari partiti politici erano ansiosi di superarsi l’un l’altro in prodigalità.

Preso atto di questa riflessione, potremmo osservare che anche molti politici sembrano assomigliare più ai burocrati che non già a pubblici amministratori consci delle proprie responsabilità. Come il dipendente pubblico non paga le tasse (è solo una partita di giro) anche i politici sono nella stessa condizione. Ma soprattutto, la democrazia può rimanere tale di fronte alla statalizzazione dell’economia? E senza guardare alla “solita” Svizzera, è mai esistito un efficace esercizio della democrazia diretta?

La democrazia è esistita fino a due anni prima della Rivoluzione francese.

[ https://www.massimofini.it/articoli-recenti/2317-non-voto-e-democrazia-diretta ] Cioè la democrazia c’era quando non sapeva d’esser tale. L’assemblea del villaggio decideva tutto ciò che riguardava il villaggio, decideva della vendita, scambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’, cioè proporzionalmente, i canoni che alimentavano il bilancio comunale, poteva contrarre debiti ed iniziare processi, nominava, oltre i sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani delle messi, gli assessori e i riscossori di taglia. Regole rigorose erano fissate perché gli abitanti del villaggio avessero notizia in tempo utile che era stata convocata un’assemblea. Certo gli abitanti del villaggio, i “villani”, non partecipavano, se parliamo della Francia, ma il sistema era in uso in quasi tutti i Paesi europei ed estremizzato in Islanda (vedi gli scritti di Alain de Benoist), alle grandi decisioni che si prendevano a Versailles. Ma tali decisioni ci mettevano anni per arrivare al mondo contadino, che rappresentava insieme agli artigiani il 90 per cento della popolazione, per cui si può dire che quando arrivavano erano ormai obsolete, e quindi di fatto la comunità di villaggio godeva di una amplissima autonomia. Questo sistema funzionò benissimo fino al 1787, quando, sotto la spinta degli interessi e anche della smania regolamentatrice della borghesia avanzante, un regio decreto stabilì che non era più la collettività del villaggio a decidere autonomamente, poteva farlo solo attraverso esponenti da essa eletti. Era nata la tragedia della democrazia rappresentativa.

Ci sono politici che per semplificare la “loro offerta” promettono un sistema alla svizzera, e tranquillamente ignorano che da secoli esistono nei nostri territori le “regole”.

Vedasi quelle ampezzane [ https://www.regole.it/IT/pagina107-le-regole-d-ampezzo-un-altro-modo-di-possedere ] nelle Dolomiti bellunesi; oppure quelle della federazione dei Sette Comuni vicentini dell’altopiano di Asiago, che anche se non vi è certezza della data, la tradizione racconta risalgano al 29 giugno del 1310, [ https://ecomuseosettecomuni.it/project/rotzo-rotz/#:~:text=La%20storia%20della%20Spettabile%20Reggenza%2C%20la%20federazione%20dei,autogoverno%20impostata%20sulla%20propriet%C3%A0%20collettiva%20dei%20beni%20agro-silvo-pastorali. ].

Prima ancora, nel IV secolo d.C., il fiscus subentrò all’aerarium populi romani, incorporandolo ed acquistando la piena proprietà di molti pascoli e boschi, sui quali tutti i membri della comunità esercitavano di fatto l’attività di raccogliere legna ed altro.

Nacquero i cosiddetti communia (nella specie di compascua e communalia), che erano appunto terreni sui quali ai membri della collettività in quanto tali era stato riconosciuto il diritto di portare gli animali al pascolo, di raccogliere erbe selvatiche, frutti del bosco e legna.

L’istituto regoliero si consolidò a seguito delle invasioni longobardiche (dal 578 d.C.); i Longobardi apportarono il fondamentale concetto di proprietà gentilizio, vivo tutt’oggi. I terreni erano considerati concessione dello Stato alla famiglia e dovevano rimanere indivisi; se una famiglia non aveva discendenti i terreni ritornavano in proprietà alla tribù. Si affermò così il concetto che i pascoli erano proprietà collettiva dei consorti originari e le Regole divennero una comunità chiusa.

Insomma, i politici odierni devono essere giudicati non per quello che dicono, bensì per la coerenza etica del loro agire. E come opportunamente afferma Noam Chomsky: «Penso che la vera democrazia sarebbe molto più efficace senza quelli che chiamiamo partiti politici, che funzionano solo come macchine per la produzione di candidati. (…) La gente si radunerebbe pubblicamente e deciderebbe quale politica preferisce e direbbe ai candidati: “Questa è la politica che desideriamo; se sei in grado di portarla avanti bene, altrimenti vai a casa”. Questa sarebbe una democrazia effettiva.»

In evidenza

La governance rappresentativa non è democrazia

Una rivoluzione pacifica e radicale è una rivoluzione totale che rovescia le basi dello stato di cose attuale, che ribalta tutte le condizioni sociali e politiche esistenti, e non la promozione di una parte particolare della società, o di una classe, che pretende di realizzare l’«emancipazione generale della società» senza toccarne le fondamenta.

A partire dai primi anni del 1980 ci sono state numerose formazioni politiche o partiti (autonomisti, federalisti, o con altre caratteristiche) che si sono avvicendati in Parlamento con la pretesa di cambiare il regime. Con il tempo tali soggetti o sono scomparsi o si sono fatti cooptare senza riuscire a cambiare il sistema vigente.

La democrazia rappresentativa è splendidamente descritta dalle parole di Emmanuel J. Sieyès, uno dei maggiori costituenti della prima repubblica francese (1791):

«La Francia non deve essere una democrazia, ma un regime rappresentativo. La scelta tra questi due metodi di dettare la legge non è in dubbio tra noi. […]. Il popolo, ripeto, in un paese che non è una democrazia (e la Francia non può esserlo), il popolo può solo parlare, può agire solo attraverso i suoi rappresentanti.»

Il regime rappresentativo è stato dunque concepito in opposizione all’autentica democrazia.

La Costituzione italiana del 1948 introdusse l’idea di democrazia nel suo testo. Tuttavia, il regime è rappresentativo. Non ha introdotto un processo partecipativo del cittadino alla deliberazione. L’esito dei referendum è spesso disatteso (vedasi, tra i tanti, la privatizzazione della RAI), e le proposte di legge di iniziativa popolare sono ignorate (oltre 630, dall’inizio della repubblica, giacciono inevase in Parlamento). Il cittadino rimane confinato nell’elezione dei suoi rappresentanti, e poi resta passivo fino alle prossime elezioni.

George Bernard Shaw scrisse qualcosa che sembra calzante: «la democrazia sostituisce l’elezione da parte dei molti incompetenti alla nomina di pochi corrotti.»

O anche incapaci: la sanità pubblica è a pezzi, i vecchi ospedali sono fatiscenti, quelli nuovi sono semivuoti, interi reparti vengono chiusi per mancanza di personale, mentre le liste d’attesa sono infinite. Trent’anni di tagli alla sanità hanno lasciato un segno indelebile. Vedasi Rai-Report – puntata del 15/10/2023. Sempre su Rai-Report si può approfondire la vicenda del Ponte Morandi a Genova, e l’alluvione in Emilia-Romagna (Rai-Report – 07/06/2023); solo per citare alcuni esempi recenti.

Il regime partitocratico italiano è poco credibile, fragile, logoro. È legittimato a governare solo da circa la metà degli aventi diritto al voto. Presumibilmente composto da “Clientes” che il sistema stesso ha provveduto ad avvantaggiare attraverso innumerevoli Enti, aziende pubbliche, appalti, e strutture che senza il sostegno economico delle imposizioni statali (principalmente tasse) difficilmente sopravviverebbero.

E così il «Pd’a» (il partito degli astensionisti) si afferma progressivamente. Nei dati sull’affluenza pubblicato alle ore 19 del 25 settembre 2022 dal Ministero dell’Interno: ha votato il 51,16% degli elettori, circa l’8% in meno rispetto al 2018, quando, alla stessa ora, si era recato alle urne il 58,40% degli aventi diritto. Elezioni suppletive Monza Brianza 2023/ Seggio Senato Lombardia 06: affluenza al 14,71% in Brianza.

Nella maggior parte dei paesi in cui regna la democrazia rappresentativa, è sempre sorprendente constatare che, pochi mesi dopo essere stati eletti dal popolo, i principali rappresentanti diventino impopolari e poi vengano sconfitti dai loro oppositori, che a loro volta diventano invisi.

Nel “Belpaese” una «Casta gerontocratica» elude persino l leggi che essa stessa ha promulgato.

Se osserviamo il Comma 2, dell’Art. 1 della Costituzione del 1948: «La sovranità appartiene al popolo…»; allora dobbiamo ammettere che il popolo deve sempre mantenere il suo potere decisionale, anche se ciò significa sbarazzarsi dei suoi governanti. Nella pubblica amministrazione un ambasciatore sarebbe licenziato laddove avesse deciso di sostenere una politica diversa da quella del governo del suo paese. È un princìpio che vale anche nel mondo del commercio. Infatti, un rappresentante di vendita che facesse campagna per i concorrenti sarebbe cacciato.

D’altra parte, se ignoriamo il significato letterale allora consideriamo il popolo come minore, irresponsabile, inesistente, avendo perso ogni libertà tra due elezioni.

Ci sono tuttavia casi in cui il rappresentante è posto a decidere al posto di ciò che è rappresentato. Ad esempio, i genitori rappresentano i figli minorenni quando si tratta di conti bancari, impegni legali, etc. Ma in questo caso non dà loro alcun diritto su di loro. Ci sono altri casi: una persona può rappresentare un’altra persona se quest’ultima ha perso le sue facoltà mentali, così come un esecutore rappresenta la volontà di colui che non esiste più. Come possiamo vedere, questo tipo di rappresentanza presuppone che i rappresentati siano considerati minori, incapaci, irresponsabili o addirittura scomparsi. Questo è un significato della parola rappresentante.

Questo modus operandi alla fin fine porterà al tracollo, giusto come pronosticava il costituzionalista Gianfranco Miglio in un discorso fatto a Bologna nei primi giorni di febbraio 1994.

E allora dobbiamo prendere atto che la “democrazia rappresentativa” non è una democrazia nel vero senso della parola.

Stabilendo un’equivalenza tra la democrazia e l’elezione dei leader a suffragio universale, dimentichiamo semplicemente che questa similitudine è concepibile solo da poco più di due secoli. Prima prevaleva il sorteggio, tant’è che in molti luoghi nel mondo si sta studiando come reintrodurlo. È un argomento che abbiamo già diffusamente trattato, ad esempio qui:

[ https://blogdiet.wordpress.com/2023/01/23/le-cose-andranno-meglio-se-si-tolgono-di-mezzo/ ]

Gattopardismo

Nel 1952 Charles de Gaulle affermava: «le regime ne se transforme pas de lui-même, cela n’est jamais arrivé dans notre histoire. il faut un pression de l’éxtérieur.» (“il regime non si trasforma, questo non è mai successo nella nostra storia. abbiamo bisogno di pressioni dall’esterno”), e guardando anche a questa eventualità sono attivi alcuni partiti sedicenti indipendentisti che danno l’impressione d’essere eticamente poco coerenti.

Infatti, nessuno dovrebbe entrare in un’ottica di indipendenza senza obiettivi realistici, una strategia per raggiungerli e un piano per ottenerli. Alla fine, l’autodeterminazione si ottiene con appoggi internazionali, non con la propaganda ispirata e diretta a rafforzare il pio desiderio.

Un esempio: nel sito [ https://indipendenzaveneta.com/project/referendum/ ] si fa vanto d’aver posto la questione di un referendum consultivo (quello del 22 ottobre 2017) per l’autonomia del Veneto (che però veniva letto come un prodromo all’indipendenza), il quale pur ottenendo il voto favorevole dell’elettorato, è tutt’oggi in alto mare, e quando il suo esito vedrà la luce si sa già che non avrà alcun esito positivo per la cittadinanza.

Una coerenza etica avrebbe voluto che ci fosse qualcuno disposto a lottare per l’abolizione del referendum consultivo sic et simpliciter. Peraltro non previsto dalla Carta europea delle autonomie locali.

E del resto, già nel 1981 Costantino Mortati, uno dei padri dell’attuale Costituzione italiana, ebbe a scrivere: «La posizione di organo supremo rivestita dal popolo in regime democratico non può in nessun modo conciliarsi con l’esercizio di una funzione subordinata, come quella che si sostanzia nell’emissione di pareri.»

Eppure lo Statuto di questo partito politico all’art. 2.1 (Finalità) recita tra l’altro: «organizza la comunità nazionale in forma federale e utilizza lo strumento della democrazia diretta per l’esercizio della sovranità popolare.»

In conclusione, un tal modo di far politica, e di vantarsene per giunta, non è altro che l’ennesima manifestazione di gattopardismo: una strategia conservatrice che consiste nel cambiare la forma apparente senza mutare la sostanza.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

“to badogliate” dei giorni nostri

In evidenza

di Camilla Badoer   Recentemente intervistato, il saggista e ambasciatore Domenico Vecchioni ha affrontato il tema dell’armistizio dell’8 Settembre 1943 dichiarando tra l’altro

[ https://www.difesaonline.it/evidenza/interviste/settembre-1943-resa-incondizionata ]:

«Non biasimo di certo gli Alleati: abbiamo perso.

La tanto celebrata “Liberazione”, di fatto, ha inciso poco se non addirittura nulla (!) sul Trattato di Pace del 1947.» E sul generale Badoglio aggiunge: «Un vero gattopardo! Servì diversi regimi, obbedì a più capi, sempre cercando di abbinare gli interessi nazionali ai suoi tornaconti personali. Per lui gli alleati crearono un neologismo che la dice lunga sul prestigio goduto dal Maresciallo d’Italia presso gli alleati: “to badogliate”. Tradire cioè in maniera pasticciata, confusa, maldestra, furba… alla Badoglio, appunto.»

La descrizione fatta ottant’anni dopo per il generale sembra il ritratto dell’attuale partitocrazia, ivi compresi alcuni sedicenti federalisti, autonomisti e indipendentisti. Persone che si sono messe in vendita tante di quelle volte, che ora nessuno vuole comprarli.

Tra il 1958 e il 1963 l’Italia conobbe un periodo di cambiamenti economici e sociali senza pari nella sua Storia. Nel giro di pochi anni il paese uscito in rovine dalla guerra divenne una tra le maggiori potenze industriali del pianeta: gli italiani in questo periodo sperimentarono grandi cambiamenti nel loro stile di vita e nei loro consumi, le città modificarono il loro aspetto, trasformandosi in affollate metropoli, mentre il sistema delle comunicazioni e dei trasporti venne rivoluzionato.

Il primo consistente aiuto venne dagli USA. L‘European Recovery Program, meglio noto come “piano Marshall” dal nome del suo ideatore, venne varato nel giugno del 1947 e nel corso del triennio successivo, fino al 1951, riversò 13 miliardi di dollari, più aiuti materiali d’ogni genere, sulle economie europee e su quella italiana.

La ripresa economica italiana venne dunque dall’estero: l’inserimento dell’Italia nel blocco capitalista dei paesi occidentali a guida USA consentì l’inizio dell’intervento statunitense finalizzato a favorire la ripresa dell’intera economia europea.

Di conseguenza acquisimmo la NATO che da alleanza difensiva s’è trasformata in uno strumento per la proiezione di potenza, l’UE che sottrae sovranità alle singole nazioni, e l’€uro che rinunciando all’emissione di una moneta nazionale impone la spesa per interessi allo Stato italiano di 96 miliardi per il 2023, e 98 miliardi per il 2024. e via di questo passo per gli anni a venire.

Si aggiunga che niente di quello che ci hanno raccontato e ci propinano ancora oggi, è come sembra! Italia è la capitale europea delle fake news.

Lo si rileva nel rapporto della Commissione europea sul Codice di condotta delle piattaforme social (Google, Meta, Microsoft, TikTok). Seguita da Germania (meno della metà di contenuti rimossi rispetto all’Italia), Spagna, Paesi Bassi e Francia. [ https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/news/major-online-platforms-report-first-six-months-under-new-code-practice-disinformation ]

Věra Jourová, vicepresidente per i Valori e la trasparenza, ha dichiarato: «La disinformazione è ancora uno dei maggiori rischi per lo spazio europeo dell’informazione democratica, compreso quello connesso alla guerra della Russia in Ucraina e alle elezioni.» E Thierry Breton, Commissario per il Mercato interno, ha aggiunto: «L’integrità delle elezioni è una delle nostre priorità per l’applicazione della legge sui servizi digitali, in quanto stiamo entrando in un periodo di elezioni in Europa.» 

Intanto assistiamo alle più immani porcherie di macelleria sociale

Se politici screditati sono stati cacciati dall’incarico in Grecia, Spagna, Ucraina, Corea del Sud, Egitto, Cile e Tunisia. In Italia assistiamo ai funerali di Stato per un ex presidente della repubblica dimostratosi estremamente disinvolto.

Se in Grecia è stato presentato un disegno di legge al Parlamento che scuote il mondo del lavoro, i sindacati sembrano non reagire: fino a 13 ore di lavoro al giorno, multe fino a 5mila euro e carcere fino a 6 mesi per gli scioperanti che creano “blocchi” durante sciopero. Si torna indietro di secoli sui diritti conquistati con il sangue per i lavoratori.

In Italia poi godiamo le retribuzioni tra le più basse d’Europa.

Non bastasse: secondo i dati del Coordinamento Generale Statistico dell’Inps, classificati nell’ottobre del 2022, in Italia i pensionati erano 16.098.748 e le pensioni erogate 22.758.797, così suddivise: 53,4% pensioni di vecchiaia – 20,2% pensioni ai superstiti – 19,2% pensioni assistenziali – 4,4% pensioni di invalidità – 3,0% pensioni di indennizzo – I titolari con il trattamento al minimo sono 2,1 milioni, con una pensione di 525,3 euro mensili che, con l’aumento previsto nella passata legge di bilancio, è salito a 563,7 euro per il corrente anno e salirà a 571,6 euro per il 2024. Come si può vedere l’aumento è stato poco più di una mancetta che non copre nemmeno gli aumenti dei prezzi dovuto alla elevata inflazione. Nella soglia superiore ci sono coloro che percepiscono una pensione che arriva di poco a superare i 1.000 euro lordi e che sono 3,8 milioni.

Complessivamente si tratta di 5,9 milioni di persone che sono nella fascia della povertà o appena sopra e la cui situazione non è affatto cambiata con i modestissimi aumenti concessi dal Governo di centrodestra, oltretutto finanziati tagliando la rivalutazione per le pensioni un po’ più alte, quelle cioè del cosiddetto ceto medio che a parole tutti dicono di voler tutelare

Si aggiunga che per il FoSSC – Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani – in Italia, nei dieci anni dal 2011 al 2021, sono stati chiusi 125 ospedali (il 12% del totale), dei quali 84 strutture pubbliche e 41 private, con la perdita di decine di migliaia di posti letto. Il risultato di tutto quanto sopra è che ora mancano all’appello 30.000 medici ospedalieri, 70.000 infermieri e circa 100.000 posti letto. La previsione di spesa del Governo per la Sanità, per il triennio 2023-2026, si attesta al 6,8% del PIL, contro una media dei Paesi europei e dell’Ocse che è del 7,1%, con punte in Germania del 10,9% e vedono l’Italia collocata al 13° posto nella classifica europea. Anche per la spesa sanitaria “pro-capite” l’Italia, con 3.255 dollari rimane al di sotto della media dell’Ocse che è di 4.128 dollari e sono ben 15 le Nazioni europee che investono più di noi in Sanità.

L‘industria è condizionata dalla scarsità di materie prime e di fonti energetiche; di contro ilBelpaeseè il luogo da dove iniziare l’opera di riconquista di quel potere infinito sull’uomo (pandemia docet), detenuto per secoli da pochi e ceduto per poche decine di anni alla maggioranza.

Ma tranquilli, in Veneto c’è chi inneggia (e chiede voti per entrare nelle istituzioni) a «Prima il Veneto» oppure all’«Indipendenza Veneta», senza peraltro proporre risposte credibili ai problemi su indicati. Tanto, come più volte dimostrato, la leadership di un partito anti-establishment che non è disposta a liberarsi dalle strutture di potere esistenti, sarà cooptata o schiacciata quando le sue richieste saranno respinte dai centri di potere dominanti.

In estrema sintesi: nessuno sembra comprendere che per contrapporsi al potere organizzato bisogna disporre di un alternativo potere organizzato. 

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

 

La resistenza non è rivoluzione

In evidenza

Un esempio di effettivo esercizio di sovranità popolare, e dunque di sostanziale democrazia, lo possiamo constatare in Svizzera dove un Cantone dopo l’altro sta rivedendo le regole per le pensioni dei membri del Governo.

[ https://www.swissinfo.ch/ita/quei-vitalizi-che-quasi-pi%C3%B9-nessuno-vuole/48823276?utm_campaign=social_interactions&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=o&utm_term=automatic ]

Le rendite a vita sono ormai diventate una rarità.

«Le rendite vitalizie sono attualmente considerate privilegi anacronistici», ha sottolineato il Consiglio di Stato (esecutivo cantonale di Neuchâtel). «Mantenere un sistema che appare particolarmente favorevole è difficilmente difendibile.»

Vitalizi sono aboliti in quasi tutta Confederazione. Neuchâtel è solo l’ultimo di una lunga serie di Cantoni che hanno abolito quello che molte persone ritengono un privilegio ingiustificato. Anche in quei tre Cantoni che contemplano ancora un sistema di vitalizio, ovvero Grigioni, Vaud e Berna, è probabilmente solo una questione di tempo. Stando a chi ha promosso l’iniziativa, un consigliere o una consigliera di Stato riceve uno stipendio adeguato e deve essere in grado di badare a sé stesso, anche dopo aver abbandonato la carica.

In Italia l’Art. 1, Comma 2 della Costituzione vigente sancisce che «La sovranità appartiene al popolo…». Parole!

Sorvoliamo sui vitalizi che i parlamentari italiani si auto elargiscono, e dove al “sovrano” popolo italiano non è dato intervenire, per osservare come i “delegati” degli italiani evitano di sottostare ai loro mandanti, mentre il sovrano popolo svizzero decide in prima persona come e quanto compensare i propri rappresentanti.

Passiamo a trattare del diritto di resistenza e soprattutto interrogarci sui principi posti alla base del nostro ordinamento costituzionale: sovranità e persona. Tutela della collettività e salvaguardia della Repubblica e dei diritti inviolabili della persona.

Il tema della sovranità popolare non è una scoperta recente

Ad esempio, per S. Tommaso d’Aquino (1225-1274) l’auctoritas deriva al monarca da Dio tramite il popolo che, nel caso di violazioni sistematiche del diritto naturale, è legittimato a ribellarsi al sovrano. Per il santo la legge umana ha come fondamento sia la legge divina sia quella naturale. …il re non è il tiranno, ma colui al quale il popolo ha delegato la propria libertà e sovranità in nome della pace, dell’unità e del buon governo”. Questi concetti sono propri del “contratto comune”.

Anche Marsilio da Padova (1275-1342) tratterà l’argomento (per questo la chiesa lo perseguitò) nel Defensor Pacis, (“difensore della pace”. La sua opera più conosciuta), scritto nel 1324. Mersilio sostiene che è la volontà dei cittadini che attribuisce al Governo, Pars Principans, il potere di comandare su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato, esercitato in nome della volontà popolare. La conseguenza di questo principio era che l’autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal popolo, inteso come sanior et melior pars.

Nei secoli seguiranno altri autori che perseguono la stessa linea filosofica. Tra questi: Johannes Althusius, giurista tedesco (1557-1638); Ugo Grozio ovvero De Groot, olandese (1583-1645); Thomas Hobbes, filosofo politico inglese (1588-1679); John Locke, filosofo politico inglese (1632-1704); Tocqueville Visconte Alexis Henri Charles de Clérel, politico e storico francese (1805‐1859); Filippo Mazzei, italiano (1730‐1816) che attraverso Thomas Jefferson influenzerà pesantemente la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 5 luglio 1776. In particolare Noi riteniamo che tutti gli uomini sono stati creati tutti uguali, che il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti (…) che ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini, sia diritto del popolo il modificarla o l’abolirla, istituendo un nuovo governo che ponga le basi su questi principi (…) Allorché una lunga serie di abusi e di torti (…) tradisce il disegno di ridurre l’umanità ad uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo diritto, rovesciare un tale governo”.

A seguire c’è la schiera dei federalisti

Pierre Joseph Proudhon, francese (1809‐1865), considerato il caposcuola del federalismo integrale inteso come teoria dello Stato contrattuale.

Per P. J. Proudon sia il ruolo, sia la legge dello Stato devono essere l’effetto della volontà dei cittadini su fatti sociali limitati, cioè il contenuto di un contratto politico (o di federazione) formale, scritto, letto, discusso ed approvato a maggioranza dagli aventi diritto al voto, oppure dalla stessa legittimato.

Giuseppe Ferrari, giurista, filosofo e politico italiano (1811‐1876). Grande amico di P. J. Proudhon con cui condivideva l’idea del carattere contrattuale dello Stato. Aveva la visione politica di un’Italia costituita come Federazione dei suoi popoli.

Carlo Cattaneo (1801‐1869) italiano. Professore di lettere e scienze umane. Discepolo di Domenico Romagnosi. Dedicò la vita a studiare le problematiche sociali ed economiche affinché l’Italia potesse evolversi, attraverso il progresso scientifico ed il federalismo di cui aveva compreso l’enorme portata sociale.

Adriano Olivetti, ingegnere, imprenditore e politico italiano (1901‐1960). Mentre in Europa imperversa la seconda guerra mondiale, Olivetti si rifugia in Svizzera dove completa la stesura del libro: L’ordine politico delle comunità, che critica i partiti e il parlamentarismo integrale.

Daniel J. Elazar, statunitense (1934-1999). Teorico del Federalismo, è stato professore di Scienze politiche alla Temple University di Philadelphia, dove fondò e diresse il Centro per lo Studio del Federalismo. In un suo libro tradotto da Marco Bassani (Idee e forme del Federalismo), scrive: «La sovranità nelle repubbliche federali viene invariabilmente attribuita al popolo, che delega i propri poteri ai diversi governi o che si accorda per esercitare direttamente quei poteri come se fosse esso stesso il governo. […] Il popolo sovrano può delegare e dividere i poteri come meglio crede ma la sovranità rimane una sua proprietà inalienabile.» Questo è il senso profondo e la “causa prima” del Federalismo!

Il Federalismo Integrale o della Persona

Scriveva Pierre Joseph Proudhon: affinché il Contratto politico o di Federazione sia vantaggioso ed utile per tutti, occorre che il cittadino, entrando nella associazione tra sé e lo Stato:

1 – abbia tanto da ricevere dallo Stato, quanto ad esso sacrifica.

2 – conservi tutta la propria libertà, sovranità e iniziativa, meno ciò che è la parte relativa all’oggetto speciale e limitato per il quale il contratto è stipulato e per la quale si chiede la garanzia allo Stato.

3 – che la quantità di “sovranità” che gli aventi diritto al voto cedono ai loro “rappresentanti” sia sempre inferiore a quella che riservano per sé. Così regolato ed inteso, il “contratto politico” è una federazione.

Alla luce di ciò si può comprendere perché la partitocrazia veda il federalismo come il fumo negli occhi, e lo abbia praticamente cancellato dall’agenda politica.

Ai giorni nostri il senese Mauro Aurigi ci segnala che la sovranità non viene ceduta tramite il voto ai partiti. [ https://www.ilcittadinoonline.it/lettere/aurigi-la-costituzione-populista/?fbclid=IwAR1RnDGlkU9xy0xpJjambd7ckqd4Rii30zBJu53zu4qPpufeNDZ1lBvzt-w ] «Il termine “partito” nella Costituzione è citato una sola volta. Della loro funzione, ruolo, utilità, necessità e, meno che mai, indispensabilità, non c’è altra traccia in tutto il testo della Carta, neanche per le elezioni o la formazione del governo

Il nuovo concetto di cittadinanza attiva richiede forse un diritto di resistenza utile spesso a rendere dinamico il diritto che non è verità e dogma assoluto, ma è materia plasmabile che, dunque, spesso trae dalle proprie rotture la forza e le idee per farsi nuovamente norma credibile.

Luca Scuccimarra (vedi: Obbedienza, resistenza, ribellione. Kant e il problema dell’obbligo politico, Jouvence, Roma, © 1998) scrive che la rivoluzione non aspira a una qualificazione all’interno delle categorie giuridiche dell’ordinamento valido ed effettivo che essa mira a rovesciare, mentre la resistenza si pone l’obiettivo di conservare un ordinamento che appare minacciato o si rivolge contro una violazione di tale ordinamento già verificatasi – per reintegrarlo nella struttura delineata dai suoi principi fondamentali -, ma dopo che sia stato esperito invano ogni ulteriore rimedio predisposto dallo stesso ordinamento.

Generalmente la forza rivoluzionaria è intrisa di potere costituente che punta a divenire potere costituito. E comunemente detta forza viene esercitata con la violenza; ma ci sono delle eccezioni.

Secondo Freedom House, [https://freedomhouse.org/sites/default/files/How%20Freedom%20is%20Won.pdf ] dal 1966 al 1999 la resistenza civile nonviolenta ha giocato un ruolo chiave nel guidare 50 casi (su 67) di transizione politica da Stati autoritari.

Questi argomenti difficilmente sono trattati dai mezzi d’informazione italiana. Del resto la maggior parte di essi ricevono il finanziamento pubblico deliberato dal Parlamento. Quis custodiet ipsos custodes?

D’altro canto in Italia, il 27,7% della popolazione è analfabeta funzionale.

Detto in parole semplici, un analfabeta funzionale sa leggere e scrivere, ma non capisce. L’Italia ha la concentrazione più alta (nei Paesi OCSE) di analfabeti funzionali tra i 16 e i 65 anni. Il dato è tra i più rilevanti in Europa. È superato solo da quello della Turchia (47%).

I ternativi di cambiare le cose “dal di dentro” facendosi eleggere nelle istituzioni non hanno ottenuto alcun risultato apprezzabile. Partiti e personaggi che si proponevano il cambiamento di regime: Umberto Bossi e la Lega Nord, o il duo Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio con il M5S (solo per fare due esempi) sono stati cooptati dal “sistema”.

Ci sono anche altri “alternativi” (autonomisti, indipendentisti et similia) che vogliono entrare nelle istituzioni per rinnovarle, ma non presentano seducenti progetti di costruzione politica.

Tornando al passato potremmo acquisire un insegnamento di Henry David Thoreau, che all’inizio del suo saggio del 1849, Sul dovere della disobbedienza civile, osservò scherzosamente: Il governo migliore è quello che governa meno“.

Thoreau definì il “diritto alla rivoluzione” come “il diritto di rifiutare fedeltà e di resistere al governo”, quando la sua tirannia o la sua inefficienza sono grandi e insopportabili. E aggiungeva: «Se l’esattore delle tasse, o qualunque altro pubblico ufficiale, mi chiede, come qualcuno ha fatto, ‘ma cosa devo fare?’, la mia risposta è: ‘se vuoi veramente fare qualcosa, dai le dimissioni’. Quando il cittadino si rifiuta di obbedire, e l’ufficiale dà le dimissioni dal suo incarico, allora la rivoluzione è compiuta.»

In conclusione, sembrerebbe che chi si presenta alle elezioni regolate dai partiti del cosiddetto mainstream non vuole la rivoluzione.

Enzo Trentin

Accecati dall’amnesia storica

In evidenza

Per descrivere il periodo di grande instabilità politica e sociale degli anni ’70 Indro Montanelli usava un’eloquente metafora: più volte si lamentò di un’Italia che oscillava tra una destra che ricordava il «manganello», e una sinistra che evocava il «bordello».

A ben riflettere sono passati circa 50 anni ma l’esposizione appare ancora valida.

Infatti, il governo è infecondo, e subornato da poteri allogeni.

Malgrado la narrazione di “palazzo”, elaborata da corifei ben remunerati, siamo in recessione economica; tuttavia sosteniamo la guerra in Ucraina. E si fa finta di ignorare che oltre 50 mila italiani vivono in Baraccopoli da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina, tra amianto, topi e rassegnazione

[ https://www.lastampa.it/cronaca/2017/04/16/news/baraccopoli-d-italia-1.34613682/ ].

A costoro vanno aggiunte le vittime delle catastrofi naturali e dei terremoti per i quali non si è ancora trovata una soluzione definitiva. Di contro assistiamo con molti mezzi i clandestini che entrano quotidianamente a frotte, e che con una capriola semantica sono chiamati migranti.

Intanto, la Germania blocca i migranti dall’Italia, e la Francia blinda le frontiere.

La tutela del territorio e delle sue infrastrutture praticamente non esiste. Siamo al dissesto idrogeologico. Malgrado la tragedia del ponte Morandi a Genova, il gestore (la famiglia Benetton) se n’è andato con un bonus economico miliardario a spese dei contribuenti.

La classe politica è inadeguata, con personaggi che sembrano “incistati” nelle istituzioni da decenni, e non facilitano le riforme. Vedasi i referendum sull’autonomia regionale del 22 ottobre 2017 a tutt’oggi privo di esecuzione. O il sussistere dei referendum “consultivi” che sono sic et simpliciter solo un furto di democrazia.

La fallace democrazia italiana è portata avanti da élite dangerous. Da stuoli di opachi dirigenti locali perennemente in affanno. Da mestieranti senza futuro impegnati in ammucchiate prive di buon senso, e sempre alla ricerca del reciproco tornaconto. Secondo l’Osservatorio dei disservizi, da tempo l’Italia non funziona a partire dalla Pubblica amministrazione.

Montesquieu ammoniva: «Chiunque detenga il potere, prima o poi è portato ad abusarne». La democrazia interna ai partiti dovrebbe servire proprio a questo, a sottoporre ad un primo vaglio critico le scelte dei leader, i quali dovrebbero essere contenti di circondarsi di persone competenti e anche critiche nei loro confronti, così da essere sempre controllati e mai tentati di andare fuori misura. Invece gli yes man fanno carriera, e i “clientes” prosperano.

Il sistema dei partiti con la sua conflittualità permanente è inidoneo.

In provincia di Bolzano, da oltre 25 anni è attiva l’associazione l’Iniziativa per più Democrazia. Poco tempo fa, attraverso una mobilitazione popolare è stata in grado di far approvare alla Provincia Autonoma di Bolzano alcune norme sull’esercizio della democrazia diretta. Tuttavia il partito egemone: Südtiroler Volkspartei è riuscito a depotenziarne l’esercizio.

In queste ultime settimane “L’Iniziativa” s’è alleata con 8 altri partiti: Die Freiheitlichen – Enzian – Fratelli d’Italia – Grüne Verdi Vërc – Movimento 5 Stelle – Partito Democratico – Südtiroler Freiheit – Team K, al fine di partecipare alle elezioni provinciali del 22 Ottobre 2023.

La speranza de «l’Iniziativa» è quella d’ottenere una maggioranza in Consiglio provinciale al fine di realizzare le riforme per le quali lotta da decenni. Tuttavia, alcuni osservatori hanno l’impressione che, in caso di successo, questa eterogenea coalizione sarà più orientata a scalzare l’egemonia della SVP, piuttosto che ad agire efficacemente per gli interessi dei cittadini.

Eppure, secondo il sondaggio ASTAT 2022, la grande maggioranza degli altoatesini (oltre il 70%) è convinta che i referendum siano importanti almeno quanto le elezioni.

I cahiers de doléances (i quaderni delle lamentele) potrebbero continuare ma la realtà è sotto gli occhi dell’uomo qualunque: il conflitto centrale della nostra epoca non è tra destra e sinistra, ma tra le élite e le masse, tra la torre e la piazza, tra i guardiani e le persone che vanno a una festa senza essere invitate.

Oggi la ricchezza è concentrata nelle mani di un’élite oligarchica globale – l’1,2% della popolazione mondiale detiene il 47,8% della ricchezza complessiva delle famiglie [ https://www.statista.com/chart/11857/the-global-pyramid-of-wealth/ ] – che demolendo i controlli e le regolamentazioni governative, crea una massiccia disuguaglianza di reddito e un potere monopolistico. Alimenta l’estremismo politico e distrugge la democrazia.

La razionalità economica non è il punto.

La giornalista indipendente australiana Caitlin Johnstone c’informa della spinta a diminuire l’occupazione come hanno sostenuto negli ultimi mesi influenti economisti del calibro di Larry Summers, Ben Bernanke e Olivier Blanchard.

Non possiamo continuare a tollerare sistemi che devono necessariamente abusare dei lavoratori con la sofferenza finanziaria per continuare ad aumentare i profitti e i bilanci trimestrali. Dobbiamo superare questi modelli basati sulla competizione, in cui le persone sono manipolate dalla sofferenza finanziaria per calpestarsi l’un l’altra in una corsa di topi per dimostrare alla classe dirigente che possono generare più profitti per il loro datore di lavoro rispetto al loro vicino. Dobbiamo passare a sistemi basati sulla collaborazione, in cui tutti lavoriamo insieme per il bene di tutti e per far prosperare la nostra biosfera. I nostri attuali sistemi di status quo ci stanno soffocando.

Per il giornalista statunitense Chris Hedges: “il neoliberismo è un’assurdità. Nessuna delle millantate promesse della teoria economica neoliberista è neanche lontanamente possibile.” [ https://scheerpost.com/2023/09/10/chris-hedges-the-pedagogy-of-power/ ]. Lo scopo del neoliberismo è fornire una copertura ideologica che consenta agli oligarchi al potere di aumentare la ricchezza e il controllo politico.

C’è chi si sforza di parlare della distinzione aristotelica tra il buon cittadino e la persona buona. La lealtà della persona buona non è verso lo Stato. La persona buona “agisce e vive virtuosamente e trae felicità da questa virtù”. Il buon cittadino, invece, è definito dal patriottismo e dall’obbedienza allo Stato. La persona buona, come Socrate o Martin Luther King, Jr. entra inevitabilmente in conflitto con lo Stato quando vede che questo si allontana dal bene. La persona buona viene spesso condannata come sovversiva. Raramente la persona buona viene premiata o celebrata dallo Stato. Questi riconoscimenti sono riservati al buon cittadino, la cui bussola morale è influenzata dai potenti.

Gli impostori intellettuali e gli analfabeti politici sono una sciagura.

Le idee, per quanto esoteriche possano apparire al pubblico, sono importanti. Queste idee plasmano una società, anche se la maggior parte della società non conosce le sfumature e i dettagli di queste teorie.

La disgregazione della società, le guerre, le rivoluzioni e i crolli istituzionali ed economici cancellano i sistemi di credenze consolidati e rendono vuoti i luoghi comuni e gli slogan utilizzati per giustificarli. Queste instabilità e queste vicissitudini fanno emergere nuove idee, nuovi concetti, nuove risposte alle vecchie domande.

Ma gli avversari dei principali partiti politici non trovano di meglio che organizzarsi in altri partiti. Eccepiscono sulle istituzioni, ma cercano il consenso elettorale per entrare nel regime. Vogliono mutare l’ecosistema politico, ma per non rimanere ai margini del potere finiscono per esserne cooptati.

Con quali strumenti si esercita la democrazia reale?

Perché gli “alternativi” non propongono una inesplorata lettura dell’articolo 49 dell’attuale Costituzione? Sono 20 parole in tutto: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Qui le parole chiave sonodiritto”, ovvero tutti i cittadini hanno diritto a costituirsi in partiti, non l’obbligo. Mentre le altre due parole chiave sono:per concorrere”, vale a dire che se i partiti politici contribuiscono a concorrere, chi sono allora gli altriconcorrenti” e “contributoriche partecipano alla determinazione della politica nazionale se non i cittadini stessi in prima persona attraverso gli istituti di partecipazione popolare che sono previsti (perché l’UE ce l’ha chiesto. Sic!) ma sono stati resi inefficaci dalla partitocrazia?

È bene sottolineare che la democrazia diretta è un po’ come l’atomica: è deterrente! Non se ne fa un uso compulsivo. Eppoi c‘è un’altra lettura inesplorata, quella dell’Art. 1, Comma 2, della Costituzione che afferma come la sovranità appartenga al popolo. Ma come fa attualmente questo popolo a esercitarla? E se un “sovrano” non esercita il suo potere che sovrano è?

La sola elezione dei rappresentanti non è di per sé titolo sufficientemente democratico. Nell’artica Grecia, come per secoli nella Repubblica di Venezia e altrove, il sorteggio per le cariche pubbliche era la norma, mentre l’elezione era uno strumento limitato. Un tema, questo, attualmente allo studio in molte Università occidentali e presso vari think tank. Qui una proposta (non l’unica praticabile) https://blogdiet.wordpress.com/2023/01/23/le-cose-andranno-meglio-se-si-tolgono-di-mezzo/

Pleonastico qui citare L’analfabeta politico” di Bertolt Brecht

C’è un motivo per cui la classe dirigente, come le classi dominanti di tutta la storia, cerca di mantenere i poveri e gli oppressi senza istruzione. Non vogliono che coloro che vengono messi da parte dalla società ricevano il linguaggio, i concetti e gli strumenti intellettuali per poter reagire.

Ci sono “sovversivi” che non hanno ancora elaborato un innovativo progetto di costruzione politico-sociale. E laddove ce l’hanno perché non dirlo? E se non è vero, allora i contestatori vogliono davvero vivere nell’attuale sistema?

Uno sfortunato esempio, ma pur sempre un monito di verità per accorgersi come e cosa poter migliorare, è la Costituzione della seconda Repubblica Romana (essendo stata la “prima” quella di epoca napoleonica, ed escludendo l’antica Roma da tale enumerazione). Essa è costituita da 8 principi fondamentali (seguono 69 articoli) di straordinaria modernità che introducevano – fra gli altri – la sovranità del popolo, il suffragio universale, l’uguaglianza, la libertà di culto, l’abolizione della pena di morte, la laicità dello Stato, la divisione dei poteri, ovvero i cardini delle Costituzioni delle democrazie liberali del Novecento.

Il 17 marzo 2011, l’allora Presidente della Repubblica, nell’ambito delle celebrazioni per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia, inaugurò il “Muro della Costituzione Romana“. Tale manufatto funge da parapetto sul Belvedere del Gianicolo. È un monolite in ferro e calcestruzzo che riporta incise le circa 10.000 lettere che compongono il testo della Costituzione della Repubblica Romana del 1849.

Le anime belle sono anime piene di contrasti, sono volubili e testarde allo stesso tempo, si contraddicono, sono infelici, ambigue, complicate. Ciò nonostante ci insegnano a non permettere mai che i sogni di un mondo perfetto ci distolgano dalle rivendicazioni degli uomini che soffrono qui e ora. Potremmo sommessamente suggerire che, mal che vada e ad imitazione, i sedicenti indipendentisti veneti (e a valere per i loro omologhi), laddove potessero esibire un analogo documento, potrebbero esporlo sul ponte di Rialto a Venezia.

Enzo Trentin

Cambiare tutto per non cambiare niente?

In evidenza

Il New York Time del 21 agosto 2023, titolava: “Le elezioni fanno male alla democrazia”.      [ https://www.nytimes.com/2023/08/21/opinion/elections-democracy.html/ ]

L’articolo è a firma del Dr. Adam Grant opinionista. Psicologo organizzativo presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania. È anche consulente di Google e di Bill Gates, nonché spin doctor del World Economic Forum (WEF).

Nell’articolo, alla vigilia del primo dibattito della corsa presidenziale USA del 2024, argomentava che la fiducia nel governo è ai minimi storici. I funzionari hanno lavorato duramente per salvaguardare le elezioni e assicurare ai cittadini la loro integrità. Ma se vogliamo che le cariche pubbliche abbiano integrità, forse è meglio eliminare del tutto le elezioni a favore del sorteggio.

I brogli elettorali nel mondo

L’accusa di brogli elettorali in Italia è antica. Durante il Risorgimento le annessioni degli Stati preunitari al Regno d’Italia vennero sempre ratificate mediante plebisciti. Tali consultazioni, a suffragio censitario, si svolsero senza tutela della segretezza del voto e talvolta in un clima di intimidazione.

Sulla nascita della Repubblica Italiana i monarchici attribuirono la loro sconfitta ai brogli elettorali. Nel quotidiano Il Giornale del 25 aprile 2004 apparve un’intervista di Stefano Lorenzetto a Massimo Caprara, per 20 anni segretario di Palmiro Togliatti (Segretario generale del Partito Comunista Italiano, Ministro di grazia e giustizia del Regno d’Italia dal 21 giugno 1945 al 1º luglio 1946), dal titolo:Io, segretario di Togliatti, vi dico che fu il Peggiore.

In essa, tra l’altro, alla domanda: Sta confermandomi i brogli? Caprara rispose: «Le dico solo questo: avevamo fatto stampare più schede del numero dei chiamati alle urne. In caso di necessità…» e aggiunge: «Eravamo efferati, ma non stupidi.»

Un caso acclarato di frode elettorale è il referendum istituzionale nello Stato del Vietnam del 1955, dove i voti conteggiati per la repubblica superarono il numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali.

Gravi controversie hanno investito le elezioni presidenziali del 2000 nello Stato della Florida, che, per un soffio, e dopo settimane di approfondimenti da parte della Corte Suprema, hanno assegnato la vittoria allo sfidante repubblicano George W. Bush.

Altre accuse di forti irregolarità sono state registrate durante le elezioni presidenziali americane del 2004, che hanno rieletto il presidente Bush, e nelle elezioni generali filippine dello stesso anno.

Più recentemente forti sospetti di brogli elettorali ci sono stati in Bielorussia, nelle elezioni di marzo 2006, e nel febbraio dello stesso anno durante le elezioni ad Haiti.

Dopo la consultazione elettorale tenutasi in Iraq il 15 dicembre 2005, il “Fronte dell’accordo iracheno”, una delle principali liste sunnite, ha denunciato palesi irregolarità. I brogli si sarebbero registrati in particolare a Baghdad, dove la lista sciita “Alleanza irachena unita” avrebbe ottenuto quasi il sessanta per cento.

Nel referendum costituzionale in Turchia del 2017 c’è stato un forte sospetto di brogli a causa di due milioni di schede non timbrate. Secondo il Supremo Consiglio elettorale, le schede erano da considerare valide, e quindi non ci sarebbe stato nessun broglio, ma il CHP sostenne che i membri del consiglio erano a favore dell’AKP e li accusarono di «abuso d’ufficio».

Subito dopo la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali statunitensi del 2020, il suo sfidante repubblicano e presidente uscente Donald Trump ha immediatamente denunciato la presunta presenza di brogli elettorali, soprattutto in alcune schede del cosiddetto voto per posta, in Stati chiave come Arizona, Michigan, Wisconsin, Pennsylvania e Georgia. Arrivando a minacciare anche ricorsi legali in oltre una decina di Stati. Il successivo 6 gennaio, in concomitanza con gli scontri avvenuti davanti al Campidoglio che hanno causato diversi arresti e la morte di quattro persone, il Congresso statunitense ha infine ratificato la vittoria di Biden.

La lista dei brogli elettorali nel mondo potrebbe continuare, ma crediamo che basti.

Tornando ad Adam Grant, egli riferisce che in uno studio sulle elezioni in tutto il mondo, i candidati che sono stati valutati dagli esperti come aventi alti punteggi di psicopatia in realtà hanno avuto la meglio nelle urne. Negli Stati Uniti, i presidenti valutati come aventi tendenze psicopatiche e narcisistiche erano più persuasivi con il pubblico rispetto ai loro avversari.

Ecco allora che Adam Grant se ne esce con l’idea che eliminando il voto, i candidati con tratti oscuri avrebbero meno probabilità di salire al vertice delle istituzioni.

Il sorteggio farebbe anche risparmiare un sacco di soldi. E se non c’è campagna, non ci sono interessi speciali che si offrono di contribuire a pagarla. Infine, nessun voto significa anche nessun collegio elettorale da contestare. Tuttavia il sorteggio darebbe la possibilità di vincere a persone che non sono adeguate.

In effetti, Grant spiega che tutti coloro che fossero intenzionati ad entrare nel sorteggio dovrebbero essere controllati:

«In America, possiamo immaginare che chiunque voglia entrare nell’estrazione a sorte dovrà superare un test di educazione civica – lo stesso standard degli immigrati che chiedono la cittadinanza. […] se vogliamo che negli uffici pubblici ci sia l’onestà, sarebbe meglio eliminare del tutto le elezioni. […] Se vi sembra un’idea antidemocratica, ripensateci. Gli antichi greci avevano inventato la democrazia e ad Atene molti funzionari governativi venivano selezionati utilizzando la sorte – scelti a caso da una rosa di candidati. E se facessimo lo stesso con sindaci, governatori, legislatori, giudici e persino presidenti?

«[…] in futuro il discorso sarà privo di disinformazione indesiderata, anche se la disinformazione indesiderata sarà vera.»

Ecco, questi radicali immaginano un futuro “libero dalla politica dei partiti”, con un discorso “disintossicato”, e con leader selezionati tra un pool di candidati approvati dal World Economic Forum?

A questo punto si ha l’impressione d’essere precipitati nel mondo distopico descritto da George Orwell: “Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo e ancora il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro.” Ovvero Quis custodiet ipsos custodes? Che letteralmente significa: «Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?»

Sul WEF si hanno abbastanza notizie per comprendere che non è l’esercizio dell’autentica democrazia che interessa al Prof. Klaus Schwab e colleghi.

Appare semmai interessante riflettere come ai nostri giorni ci sono intellettuali così coinvolti nella politica (Adam Grant sembra tra questi) da agire come la “milizia spirituale” del potere. In questa chiave di lettura di “chierici moderni” c’è chi è coincidente con ciò che detta la passione politica o la parte politica di cui l’intellettuale si è messo al servizio. Nessun dubbio che la “carriera” degli intellettuali, storicizzata, appaia contraddittoria. Un po’ dalla parte della vita, un po’ dalla parte del proprio mestiere. L’intellettuale perciò non è uno che si rende difficile la vita, è piuttosto uno che rende difficile la vita agli altri.

Una selezione per scacciare l’oligarchia dei peggiori, cioè dei politici professionisti, si può operare all’interno di un grosso campione qualificato che riproduca la democrazia diretta di Atene.

Questa soluzione è sempre più oggetto di studio sia in alcune Università, che presso molti think tank occidentali, ed una delle soluzioni (non l’unica) si può consultare qui: https://blogdiet.wordpress.com/2023/01/23/le-cose-andranno-meglio-se-si-tolgono-di-mezzo/

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Art. 21 della costituzione? Non pervenuto!

In evidenza

di Tony Fassina Quanto accaduto al Generale Roberto Vannacci è emblematico di un’epoca. Aver scritto Il mondo al contrario sulla decadenza dei nostri costumi gli è costata la rimozione dalla guida dell’Istituto geografico militare di Firenze. Ma ciò che è più rilevante è che se sei un politico puoi dire ciò che vuoi, se sei un cittadino (per giunta in divisa) non lo puoi fare.

In teorica nel sistema democratico qualunque cittadino può fare politica. In realtà oggi bisogna avere un partito. Se appartieni ad un partito politico puoi dire qualsiasi cosa o giù di lì; viceversa è meglio lasciar perdere.

Un’altra considerazione è che un leader non può emergere senza un movimento politico, e un movimento si manifesta solo con l’ispirazione di un leader. Tuttavia come diceva Martin Luther King: «un vero leader non cerca il consenso, lo crea

La democrazia nel paese di Arlecchino e Pulcinella è sempre stata fragile, e sarà sempre cagionevole fino a che sarà subordinata alle cricche politiche che vivono di rendite politiche, anteponendo i principi alla convenienza. Affinché la democrazia continui ad essere tale, noi contemporanei non dobbiamo fare ciò che hanno fatto i nostri antenati.

Di fatto oltre il 50% degli aventi diritto diserta le urne, perché vuole decidere, non sentirsi dire cosa è nel loro interesse.

Il modo in cui le cricche politiche vincono le campagne è identificando i loro elettori-clientes. Questa è la formula.

La definizione da manuale di un politico è: colui che può fare tutto ciò che ha letteralmente giurato che non avrebbe mai fatto. I candidati non sono credibili, perché non sono in grado di garantire che avranno le risorse, l’organizzazione e le infrastrutture per essere oculati e competitivi pubblici amministratori.

Ci sono persone di alto profilo che fanno cose stupide.

Gente che dà l’impressione di avere come protettore San Giuda Taddeo, noto come il Santo Patrono delle cause perse o disperate, laddove si mette a capo di Movimenti o partitucoli di nessuna rilevanza elettorale, e che sovra mercato chiede il voto per entrare nelle istituzioni avendo idee bislacche. Chi vuole entrare in Parlamento per “aprirlo come una scatola di tonno” per poi farsi cooptare dalla partitocrazia imperante (“Giggino” Di Maio docet! ), o chi ha la bizzarra pretesa di sedere sui banchi dell’Ente Regione per rivendicare l’autonomia e finanche l’indipendenza.

Ma per parafrasare Winston Churchill laddove criticava Neville Chamberlain: («Avete scelto il disonore e adesso avrete la guerra») hanno scelto di giocare con le carte manipolate dalla partitocrazia. Quindi non avranno l’autonomia cui aspirano, figuriamoci l’indipendenza. Il meglio che potranno ottenere sarà la cooptazione.

Questi mediocri rappresentanti e pseudo riformatori si preoccupano delle stesse cose che fanno tutti gli altri. Ma la cronaca di tutti i giorni ci testimonia ben altro, e appare superfluo fare un elenco. Troppo esteso esso risulterebbe, e anche un analfabeta funzionale se ne rende conto.

Un elettore che oggi diserta le urne è qualcuno che è scontento dell’attuale sistema, come dei partiti politici. Vuole vedere qualcosa di diverso, e ha quasi rinunciato alle pulsioni del proprio spirito civico non intravvedendo alternative. Queste persone credono nella responsabilità personale e credono nel servizio.

Le proteste sorgono un po’ dappertutto. Vedasi la disobbedienza civile digitale in USA nel 2013; i gilet gialli in Francia nel 2014; la rivoluzione del popolo in Sudan nel 2019, e altro ancora. Esse sono dovute alla presa di coscienza che il conflitto centrale della nostra epoca non è tra rosso e blu, ma tra le élite e le masse, tra la torre e la piazza, tra i guardiani e i gate-crashers.

Qui in Occidente per la prima volta abbiamo il seguente enigma: siamo più ricchi di qualsiasi società nella storia del mondo. Allora perché così tanti si sentono così vuoti?

Dobbiamo avere persone disposte ad essere oneste e a dire la verità, anche quando è scomoda o potenzialmente impopolare.

Questi individui se guidati da “indignazione morale”, potrebbero far vergognare i politicanti in servizio permanente effettivo ed elaborare un progetto istituzionale innovativo atto a cambiare i loro modi.

Per scacciare l’oligarchia dei peggiori, cioè dei politici professionisti, esiste una sola via: le elezioni andranno sostituite dal sorteggio, da operare all’interno di un grosso campione qualificato che riproduca la democrazia diretta di Atene. Questa soluzione è sempre più oggetto di studio sia in alcune Università, che presso molti think tank occidentali.

Cittadini ispirati dall’ossimoro: idealismo pragmatico.

L’idealismo, perché si concentra sul raggiungimento del massimo risultato per il maggior numero di persone. Il pragmatismo, con il quale si cerca di capire come raggiungere questo obiettivo. Per l’idealista è sapere che ha una reale possibilità poiché le persone sono alla ricerca di un cambiamento. Ciò richiede che facciamo qualcosa al riguardo.

Si tratta di tornare a quei principi senza tempo che ci hanno portato dove siamo oggi. Quando il nostro computer non sta facendo qualcosa di giusto, cosa si fa? Lo si riavvia. Non si mette un nuovo sistema operativo su di esso.

Quando si guarda al motivo per cui le persone sono frustrate dalle nostre istituzioni, è perché le nostre istituzioni non forniscono i servizi che dovrebbero fornire. Prendiamo qualcosa di basilare nel governo:

  • Perché ci vogliono mesi per rinnovare il passaporto? Questo è qualcosa che dovrebbe richiedere minuti.
  • Come ovviare all’eccessiva ed oppressiva burocrazia?
  • Perché un giovane sa già che non avrà una pensione adeguata e molto probabilmente vivrà al di sotto della soglia della povertà?
  • Come usare la tecnologia del linguaggio contrattuale per rendere più semplice la vita di tutti coloro che troppo spesso inciampano negli intricati manuali e in quei contratti lunghissimi, scritti piccolo piccolo e con parole che vogliono dire tutto e il suo contrario?
  • Come affronteremo qualcosa come l’intelligenza artificiale, che stravolgerà ogni singolo settore, non in dieci anni, ma in due o tre anni?

Quindi il riavvio per tornare effettivamente alle pari opportunità. Tornando a proteggere il diritto individuale delle persone ad essere se stesse. Tornando al controllo locale. Questi principi ci aiuteranno a raggiungere il nostro potenziale illimitato.

Sono tutte questioni che dovrebbero essere contemplate in un innovativo progetto di costruzione politica che l’attuale classe politica non è in grado di produrre. Meglio: che non ha interesse ad elaborare.

Come dare l’addio a tutto questo

In evidenza

Un tempo, per insegnare ai bambini piccoli le conseguenze negative del dire bugie e le virtù dell’essere onesti, si raccontavano delle favole:Pinocchio“, quella de “Il ragazzo che gridava al lupo al lupo“, e altre ancora. Erano considerate uno strumento ideale per dare delle lezioni di vita. Coinvolgendo i bambini in quei racconti veniva attirata meglio la loro attenzione.

Difficile riscontrare nel passato una istruzione pubblica come ai giorni nostri. Tuttavia è diffuso l’analfabetismo funzionale, ovvero l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. Questo in pratica si traduce nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni riscontrabili nella società.

L’informazione

Generalmente chi fa comunicazione è il giornalista. Costui nasce con le gazzette nel secolo XVI. Anversa, Augusta, Strasburgo, Venezia sono le città che danno inizio alla diffusione delle gazzette a stampa dalla periodicità settimanale o quindicinale.

Ci fu un tempo in cui alcuni giornalisti cominciavano la loro professione nelle tipografie dove, sporcandosi le mani d’inchiostro e aspirando le emissioni di piombo delle linotype, iniziavano l’apprendistato come correttori di bozze.

Oggi non è più così. Una formazione al giornalismo viene offerta da alcune Università attraverso la facoltà di scienze della comunicazione che offre una scelta trasversale in altri settori, da quello sociologico a quello economico. È approfondito lo studio dei media “mainstream” e digitali (editoria, giornali, cinema, radio, televisione, piattaforme web, blog, social), ma anche il campo degli eventi culturali e della comunicazione istituzionale e d’impresa. Perché – si dice – le aziende e la politica hanno bisogno di esperti comunicatori per trasmettere il giusto messaggio. Le bugie si raccontano ancora, ma la loro elaborazione è molto più sottile e sofisticata. La dignità di chi racconta bugie è un’altra cosa.

Così formati i più giovani e idealisti aspirano ad assumere la qualifica di giornalista che politicamente può trasformarsi in “cane da guardia del potere”; ma si tratta di una fanfaluca. L’informatico e attivista statunitense Edward Snowden, reso famoso per la sua attività di whistleblower (gola profonda), è stato costretto a naturalizzasi russo per sfuggire alle sanzioni del potere che risiede a Washington. Julian Assange, il giornalista australiano cofondatore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks, sta marcendo in prigione per aver assunto tale ruolo. I giornalisti “con la schiena diritta” sono quindi… informati.

Il capitale

C’è stato un tempo in cui il capitale serviva per costruire fabbriche che sfornavano prodotti. Gli industriali più illuminati edificavano poi alloggi dignitosi per le loro maestranze. Tali abitazioni si trasformavano in quartieri, villaggi e città.

Oggi una finanza speculativa non produce beni. Subornando alcuni politicanti il capitalismo predatorio si dedica alle “false flag“, ovvero operazioni sotto falsa bandiera con l’intento di mascherare l’effettiva fonte di responsabilità e incolpare un’altra parte. Oppure si dedica al “Regime change” (cambio di regime) cioè la sostituzione parzialmente forzata o coercitiva di un governo con un altro.

Una “singolare” democrazia

In «Le guerre illegali della NATO» © 2016, Daniele Ganser scrive: «Ritengo significativi i risultati dello studio di Gilsen e Page nonché l’affermazione che gli USA sono diventati davvero un’oligarchia. Oggi negli Stati Uniti vivono circa 300 milioni di persone. E difficile quantificare il numero degli oligarchi, ovvero da chi sia costituita l’élite che guida il paese e la sua politica, e nella ricerca storica è una questione controversa. Io parto dalla considerazione che sia appena l’1 per cento della popolazione, cioè circa tre milioni di individui, che si distinguono dagli altri perché sono molto ricchi, o molto influenti, o entrambe le cose. Questa percentuale infima governa l’impero americano. La critica all’impero USA è rivolta a questo 1 per cento e non al restante 99 per cento dei cittadini statunitensi.

«A questa élite appartengono naturalmente tutti i Presidenti statunitensi dal 1945 a oggi. Alcuni di loro hanno fatto autocritica, riconoscendo che potenti interessi economici dominano effettivamente la politica americana. Nell’autunno 2015, l’ex presidente Jimmy Carter denunciò che le redini del potere sono nelle mani di pochi ricchi e che quindi gli USA, da democrazia che erano, sono diventati un’oligarchia, trasformandosi in un governo di pochi abbienti.

«Spendendo quantità enormi di denaro, i più facoltosi decidono chi diventa Presidente. Alla fine la scelta si riduce sempre unicamente a due ricchi esponenti di quell’1 per cento: nelle elezioni del 2016 erano Donald Trump e Hillary Clinton. «Tutti i candidati statunitensi alla presidenza devono poter disporre di almeno 200 o 300 milioni di dollari», fece notare criticamente Carter nella trasmissione televisiva condotta dalla giornalista Oprah Winfrey.»

E c’è anche un altro aspetto: gli Stati Uniti hanno una lunga e leggendaria storia di brogli elettorali. Uomini come Huey Long della Louisiana e Lyndon B. Johnson del Texas erano leggendari per aver basato la loro carriera politica su elezioni distorte.

Nell’aprile del 2014, sulla base di uno studio dell’Università di Princeton, la BBC affermò che gli Stati Uniti «sono un’oligarchia, non una democrazia», spiegando bene che «gli USA sono dominati da un’élite ricca e potente». Gli autori dello studio, i professori Martin Gilens e Benjamin Page, hanno scoperto che pochi super-ricchi condizionano la politica statunitense, mentre l’americano medio ha troppo poco potere per influire su di essa. Queste sono le caratteristiche tipiche di un’oligarchia, ovvero di un predominio dei pochi (oligoi).

Gilsen e Page scrivono infatti: «ll nostro studio porta a concludere che la maggior parte degli americani ha scarso potere di incidere sulle scelte fatte dal governo. Noi americani abbiamo tante caratteristiche specifiche di un sistema democratico, tra le quali elezioni regolari, libertà di parola e di riunione e un diritto di voto esteso. Però crediamo anche che la pretesa dell’America di essere una democrazia sia davvero in pericolo, se la politica è dominata da potenti organizzazioni economiche e da una piccola fetta di americani estremamente ricchi.»

È anche utile osservare che nessun paese ha stanziato così tanti soldati all’estero come gli USA. Nessun altro paese ha così tante basi militari, sparse in tutto il mondo, come gli USA. Quelle in Italia sono ad Aviano, Vicenza, Napoli, Sigonella e altrove. Gli USA hanno dislocato soldati in Germania, Giappone, Corea del Sud, Kuwait e in molte altre parti del mondo, mentre nessuno di questi Stati ha basi militari negli USA, perché questi ultimi non accetterebbero mai truppe straniere sul loro territorio.

I desideri degli “altri”

Dalle recentissime elezioni spagnole non è emersa una formazione o coalizione politica in grado di presiedere saldamente ad un governo. Qualcuno si chiede come si comporteranno gli indipendentisti catalani.

A prescindere dalle vicende iberiche molti sono gli indipendentismi europei: scozzesi, còrsi, veneti e altri ancora che difficilmente possono avere fortuna se i loro interessi non coincidono con il tornaconto dell’impero.

Ha scritto la giornalista Gabriele Krone-Schmalz: «Il problema è che quel diritto (il diritto internazionale. Ndr) riunisce in sé due principi contraddittori: l’inviolabilità delle frontiere e il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Entrambi hanno pari importanza. Oggi bisogna considerare caso per caso quale si impone tra i due. E non può essere che accettiamo il diritto all’autodeterminazione per alcune regioni del mondo e non per altre. […] Nel diritto internazionale si discute se il diritto all’autodeterminazione dei popoli includa anche il diritto delle minoranze di sottrarsi a un vincolo statale per mezzo di una secessione. Alcuni studiosi ritengono che sia ammissibile e legale.» Ma, appunto, ne stanno discutendo…

Forse negli anni si è perso di vista il significato di “rappresentanza” o meglio ci si è resi conto della limitatezza con cui tale concetto poteva essere applicato. Infatti non vi è alcun dialogo tra politici eletti ed elettorato, e quindi non vi è alcun modo in cui l’individuo può mettere mano o bocca nei processi decisionali che danno forma al nostro vivere come comunità.

L’astensionismo alle urne (in Italia oramai supera il 50%) insegna che “l’uomo qualunque” è stanco del monopolio ideologico che la mentalità del profitto sta creando grazie ad ipocrisie, ingiustizie e distrazioni. Molti elettori hanno maturato l’idea che non siano necessari nuovi partiti pervasi di deformità morale. Credono indispensabile che persone di buona volontà s’impegnino nella formulazione di un innovativo progetto di costruzione politica.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Nella pseudo democrazia il politico dev’essere ricattabile

In evidenza

Nel paese di Arlecchino e Pulcinella ci sono un’infinità di personalità di valore in tutti i campi; ma difficilmente emerge lo spirito civico, l’etica e la morale a guida della Res Publica. E ovviamente non è un’esclusiva della nostra penisola.

Appena quattro giorni dopo la morte di Daniel Ellsberg (16 giugno 2023), ovvero il 20 giugno le ceneri del senatore Mike Gravel sono state depositate al cimitero nazionale di Arlington [ https://washington.org/it/DC-guide-to/arlington-national-cemetery dove riposano oltre 400.000 veterani militari e numerose personalità distintesi in vario modo]. Ellsberg e Gravel furono uniti nella vita. Ellsberg, nel 1971, aveva cercato vari senatori per leggere i Pentagon Papers nel Congressional Record facendo uso dell’immunità del Congresso.

Il senatore Mike Gravel fu l’unico che ebbe il coraggio di farlo. Per questa sua intrepida azione politica fu esposto ad una feroce campagna diffamatoria. Fu un altro errore catastrofico e autolesionista da parte dei media cosiddetti mainstream la cui credibilità è in costante calo.

Anni prima Mike Gravel aveva dimostrato la sua audace sensibilità civica annunciando nell’aprile 2006 (ben due anni e mezzo prima delle elezioni) presso il National Press Club di Washington la sua proposta per la democrazia diretta. In quell’occasione egli disse:

«Il nostro Paese ha bisogno di un rinnovamento – rinnovamento non solo di particolari politiche, o di particolari persone, ma della democrazia stessa. […] Il governo rappresentativo è impantanato in una cultura di bugie e corruzione. L’influenza corruttrice del denaro ha creato una classe di politici professionisti che raccolgono ingenti somme per mantenere il proprio potere. Questi politici legiferano successivamente nell’interesse delle corporazioni e dei gruppi di interesse che mettono i soldi.

«I politici di oggi sono forse più corrotti di quelli del passato? Non credo. La maggior parte degli uomini e delle donne entra nel servizio pubblico e inizia con un atteggiamento e una preoccupazione per il bene pubblico. È il potere che detengono che li corrompe. Buttare fuori i mascalzoni – Democratici o Repubblicani, o di qualsiasi altro partito – può farci sentire un po’ meglio, può darci un po’ di terapia, ma rimescolare il mazzo non farà alcuna differenza.

«Dotare gli americani di strumenti legislativi deliberativi scatenerà la creatività civica oltre ogni immaginazione. Una partnership di cittadini-legislatori con i loro legislatori eletti renderà infatti il governo rappresentativo […] più sensibile ai bisogni delle persone.»

È un discorso che può valere anche nell’Italia dei giorni nostri, considerato che il giornalista Giuliano Ferrara il 12 Marzo 2015 teorizzava: Il politico dev’essere ricattabile [ https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/12/corruzione-allitaliana-quando-ferrara-teorizzava-politico-devessere-ricattabile/1496297/ ] : «Devi essere ricattabile, per fare politica; devi stare dentro un sistema che ti accetta perché […] sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti.»

Ma cos’è esattamente la democrazia diretta?

Gli studiosi di tutto il mondo convengono nel non essere d’accordo su questa domanda. Non esiste una tipologia comune di strumenti di democrazia diretta, né esiste una terminologia coerente. Di seguito, ecco la tipologia proposta dal Direct Democracy Navigator [ https://direct-democracy-navigator.org/how-does-it-work ]. Essa riflette diverse posizioni nella letteratura, tuttavia senza la pretesa o la possibilità di avere una panoramica dell’intera ampiezza della letteratura.

Prestiamo attenzione anche alla terminologia utilizzata, che è una delle maggiori sfide dello studio sulla democrazia diretta.

Complessivamente, Direct Democracy Navigator distingue cinque tipi di strumenti di democrazia diretta: 1) iniziativa dei cittadini, 2) referendum facoltativo, 3) referendum, 4) referendum di veto, e 5) referendum obbligatorio. Con questo, siamo nel mezzo numerico di altre tipologie. La tipologia di Altman conosce dodici tipi (2011: 11), quella di Merkel/Ritzi (2017: 16), quella di Morel sette (2018: 34) e quella di Moeckli (2021) cinque.

Alcuni considerato un furto di democrazia il referendum “consultivo”.

Per esempio, il referendum consultivo del 22 ottobre 2017 in Lombardia e in Veneto è stato deliberato dai Consigli regionali delle due Regioni, e pur ottenendo il favore dell’elettorato non ha a tutt’oggi avuto alcun effetto.

Eppure già nel 1981 Costantino Mortati, uno dei padri dell’attuale Costituzione italiana, ebbe a scrivere: «La posizione di organo supremo rivestita dal popolo in regime democratico non può in nessun modo conciliarsi con l’esercizio di una funzione subordinata, come quella che si sostanzia nell’emissione di pareri

In linea con la mancanza di una tipologia generalmente accettata, non vi è nemmeno un chiaro accordo su quali criteri dovrebbero essere utilizzati per distinguere i referendum. Tuttavia, la capacità di avviare una votazione è generalmente considerata il criterio principale per distinguere i referendum (ad esempio Möckli 1994: 50; Serdült/Welp, 2012: 70), sia nella terminologia dei referendum controllati che in quelli incontrollati (Smith, 1976; Morel, 2007; Vatter, 2000, 2009) o nella prospettiva leggermente diversa degli strumenti bottom-up e top-down (Papadopoulos, 1995; Serdült/Welp, 2012.

Anche Jung sostiene che questo aspetto può essere trascurato in quanto i referendum sono di solito politicamente vincolanti (Jung, 2001: 86). Di conseguenza, l’obbligatorietà esce dalla sua tipologia e da altre (Hornig, 2011a; Merkel/Ritzi, 2017: 24), anche se ci manca la prova empirica per questa tesi. Inoltre non sono incluse le qualifiche per la validità come quota di partecipazione o approvazione, o la tempistica dei referendum.

Conclusioni

Se i cittadini-legislatori potessero disporre di strumenti di democrazia diretta la possibilità che ci sia un paese “aggressore” ed un paese “aggredito” (tema che affligge il nostro attuale vivere quotidiano) probabilmente sarebbe molto limitata.

Lo storico americano Gabriel Kolko, docente alla York University di Toronto, in Canada, dice a ragione che gli USA «sono il paese che nella seconda metà del XX secolo ha condotto la maggior parte delle guerre». È per questo che sono avvertiti come il maggior pericolo per la pace mondiale. Chi studia le fonti storiche riconosce che dopo il 1945 gli USA hanno adoperato la violenza, in modo palese oppure occulto, contro i seguenti paesi: la Grecia nel 1946, la Corea nel 1950, l’Iran nel 1953, il Guatemala nel 1954, il Congo nel 1961, Cuba nel 1961, il Vietnam nel 1964, l’Indonesia nel 1965, la Cambogia nel 1969, il Laos nel 1970, il Cile nel 1973, il Nicaragua nel 1981, Grenada nel 1983, la Libia nel 1986, Panama nel 1989, il Kuwait nel 1991, il Sudan nel 1998, la Serbia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, il Pakistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, ancora la Libia nel 2011, la Siria e l’Ucraina nel 2014. Occorre però fare presente che questa non è una lista completa.

Nel 2019, l’allora novantaquattrenne ex presidente americano Jimmy Carter aveva ragione ad affermare con rincrescimento, durante una cerimonia religiosa svoltasi in Georgia, che gli Stati Uniti d’America sono «la nazione più bellicosa della storia mondiale»: dei 242 anni dalla sua istituzione come nazione il paese ne ha trascorsi solamente sedici senza guerre. Si veda il libro: “Breve storia dell’impero americano”, di Daniele Ganser – © 2021 – Fazi Editore srl.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Le cose andranno meglio se si tolgono di mezzo

In evidenza

Il Fondo monetario internazionale (FMI) mette in guardia sul rischio che un terzo dell’economia mondiale sprofondi in recessione nel 2023, prevedendo che l’inflazione si calmerà quest’anno ma toccherà, comunque, il 6,5% a livello globale. «Per la maggior parte dell’economia mondiale, sarà un anno difficile, più di quello che ci lasciamo alle spalle», ha affermato la direttrice operativa dell’FMI Kristalina Georgieva all’emittente statunitense CBS il primo gennaio.

L’aumento del prezzo dei carburanti e degli alimenti ha contribuito all’insorgere di proteste e scioperi in tutto il mondo lo scorso anno. Il malcontento popolare ha portato a cambi al potere in Sri Lanka, Regno Unito, Perù e Brasile – teatro quest’ultimo di un assalto al Congresso a Brasilia all’inizio di gennaio, una scena che ricorda quanto successo negli Stati Uniti il 6 gennaio 2021.

«La gente è sempre più insoddisfatta della società e si sta chiedendo perché dovrebbe cooperare», dice Morris Pearl, che guida Patriotic Millionaires, un gruppo di persone benestanti residenti soprattutto negli Stati Uniti che, paradossalmente, si battono per essere tassate di più allo scopo di contrastare la disparità. E aggiunge: «La gente fa bene ad arrabbiarsi. Pensa che il sistema sia truccato a suo discapito e ha ragione. A meno che le persone benestanti non cambino volontariamente, le masse cambieranno le cose per noi con torce e forconi

“elezioni” e “democrazia” non sono sinonimi

Gli statunitensi affluiti in gran numero alle elezioni dell’8 novembre 2022 (Midterm Elections), speravano in un risultato diverso per ottenere un alleggerimento del carico fiscale, e per ridimensionare o addirittura disinnescare l’impegno conseguente alla guerra in Ucraina.

Paul Creig Roberts (Economista, ex Amministrazione Reagan. Analista della politica americana e del suo ruolo nel mondo.) l’11 novembre 2022 ha prontamente scritto un articolo dal significativo titolo: Un’altra Elezione Rubata [ https://katehon.com/en/article/another-stolen-election ].

Paul Creig Roberts tiene conto anche dell’insoddisfazione pubblica per:

  • criminalità record;
  • inflazione record con prezzi elevati di cibo e benzina;
  • tassi di interesse in aumento, e valori domestici in calo;
  • massiccia immigrazione illegale;
  • l’indottrinamento forzato dei bambini delle scuole con la teoria transgender, e la teoria critica della razza;
  • i mandati di vaccinazione Covid di Biden che hanno causato infortuni alla salute, morti e carriere distrutte;
  • i blocchi Covid di Biden che hanno distrutto aziende, posti di lavoro, catene di approvvigionamento, e aumentato i prezzi;
  • le sanzioni “russe” di Biden che hanno interrotto l’approvvigionamento energetico e aumentato i prezzi di tutto.

Considerando tutta questa insoddisfazione, come ha fatto il democratico John Fetterman, una persona colpita da un ictus e afflitta da problemi di parola che vuole liberare i criminali dalla prigione, a vincere un seggio al Senato in quota alla Pennsylvania?

Paul Creig Roberts si chiede, cosa c’è di peggio: un’elezione americana rubata o un elettorato americano così disinvolto da mantenere in carica un partito politico che ci sta portando alla guerra con Russia e Cina, che odia i bianchi e li perseguita; che ha politicizzato l’FBI e il Dipartimento di Giustizia trasformandoli in agenzie della Gestapo al servizio del potere democratico; che crede fermamente che i genitori siano dannosi per i bambini e non dovrebbero avere voce in capitolo nella loro educazione (lavaggio del cervello), vale a dire: demonizzare la normalità e normalizzare la perversione?

I termini “elezioni” e “democrazia” sono divenuti sinonimi quasi per tutti.

Siamo intimamente convinti che il solo modo di essere rappresentati passi per la via delle urne. È fra l’altro ciò che risulta nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «La volontà del popolo è il fondamento dell’autorità dei poteri pubblici: questa volontà dev’essere espressa con elezioni serie che devono avere luogo periodicamente.»

La formulazione “dev’essere espressa” è particolarmente sintomatica dal nostro punto di vista. Chi dice democrazia dice elezioni. Tuttavia, non è curioso che un documento così generale – il documento giuridico più universale della storia dell’umanità – indichi con tanta precisione in quale modo la volontà popolare debba esprimersi?

Non è strano che un testo schematico sui diritti fondamentali (nemmeno duemila parole in tutto) si sia subito soffermato sulle modalità pratiche dell’applicazione, come se un progetto di legge sulla salute pubblica contenesse già delle ricette di cucina?

Si ha l’impressione che, per gli autori del testo del 1948, il metodo stesso fosse divenuto un diritto fondamentale. Come se la procedura in sé fosse sacra.

La nostra bonaria provocazione per alimentare un dibattito: per scacciare l’oligarchia dei peggiori, le elezioni andrebbero sostituite dal sorteggio.

Gli antichi consideravano il sorteggio come la quintessenza della democrazia. C’è un passo di Aristotele che dice: «l’elezione è tipica dell’aristocrazia e il sorteggio è tipico della democrazia.» Un’idea poi ripresa da molti: Guicciardini, Rousseau, tra gli altri. Numerosi poi sono gli accademici a livello internazionale che stanno studiando la questione e propongono soluzioni. Ne daremo conto in altri articoli su questo tema.

Da ultimo, ma non per importanza, si deve affrontare la questione del “come” affrontare il sorteggio. Nella tabella che segue offriamo un solo esempio:

In questo schema si prospettano alcune semplici riforme

Istituzione di un

«Albo»

dei sorteggiabili

  1. Una (non necessariamente l’unica) “moderna” e rivoluzionaria proposta che vuole l’utilizzo della struttura dell’ufficio elettorale comunale, alla quale tutti per diritto sono iscritti.
  2. Tuttavia, la riforma consisterebbe nella iscrizione ad un preciso “comparto” su base volontaria.
  3. In tal modo le persone che non hanno tempo da dedicare alla cosa pubblica o si sentono inadeguate al ruolo di pubblico amministratore, verrebbero preventivamente auto-escluse.
  4. I candidati da includere nel ballottaggio esprimerebbero così un preciso impegno.
  5. Per constatare la rispondenza all’incarico eventualmente loro assegnato, dovrebbero superare un apposito esame relativo all’ufficio da ricoprire.

Commissioni esaminatrici

per i singoli uffici

Possono essere costituite da Magistrati, docenti di diritto amministrativo, costituzionalisti, o da specifici esperti, anch’essi di volta in volta estratti a sorte.

Mandati

  • Preferibilmente i mandati di rappresentanza non dovrebbero essere troppo lunghi.
  • Dovrebbe essere vietata la ricandidatura al sorteggio della stessa carica dopo un primo mandato.

Recall

Tutti i sorteggiati alle cariche rappresentative, durante il loro mandato possono essere sottoposti a Recall, o referendum di richiamo da parte del corpo elettorale. Vedere: https://en.wikipedia.org/wiki/Recall_election

Democrazia diretta

per controbilanciare la

democrazia rappresentativa

Tutti gli Statuti di Comuni, Province e Regioni, in ossequio alla Carta europea delle autonomie locali https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/122 contengono gli Istituti di partecipazione popolare:
  1. Istanze
  2. Petizioni
  3. Proposte di delibera d’iniziativa popolare
  4. Referendum (non consultivi) senza quorum
  5. Difensore o Procuratore civico

Riposizionare

i

partiti politici

Da La democrazia ed i partiti politici, © 1902 di Moisei Ostrogorski [ http://it.wikipedia.org/wiki/Moisei_Ostrogorski ]
  • «La funzione delle masse in democrazia non è quella di governare, ma di intimidire i governanti.» […]
  • «Laddove i cittadini si manifestano in generale incapaci di affermare la loro personalità, i governanti li dirigono a modo loro come fossero marionette o li considerano come strumenti a loro disposizione.»

Privilegiare le organizzazioni:

«single issue»

(ovvero per singola questione)

  • Il discorso di Moshei Ostrogorski condensava nello slogan «abbasso il partito», la propria opposizione a forme rigide e permanenti, a programmi-omnibus e, in fondo, a considerare il partito in quanto istituzione necessaria all’esplicarsi dello scontro politico.
  • In sostituzione della forma-partito tradizionale, avrebbe auspicato la nascita di «organizzazioni per singola questione», in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso.
  • Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così stati affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; sarebbe venuta meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del ‘potere’, del ‘dominio’ e forse del ‘monopolio’, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.
  • La tesi ostrogorskiana sostiene che il moderno partito politico è come una macchina centralizzata al servizio del leader, e della quale il leader non avrebbe potuto fare a meno per raggiungere i suoi scopi.

  • Quanto all’influenza dei ricchi sui partiti politici, essere altolocati non è la stessa cosa che essere potenti.

La soluzione dei mali (neppure solo del “belpaese”) non è un altro partito o un altro sindacato o un altro sistema ideologico. Il sorteggio è qualcosa che risolve le stesse esigenze dei cittadini in modi molto diversi, o ne crea di nuove che contano di più. Infatti, democrazia etimologicamente significa “governo del popolo”, ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo.

I cosiddetti “rappresentanti” sono dei semplici delegati. Un sistema di pesi e contrappesi (che esiste ma è stato edulcorato) deve garantire all’insieme dei cittadini di ricorrere a strumenti di consultazione popolare: votazioni referendarie, iniziativa di leggi e delibere, recall, eccetera. Si materializzerebbe così ciò che Thomas Jefferson teorizzava: «Quando il popolo ha paura del governo, c’è tirannia. Quando il governo ha paura del popolo, c’è libertà.»

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

La libertà di stampa serve a chi è governato

In evidenza

«Solo una stampa libera e sfrenata può smascherare efficacemente l’inganno nel governo. E la principale tra le responsabilità di una stampa libera è il dovere di impedire a qualsiasi parte del governo di ingannare il popolo…» [ https://caselaw.findlaw.com/us-supreme-court/403/713.html ]

È un brano della sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, datata 30 giugno 1971, che decise (6 voti a favore e 3 contrari), che il governo non era riuscito a soddisfare il pesante onere della prova richiesto per l’ingiunzione di restrizione preventiva su quella che è passata alla storia come la controversia dei Pentagon Papers.

Ufficialmente intitolati Report of the Office of the Secretary of Defense Vietnam Task Force, sono la storia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sul coinvolgimento politico e militare degli Stati Uniti in Vietnam dal 1945 al 1967.

I Pentagon Papers hanno rivelato che gli Stati Uniti avevano segretamente ampliato la portata delle loro azioni nella guerra del Vietnam con incursioni costiere sul Vietnam del Nord e attacchi del Corpo dei Marines, nessuno dei quali è stato riportato dai media mainstream. I Papers furono diffusi da Daniel Ellsberg, che aveva lavorato allo studio, arrivarono per la prima volta alla attenzione del pubblico sulla prima pagina del New York Times nel 1971.

Ellsberg aveva dato parti dei Pentagon Papers anche al giornalista Ben Bagdikian del Washington Post. Il 18 giugno 1971, Bagdikian portò le informazioni all’editore Ben Bradlee. Quel giorno, l’assistente procuratore generale degli Stati Uniti William Rehnquist chiese al Washington Post di cessare la pubblicazione. Dopo che il giornale rifiutò, Rehnquist chiese un’ingiunzione al tribunale distrettuale degli Stati Uniti.

Il giudice Murray Gurfein rifiutò di emettere tale ingiunzione, scrivendo che: «la sicurezza della nazione non è solo ai bastioni. La sicurezza risiede anche nel valore delle nostre libere istituzioni. [ https://en.wikipedia.org/wiki/New_York_Times_Co._v._United_States ] Una stampa irascibile, una stampa ostinata, una stampa onnipresente deve essere subita da coloro che detengono l’autorità per preservare i valori ancora più grandi della libertà di espressione e del diritto del popolo a sapere

Il governo fece appello a tale decisione, e il 26 giugno 1971 la Corte Suprema accettò l’udienza congiuntamente con il caso del New York Times. Nei giorni precedenti altri quindici giornali ricevettero copie dello studio e iniziarono a pubblicarlo.

da destra a sinistra:

Daniel Ellsberg (April 7 1931) = Ben Bradlee, Giornalista e direttore (26 agosto 1921 – 21 ottobre 2014) = Il giudice Murray Gurfein (17 Novembre 1907 – 16 Dicembre 1979) = La prima pagina del Washington Post che annuncia la decisione della Corte suprema

Su quegli avvenimenti, nel 2003 Daniel Ellsberg diresse un telefilm dal titolo The Pentagon Papers. Nel giugno 2011, i documenti che li formano sono stati declassificati e resi pubblici. Nel 2017 il registra Steven Spielberg diresse il film The Post con protagonisti Meryl Streep e Tom Hanks. La pellicola narra la vicenda della pubblicazione dei Pentagon Papers.

Documenti interni, e-mail e chat riguardanti il passato regime all’interno di Twitter, continuano a mostrare come il governo degli Stati Uniti abbia cercato di mettere a tacere i suoi critici.

L’ultimo intervento in proposito è del giornalista e scrittore statunitense Matt Taibbi, e mostra come Adam Schiff [ https://nypost.com/2023/01/06/how-democrat-adam-schiff-abused-his-power-to-demand-i-be-kicked-off-twitter/ ], un democratico e capo della House Intelligence Committee, ha chiesto espressamente al social network di bandire il giornalista Paul Sperry. Anche i dipendenti di Twitter, di solito perfettamente felici di censurare ciò che è politicamente scomodo, si sono opposti a questo.

La libertà di stampa (e per questo s’intende anche la libertà d’espressione sui più disparati mass-media e social network) è un bene prezioso. Sono molti i giornalisti statunitensi che abbandonano le testate mainstream per dedicarsi a una professione che consenta loro la libertà da vincoli editoriali.

Mentre gli sforzi anti-disinformazione proliferano, ciò che manca nel pubblico dibattito è una discussione sul potere. Naturalmente, i potenti hanno ragioni per voler combattere ciò che considerano “disinformazione“. Vogliono che la loro versione della verità diventi la nostra. Molti commentatori osservano che i cosiddetti ricercatori di disinformazione, verificatori di fatti ed esperti sono spesso di natura partigiana e spesso diffondono cose che non sono vere.

Questi critici affermano che tali professionisti non esistono per fornirci la verità; esistono per servire lo Stato e i media attraverso bugie e distorsioni trasformate in ciò che appare vero. E se gliespertiperdono influenza, in buona parte è perché il pubblico ha compreso e può percepire che il loro lavoro è quello di mentire sistematicamente.

Glenn Greenwald [ https://en.wikipedia.org/wiki/Glenn_Greenwald ] è uno di quei giornalisti che ha abbandonato il giornale di cui era co-fondare. Il 21 novembre 2022 ha scritto su Twitter:

«Questa è una delle intuizioni più basilari e importanti se vuoi capire come funzionano i media moderni. Fondamentalmente, chiunque si definisca un “esperto di disinformazione” o un “reporter di disinformazione” è un imbroglione partigiano, che cerca di far sembrare scientifico il proprio attivismo.» [ https://twitter.com/ggreenwald/status/1594799004252246016?ref_src=twsrc%5Etfw ]

L’anti-disinformazione è il processo di verifica delle informazioni fattuali, al fine di promuovere la veridicità e la correttezza delle segnalazioni. Definito anche fact-checking può essere condotto prima (ante hoc) o dopo (post hoc) la pubblicazione o la diffusione del testo. Il fact-checking interno è il controllo effettuato internamente dall’editore. Quando il testo viene analizzato da una terza parte, il processo è chiamato controllo dei fatti esterno.

La maggior parte del lavoro di anti-disinformazione consiste in confutazioni su affermazioni inesatte, fuorvianti o false fatte da politici, ma è presa in esame anche la disinformazione proveniente da vari gruppi di attivisti.

Nella vita moderna la società è “fondamentalmente spettacolare”.

L’accesso alle maggiori cariche dello Stato è agevolato per la gente dello spettacolo. Solo per fare tre nomi presi a caso: l’attore Ronald Reagan è stato presidente degli Stati Uniti, l’attrice Melina Mercouri è diventata la prima donna a ricoprire la carica di Ministro della Cultura della Grecia, il regista Franco Zeffirelli è stato parlamentare italiano. All’interno di una società fondamentalmente spettacolare, l’ascesa di verificatori di fatti al servizio del potere o di una forza adiacente deve essere intesa come inevitabile.

Tutto questo ci orienta a comprendere come mai l’«uomo qualunque» sia oggi frastornato dal torrente informativo. Fatica a capire dove sta la verità e dove la menzogna, dove l’informazione e dove la propaganda, dove la deontologia e dove la disinibizione.

Se un media è proprietà di un editore privato, è comprensibile che egli con i propri soldi persegua dei suoi obiettivi. Ma [ https://www.informazioneeditoria.gov.it/it/attivita/contributi-al-sistema-editoriale/ ] quando il mass-media è soggetto a contributi statali all’editoria?

O come nel caso della Rai − Radiotelevisione italiana S.p.A., che è la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiofonico e televisivo in Italia?

L’11 giugno 1995 gli italiani si sono espressi al referendum per interrompere il connubio tra politica e Tv statale. Ha votato Sì il 54,9%. I promotori del quesito volevano aprire ai privati la Rai, immaginando un azionariato diffuso, Nei fatti però la politica conta più di prima. L’attuale Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes, è nominato dal consiglio d’amministrazione, a sua volta espressione di governo e partiti.

Quis custodiet ipsos custodes? È una frase latina che si trova nell’opera del poeta romano Giovenale: Satira VI, versi 347-348. È letteralmente tradotto come “Chi guarderà i guardiani?“.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

E quelli dalla “parte sbagliata” della storia?

In evidenza

di Tony Fassina “La parte giusta della storia”; ci viene detto e ridetto che è qui che si trovano i progressisti, e chiunque non sia d’accordo con loro è dalla parte sbagliata: arretrato, obsoleto, da gettare nella pattumiera.

La frase incarna una visione specifica della storia, l’idea che il corso degli eventi umani – con qualunque inizio, e con battute d’arresto temporanee – traccia un inevitabile percorso verso l’alto. La nozione risale al diciannovesimo secolo, se non prima: a Hegel e Marx, agli storici liberali, allo stesso movimento progressista.

“L’arco dell’universo morale è lungo, ma si piega verso la giustizia.”

E quelli dalla “parte sbagliata” della storia? “La storia li giudicherà”, e giudicherà tutti i loro mali. Ma la storia non ha lati. Non si schiera. La visione progressista della storia non è un’osservazione. È una teoria.

Per esempio, gli Stati Uniti sono stati fondati da dissidenti. La Dichiarazione di Indipendenza è uno dei documenti dissenzienti più significativi della storia, ispirando persone in cerca di libertà in tutto il mondo, dai rivoluzionari francesi a Ho Chi Minh, che ha basato la dichiarazione di indipendenza del Vietnam dalla Francia sulla dichiarazione americana.

Sempre negli Stati Uniti, il Paese che ha la pretesa d’essere un faro di democrazia (che pretende di esportare la democrazia con interventi di peacekeeping) la libertà di dissenso è stata minacciata per la prima volta dal secondo presidente. Appena otto anni dopo l’adozione del Bill of Rights, la libertà di stampa era diventata una minaccia per John Adams, il cui Partito Federalista fece approvare al Congresso gli Alien and Sedition Act [ https://en.wikipedia.org/wiki/Alien_and_Sedition_Acts ] del 1798.

Hanno criminalizzato [ https://consortiumnews.com/2021/04/11/a-history-how-the-espionage-act-ensnared-julian-assange/ ] le critiche al governo federale. Ci sono stati 25 procedimenti giudiziari e 10 condanne, ai sensi della legge sulla sedizione. Gli atti alla fine scadettero, e alcuni furono abrogati solo nel 1802.

L’Unione ha poi chiuso i giornali durante la guerra civile americana (dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865).

Woodrow Wilson arrivò a un solo voto al Senato per creare la censura ufficiale del governo nell’Espionage Act del 1917 [ https://mtsu.edu/first-amendment/article/1045/espionage-act-of-1917 ]. L’Alien and Sedition Act del 1918 [ https://www.britannica.com/event/Alien-and-Sedition-Acts ] imprigionò centinaia di persone per aver parlato, fino a quando non fu abrogato nel 1921.

Dal 1950, il maccartismo è diventato sinonimo di uno dei peggiori periodi di repressione del dissenso nella storia degli Stati Uniti.

Il più vicino al sogno preoccupante di Wilson è il Disinformation Governance Board della amministrazione Biden sotto il Dipartimento della Sicurezza Interna, che dopo pesanti critiche è stato sciolto.

In Italia, la cui sudditanza agli USA (dopo la II G.M.) è evidente anche agli sprovveduti, sembra il Paese dei talk show politici. Ce ne sono ad ogni ora nell’arco della giornata e della sera inoltrata, praticamente in ogni rete radiotelevisiva.

I conduttori che appartengono al cosiddetto mainstream, sono estremamente attenti a che la discussione non deragli dal leitmotiv filo-governativo. Le voci “alternative” come per esempio Alessandro Orsini (Professore Associato presso l’Università Luiss di Roma dove insegna Sociologia del terrorismo) o Franco Cardini (storico e saggista italiano, specializzato nello studio del Medioevo) come i pochi altri dissenzienti, sono sistematicamente sbeffeggiati, o incalzati dai conduttori e i loro ospiti, per indurli a perdere il filo del discorso, per sminuirne l’argomentare critico.

Per quanto riguarda “la storia giudicherà” – il lato morale del mito progressista – non è meno illusoria. “Storia”, ovviamente, significa futuro, e “giudice” significa condannare. Ma dire che il futuro condannerà X o Y significa presumere che il futuro assomiglierà a “noi” – che quando il futuro arriverà tutti saranno d’accordo con noi. Il che significa che tutti saranno d’accordo, punto e basta. Ma quando mai tutti sono stati d’accordo?

Tutti i nodi vengono al pettine

Brent D. Cates (si autodefinisce un Super Diffusore di calma, ragione e sanità mentale in un mondo impazzito) in Thunderdome! una pubblicazione online supportata dai lettori, scrive:

«Quello che verrà chiamato #FauciFiles dovrebbe cadere questa settimana mentre Elon Musk continua a illuminare gli angoli finora più in ombra delle attività oscure di Twitter prima della sua acquisizione alla fine di ottobre 2022.

Siamo alla nona uscita di #TwitterFiles il cui contenuto, composto da e-mail interne e messaggi tra lo staff di Twitter ed elementi dell’FBI, DHS e DoJ. Sono state pubblicate apertamente su Twitter per essere viste da chiunque, e tutti hanno rivelato oltre ogni dubbio quello che credevano già tanti osservatori.

Twitter veniva gestito “in contumacia” dalla US Intelligence Community (l’IC) influenzando varie agenzie del DoJ che incaricavano i loro contatti su Twitter di potenziare determinate narrazioni politiche e culturali nascondendo, sospendendo o vietando apertamente gli account di chiunque si oppone efficacemente contro le “loro” narrazioni.

Questa è una diabolica “gerarchia” istituita per aggirare i diritti degli americani.

Ancora una volta, questo è il perché i Padri Fondatori hanno insistito sul fatto che il diritto alla libertà di parola fosse il nostro numero uno prima di tutti gli altri.

  • Se puoi controllare la parola (1° Emendamento) puoi controllare il pensiero.
  • Se controlli il pensiero, inevitabilmente controllerai le azioni.
  • E quando puoi controllare le azioni delle persone, le stai dominando.
  • Stai, infatti, imbrigliando la loro realtà.

Questo modello protratto nel lungo termine non solo ti spoglia dei tuoi diritti, ma altera il mondo in cui vivi e, nella sua fase finale, ti altera.

Tutto in peggio.

Ora apprendiamo definitivamente che la loro inception machine non stava solo censurando la tua voce (Digital Soul), ma stava deliberatamente inculcando nel tempo una psicosi di formazione di massa nella tua famiglia, amici e vicini.

E questo è stato concepito, ricercato e sviluppato e poi implementato nell’ultimo quarto di secolo.

Per dare forma alla tua realtà.

Questo non significherebbe solo mettere a tacere la tua voce / parola, inizierebbe a deformare la tua anima e quella delle generazioni future.

Questo spiega perché i Super Criminali in DC e il WEF sono estremamente indifferenti (finora) a tutto ciò che viene esposto.

  • Hanno avviluppato la Presidenza degli Stati Uniti.
  • Avevano avviluppato i tribunali degli Stati Uniti.
  • Avevano avviluppato i mass-media, sia Mainstream, News e Social.
  • A chi importa se alla fine l’America com’è stata Fondata è stata travisata? Chi è riuscito a capire che avevano reso schiavi i cittadini? (Vedi: elezioni in Arizona 2022).
  • Cosa puoi fare, al riguardo, il cittadino?

Gli americani stanno per mostrare a questi Ghoul demoniaci cosa faremo al riguardo.

Allo stesso modo in cui Elon Musk ha strappato la loro perpetua perception machine e ha restituito loro il suo incredibile potere.

Forzandoci a vivere per decenni secondo le bugie che ci hanno rafforzato contro di loro.

Twitter, ricercato e sviluppato da DARPA attraverso i dollari dei contribuenti statunitensi, non è mai stato un vero business. Si poneva come uno che lentamente iniziava a convogliare gli americani lontano dall’essere americani.

Elon Musk è arrivato per sfondare la porta e costringerli ad agire, sull’azienda che non ha mai utilizzato le leggi aziendali e normative per l’acquisizione ostile che non avremmo mai immaginato possibile.»

Oltre alla “questione” Anthony Fauci c’è la teoria zoonotica

Secondo questa teoria il Covid-19 è stato un salto naturale ma altamente indesiderabile come virus dall’animale all’uomo.

Le pandemie zoonotiche si sono verificate in passato, ma Covid-19 non è una di queste.

In un articolo pubblicato da Taylor & Francis Online intitolato: Così parlavano peptidi [ https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/19420889.2022.2057010?utm_source=substack&utm_medium=email ] riguardante le origini del Covid-19 si è verificato un evento di ricombinazione tra il coronavirus e la proteina spike dopo che il coronavirus è stato “passato” attraverso i toporagni e la proteina spike è stata fatta passare attraverso ratti.

Questa è la prova che il Covid-19 è stato creato in un laboratorio.

  • Il passaggio sta infettando un animale e quindi raccogliendo i risultati batteriologici, cioè è il DNA per schermare il sangue e i tessuti per una qualità / risultato specifico.
  • Il passaggio potrebbe essere naturale, anche se altamente improbabile.
  • La ricombinazione del virus e lo spike protein non lo è.
  • La ricombinazione non può avvenire in natura.

Taylor e Francis hanno pubblicato questo documento nell’aprile del 2022 e questo fatto è stato sepolto e ignorato…

Il Mahatma Gandhi sosteneva: «apprendere che nella battaglia della vita si può facilmente vincere l’odio con l’amore, la menzogna con la verità, la violenza con l’abnegazione dovrebbe essere un elemento fondamentale nell’educazione di qualsiasi cittadino.»

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

La menzogna dà dei fiori ma non dei frutti

In evidenza

di Camilla Badoer Nel 19° secolo il drammaturgo francese Honoré de Balzac scrisse: «Il giornalismo è un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non si può traversare e dal quale non si può uscire puri a meno di essere protetti, come Dante, dal divino alloro di Virgilio.»

Si aggiunga che Edward L. Bernays, scomparso il 9 marzo 1995 all’età di 103 anni, e indicato nel suo necrologio come “il padre delle pubbliche relazioni“, sosteneva: «La propaganda diventa cattiva e da condannare quando i suoi autori si adoperano deliberatamente e con conoscenza di causa a diffondere menzogne e produrre effetti negativi per il bene pubblico.»

Con tali premesse dobbiamo constatare come oggi siamo sommersi da cattivo giornalismo e dalla propaganda.

La loro diffusione si è dimostrata così scientifica da assumere il nome di “Psyopcracy“.

È una cosa difficile da combattere perché non è un nemico fisico, ma sono piuttosto messaggi che si depositano nella mente di milioni di persone. Ed arrivano a governare su di noi.

Il nostro mondo è così sotto-sopra che sono stati scritti molti libri sulle fake news.

La RAI-radiotelevisione italiana irradia spot pubblicitari per mettere in guardia i suoi telespettatori dalle notizie menzognere.

Sono nati siti che si occupano di “smascherare” la Dezinformacja.

Ma – per esempio – pubblicazioni come Newsguard [ https://www.newsguardtech.com/it/special-reports/white-paper-sulla-disinformazione/ addirittura il Guardiano delle Notizie. Gulp!] o il Fact-checking di Open [ https://www.open.online/c/fact-checking/ ] nel giornale online fondato da Enrico Mentana, hanno secondo alcuni osservatori la stessa credibilità di quei cleptomani che cianciano di onestà.

Secondo Wikipedia: Le operazioni psicologiche (PSYOP) sono attività per trasmettere informazioni e indicatori selezionati al pubblico per influenzare le loro emozioni, motivazioni e ragionamenti oggettivi e, in definitiva, il comportamento di governi, organizzazioni, gruppi e individui.

Lo scopo delle operazioni psicologiche [ https://en.wikipedia.org/wiki/Psychological_warfare ] degli Stati Uniti è quello di indurre o rafforzare un comportamento percepito come favorevole agli obiettivi degli Stati Uniti.

William Casey, direttore della CIA [ https://www.cia.gov/ ] sotto Ronald Reagan, ha dichiarato: «Sapremo che il nostro programma di disinformazione sarà completo quando tutto ciò che il pubblico americano crede è falso.» [https://kundaliniandcelltowers.com/Did%20CIA%20Director%20William%20Casey%20really%20say%20We%20will%20know%20our%20disinformation%20program%20is%20complete%20when%20everything%20the%20American%20public%20believes%20is%20false-Quora.pdf ]

Così il popolo americano (e l’intera Europa, con l’Italia in posizione di preminenza) è continuamente soggetto a una serie di operazioni psicologiche altrimenti note come “le notizie“.

Attraverso tali operazioni, il popolo americano è stato portato a credere per anni che gli Stati Uniti stavano vincendo in Vietnam, quando in realtà stavano perdendo, come hanno dimostrato i Pentagon Papers.

Da allora, sono seguiti molti esempi di storie completamente false che sono state piantate nella mente delle persone per iniziare e mantenere una guerra in corso. La falsa narrativa delle armi di distruzione di massa in Iraq è forse la più infame.

Oggi la guerra in cui la gente viene ingannata è in Ucraina. A volte una psyop non comporta l’inserimento di informazioni false, quanto piuttosto l’omissione di ciò che è vero.

Robert Parry, il fondatore di Consortium News [ https://consortiumnews.com/2017/03/25/how-us-flooded-the-world-with-psyops/ ], nel marzo 2017 ha scritto l’articolo, “Come gli Stati Uniti hanno inondato il mondo con Psyops“, in cui ha riferito per la prima volta:

«I documenti recentemente declassificati dalla biblioteca presidenziale di Reagan aiutano a spiegare come il governo degli Stati Uniti ha sviluppato le sue sofisticate capacità operative psicologiche che – negli ultimi tre decenni – hanno creato una realtà alternativa sia per le persone nei paesi presi di mira che per i cittadini americani, una struttura che ha ampliato l’influenza degli Stati Uniti all’estero e ha calmato il dissenso in patria.

«I documenti rivelano la formazione di una burocrazia psyops sotto la direzione di Walter Raymond Jr., un esperto di operazioni segrete della CIA che è stato assegnato allo staff del Consiglio di sicurezza nazionale del presidente Reagan per aumentare l’importanza della propaganda e delle psyops nel minare gli avversari statunitensi in tutto il mondo e garantire un sufficiente sostegno pubblico per le politiche estere all’interno degli Stati Uniti.»

Ci sono così tanti “uomini qualunque” soggetti a psyops che dire la verità diventa un compito formidabile. Il cittadino comune è trasformato in quello che non è al passo, quello che sembra essere pazzo.

Di contro, Julian Assange è perseguitato perché rappresenta la capacità di raccontare la verità.

Egli langue in prigione perché dal 2010 ha assunto un’ampia notorietà internazionale per aver rivelato tramite WikiLeaks dei documenti statunitensi secretati, ricevuti dalla ex militare Chelsea Manning, riguardanti crimini di guerra.

Per tali rivelazioni Assange ha ricevuto svariati encomi da privati e personalità pubbliche, onorificenze tra cui il Premio Sam Adams, la Medaglia d’oro per la Pace con la Giustizia dalla Fondazione Sydney Peace, e il Premio per il Giornalismo Martha Gellhorn, ed è stato ripetutamente proposto per il Premio Nobel per la pace per la sua attività di informazione e trasparenza.

Per quanto riguarda Bradley (oggi Chelsea) Manning, una delle accuse per le quali è stato dichiarato colpevole è stata la “pubblicazione arbitraria”. Un reato senza precedenti nel diritto militare. L’avvocato di Manning lo ha definito un illecito inventato. Il vero abuso, per il quale nessuno è stato accusato, è il disprezzo sfrenato per la vita umana che Manning ha esposto.

Edward Snowden, per le rivelazioni sulla sorveglianza globale fatte il 23 giugno 2013, è stato costretto a volare da Hong Kong all’aeroporto internazionale Sheremetyevo di Mosca, dopo che il suo passaporto statunitense era stato annullato.

Dopo varie vicissitudini nell’ottobre 2020, e dopo che Snowden ha chiesto di rinnovare il suo permesso temporaneo, la Russia gli ha concesso la residenza permanente illimitata. Nel novembre 2020, Snowden ha annunciato che lui e sua moglie stavano facendo domanda per la cittadinanza russa, ma: «rimaniamo americani, e cresceremo nostro figlio con tutti i valori dell’America che amiamo.»

Assange, Manning e Snowden sono stati quelli che hanno corso dei rischi per esporre il crimine. Ma quelli che hanno pianificato le guerre, quelli che hanno commesso crimini di guerra, quelli che conducono lo spionaggio illegale, per ora, camminano liberi.

Nella melmosa questione della pandemia da Covid-19 [ https://www.maurizioblondet.it/covid-ricomincia-il-terrorismo/ ] il giornalista Maurizio Blondet scrive: «Abbiamo approfondito e seguito il tema dell’aumento dei casi Covid-19 in Cina e c’è qualcosa che non torna. A quanto pare le fonti primarie da cui tutti i media si abbeverano, sono siti in lingua cinese con sede a Washington DC o Hong Kong. Le fonti Cinesi non parlando di aumenti di casi. […] Ora per magia il 50% dei cinesi provenienti dalla Cina, tamponati in Cina e negativi, sono arrivati positivi in Italia.»

Questa è l’era distopica delle psyops.

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Mini-naja o supercazzola prematurata con doppio scappellamento a destra?

In evidenza

È dell’11 dicembre 2022 la notizia dell’iniziativa dell’attuale Presidente del Senato della Repubblica: Ignazio La Russa (gerarchicamente la seconda carica dello Stato), che lancia la proposta di una mini-naja volontaria. Ovviamente essa passerà al vaglio del Parlamento. Un: “Disegno di legge per addestramenti di 40 giorni, dove sono previsti incentivi per i giovani che vi aderiranno”.

Ignazio Benito Maria La Russa è di origine siciliana. Nato a Paternò (Comune italiano di circa 45.000 abitanti oggi facente parte della Città Metropolitana di Catania) il 18 luglio 1947. La Russa è stato parlamentare dal 1992, prima alla Camera dei deputati e dal 2018 al Senato della Repubblica.

Comprensibile che a questo figlio del meridione sfugga la radice della la parola naia che origina dal dialetto veneto, friulano (pare che la parola fosse stata inventata dagli alpini della Grande Guerra) e sta per genia, semanticamente un’accezione negativa di gerarchia.

Con la sospensione – non abolizione – della leva obbligatoria, nel 2005, l’Italia ha scelto di avere delle FFAA professionalizzate, idonee ad affrontare i futuri scenari operativi.

In quaranta giorni, quindi, e con i condizionamenti del caso non si può pensare di operare né un processo formativo né il conferimento di competenze militari. La formazione richiede processi lunghi e l’acquisizione di capacità militari presuppone lo studio e la pratica di un ampio spettro di processi, nonché l’uso di attrezzature sempre più sofisticate.

È altresì vero che, negli ultimi tempi, si è tornato a parlare di ripristinare la coscrizione obbligatoria, come se le istituzioni militari fossero già l’ultimo baluardo per salvare la nostra società ormai dedita solamente al lassismo e alla continua richiesta di diritti, dimenticando invece i doveri.

Dove sta fallendo la famiglia e la scuola non possono certo porre rimedio le Forze Armate. Chi chiede il ritorno alla naja dimentica (oppure ignora) che la coscrizione obbligatoria è determinata da fattori sociali, economici, culturali e geopolitici.

Ultimo, ma non per importanza, che non esistono più le strutture, mentre le risorse economiche verrebbero distolte all’attuale bilancio della Difesa. Cosa che non entusiasma certo i militari di professione.

Scrive Gloria Callarelli [ https://fahrenheit2022.it/2022/12/17/grazie-a-dio-orwell-e-esistito/ ] giornalista nata a Vittorio Veneto (TV), laureata in “Scienze della comunicazione e produzione multimediale” all’Università di Padova:

«...se George Orwell non fosse esistito noi forse oggi non riconosceremmo neanche la presenza della neolingua in tutti i canali che ci circondano. Neolingua fatta di rovesciamento di significato, di parole inventate o utilizzate ad hoc, stravolgendone la semantica in modo utile a costruire una realtà altra, diversa. […] Nello stordente giro di parole, ad esempio, si tratta di riscrivere la verità: la pace sarà chiamata guerra, la menzogna verità…» (Gulp!) Vedasi il mitico best seller “1984” di George Orwell.

Non bastasse c’è chi ha teorizzato il ritorno all’aristocrazia guerriera.

Nel pensiero antico, nella teoria della tripartizione delle forme di governo (di uno, di pochi, di molti, cioè, rispettivamente: monarchia, oligarchia, democrazia), l’aristocrazia rappresenta la forma non deviata dell’oligarchia (che, soprattutto in Platone e Aristotele, è il governo in favore e nell’interesse dei ricchi anziché della comunità). La classe dei nobili dediti all’esercizio delle armi; dei patrizî che detengono il potere.

Una condizione presagita Dwight “Ike” Eisenhower nel suo discorso di addio alla presidenza degli USA del 19 gennaio 1961 sul complesso militare-industriale che stava condizionando la democrazia.

Ovvero, l’industria degli armamenti per esistere ha bisogno della guerra, allo stesso modo in cui l’esistenza dei soldati di professione debbono la loro condizione alla belligeranza continua. I successi “guerrieri” di questi ultimi sono una precondizione per accedere alle più alte cariche istituzionali.

La democrazia è il Dio che ha fallito.

Lo teorizza il libro del filosofo statunitense Hans-Hermann Hoppe. Il nucleo di questo libro è un trattamento sistematico della trasformazione storica dell’Occidente dalla monarchia alla democrazia. Revisionista di natura, H.H. Hoppe giunge alla conclusione che la monarchia è un male minore della democrazia, ma delinea le carenze in entrambi.

Abolire i partiti politici?

A proporre una democrazia libera dai partiti fu non già un dittatore, ma Simone Weil. Incaricata, nel 1943, dal governo di De Gaulle in esilio, durante la guerra, di elaborare una forma di Costituzione per la Francia futura. Essa pensò in modo radicalmente nuovo, a come garantire la libertà da ogni limite: e l’esistenza di partiti era, per lei, il limite più insidioso.

Il risultato del suoi pensieri è scritto nel suo libro migliore: «L’enracinement» (nell’edizione italiana, «La prima radice»). Ed anche nel: «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»

Vi si legge: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti.»

I taglienti contributi di Simone Weil, filosofa pacifista e mistica, morta a soli 34 anni, in cui la mentalità prevalente dell’epoca veniva torturata quasi sadicamente: «i partiti anglosassoni – scriveva la Weil – contengono un elemento giocoso nella competizione che ne rivela l’origine aristocratica, mentre nei partiti europei è tutto terribilmente serio, il che ne rivela l’origine plebea; con i giacobini si inaugura la gloriosa tradizione per cui la formula vincente èun partito al potere tutti gli altri in prigione”; i partiti sonomacchine di passione collettiva” che opprimono il pensiero individuale e perpetuano se stesse. Con loro trionfa la menzogna,una lebbra che si può superare solo con la loro soppressione”.»

«Bisogna creare un’atmosfera culturale tale,» continua Simone Weil, «che un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito

Simone Weil respinge l’obiezione che l’abolizione dei partiti avrebbe colpito la libertà di associazione e di opinione. «La libertà d’associazione è, in genere, la libertà delle associazioni», contro quella degli esseri umani.

Infatti, «la libertà d’espressione è un bisogno dell’intelligenza, e l’intelligenza risiede solo nell’essere umano individualmente considerato. L’intelligenza non può essere esercitata collettivamente, quindi nessun gruppo può legittimamente aspirare alla libertà d’espressione.»

Non stupisce che di questi tempi ricompaia con successo nelle librerie «Democrazia senza partiti» di Adriano Olivetti. Un protagonista dell’industria, del design e della cultura italiana degli anni 1950, che fondò, tra le altre cose, la rivista e il Movimento di Comunità, con il quale riuscì a essere eletto, unico, in Parlamento. L’ispirazione liberal-sociale dell’imprenditore di Ivrea contrastava l’egemonia della Dc a destra e del Pci a sinistra, con un’idea di autogoverno basato su piccole comunità, e collocava al centro della vita pubblica la capacità critica della persona-cittadino, non le grandi organizzazioni di parte.

Olivetti riscopriva le riserve sui partiti politici di Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti, Marco Minghetti e Piero Gobetti, che in tempi diversi avevano denunciato la tendenza di queste entità politiche a favorire gli amici, a ingerirsi nella vita pubblica, ad opprimere gli avversari, a condizionare la giustizia.

Molti altri sono gli autori che teorizzano la scomparsa dei partiti, e Damiano Palano ne scrive, qui: https://www.academia.edu/5252013/Abolire_i_partiti_politici_Rileggere_Simone_Weil_e_Adriano_Olivetti_pensando_alla_Terza_Repubblica ] nel 2013.

E per concludere, noi vorremmo suggerire per l’ennesima volta la lettura e l’interpretazione dell’Articolo 49 della Costituzione italiana:

«Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale

In questo articolo le parole chiave sono “diritto”, ovvero tutti i cittadini hanno diritto a costituirsi in partiti, non l’obbligo.

Mentre le altre due parole chiave sono: “per concorrere”, vale a dire che se i partiti politici contribuiscono a concorrere. Chi sono gli altri “concorrenti” e “contributori” (?) che partecipano alla determinazione della politica nazionale se non i cittadini stessi in prima persona attraverso gli istituti di partecipazione popolare che genericamente sono:

Istanze, Petizioni, Proposte d’iniziativa popolare di leggi, o di delibere per gli enti locali, i referendum senza quorum confermativi o abrogativi o d’iniziativa (quelli “consultivi” sono solo una furto di democrazia), la revoca o recall di politici e burocrati [vedasi qui, ma ci sono molti altri siti che approfondiscono il tema: https://en.wikipedia.org/wiki/Recall_election ]

Dal 1948 ad oggi, i partiti politici sono stati, effettivamente, gli indiscussi protagonisti della politica nazionale che è stata da loro ‘determinata’ nel Parlamento, nel Governo, nella Pubblica Amministrazione, nell’economia, nell’informazione, nella cultura e così via.

Più difficile è, invece, sostenere che i partiti siano stati, come prescrive la Costituzione, gli strumenti attraverso i quali i cittadini hanno attivamente partecipato alla determinazione delle scelte politiche e delle classi dirigenti dei partiti stessi, realizzando quella ‘democrazia di massa’ o democrazia ‘organica’ che era stata auspicata all’Assemblea Costituente da Elio Basso e da Palmiro Togliatti, da Costantino Mortati e da Aldo Moro.

Historia magistra vitae

Nell’antica Repubblica di Venezia i partiti erano scoraggiati. L’affiorare di partialitates all’interno del corpo politico veniva concepito invariabilmente come un processo lesivo della concordia e del bonum commune. E il popolo godeva di libertà ignote a noi contemporanei.

La conferma ci viene dall’aneddoto della Vecia del Morter. Al secolo Lucia (o Giustina) Rossi, che ha vissuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo a Venezia, e si è inconsapevolmente ritrovata protagonista di uno sventato colpo di stato.

Il 15 giugno 1310 Baiamonte Tiepolo, un giovane ribelle appartenente alla nobiltà veneziana, organizzò un partito insieme ad altri patrizi per una congiura atta a rovesciare il governo della Serenissima e prendere il potere. Il gruppo di insorti arrivò fino quasi Piazza San Marco, dove avrebbe assalito Palazzo Ducale, se non fosse che la signora Lucia, affacciatasi alla finestra attirata dal trambusto sottostante, fece cadere un pesante mortaio sulla testa del portabandiera dell’esercito dei rivoltosi, uccidendolo sul colpo.

Lo spavento e la sorpresa, uniti al sospetto che la congiura potesse essere scoperta, portarono scompiglio tra il gruppo di congiurati, che vennero così facilmente bloccati dall’esercito della Serenissima.

L’anziana donna, come ricompensa per aver salvato la città, chiese solo che l’affitto della sua casa non fosse mai alzato, e così avvenne fino alla caduta della Repubblica. Da quel giorno, inoltre, il Doge concesse alla donna e a tutti i suoi discendenti il diritto di esporre il gonfalone di San Marco il 15 giugno, giorno dell’anniversario dell’accaduto, e nelle altre solennità.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Quando un sistema d’informazione è inaffidabile

In evidenza

Generalmente sono le tecniche di marketing che inducono un editore a varare un nuovo mezzo di informazione.

È del tutto naturale che tale imprenditore scelga il pubblico a cui rivolgersi. A patto, ovviamente, che investa soldi suoi. Diverso è se attinge in toto o in parte a finanziamenti pubblici.

Quando si decide in anticipo di rinunciare a una parte del pubblico potenziale, per raggiungere l’obiettivo di soddisfare una percentuale dell’intero, si sta scegliendo in anticipo quali fatti enfatizzare e quali minimizzare. Si sta anche scegliendo quali storie trattare e quali evitare, in base a considerazioni diverse dalla verità o dall’attualità.

Questo non è giornalismo. È intrattenimento politico, e quindi inaffidabile sotto il profilo della corretta informazione.

Con gli editori più preoccupati di fidelizzare un pubblico che a fare le cose per bene, la caratteristica distintiva in tutta l’azienda è l’imprecisione.

I mezzi di informazione non dovrebbero avere un “lato“.

La stampa deve essere vista come separata dalla politica, non solo perché questa è una componente cruciale dell’affidabilità, ma anche perché i media traggono tutto il loro potere dalla percezione della loro indipendenza. Se un organo di informazione è visto come troppo collegato all’uno o all’altro partito, perde la sua capacità di fungere da controllo sul potere.

Per i giornalisti – principalmente nei media mainstream – è meno importante essere precisi piuttosto che essere “direzionalmente” corretti. Così si riducono le possibilità di avere le giuste opinioni, e la descrizione oggettiva dei fatti separando nettamente i commenti.

Un buon giornalista dovrebbe sempre vergognarsi di questo errore.

Nello zelo di “ritenere Vladimir Putin responsabile”, sono stati gettati alle ortiche i guardrail etici. Accuse gravi vengono fatte senza chiamare le persone per un commento. I giornalisti diventano troppo intimi con i politici e, di conseguenza, riportano informazioni senza alcuna attribuzione o provenienti da funzionari anonimi o “persone che hanno familiarità con la questione”. Come gli scienziati, i giornalisti dovrebbero essere in grado di riprodurre il lavoro degli altri in laboratorio. Con troppe fonti anonime, questo diventa impossibile.

C’è voluta la gaffe della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha affermato in un video postato sul suo account Twitter (prontamente rimosso, ma prima istantaneamente replicato da molti) come i militari ucraini uccisi dall’inizio dell’operazione russa in Ucraina, il 24 febbraio 2022, siano “oltre 100.000”, mentre i civili morti sarebbero almeno 20.000. Una rivelazione (per errore) che lascia sgomenti.

Eppure i nostri principali media hanno creduto alla propaganda ucraina che dichiarava molte meno perdite (almeno 14/20 mila militari, ma per gli americani sono la metà o meno). Questo non è autentico giornalismo, è propaganda. Stavano vendendo narrativa, e questa era considerata una buona narrativa.

Solo a partire dal 30 novembre 2022 i principali mezzi di informazione riprenderanno le dichiarazioni dal sen fuggite a Ursula von der Leyen.

In precedenza si calcava la mano su alcune centinaia di civili uccisi, compresi decine di bambini; mentre e quasi passato sotto silenzio il vero bilancio delle vittime dei bambini e i milioni di persone che affrontano la fame e le malattie nello Yemen devastato dalla guerra.

«Migliaia di bambini hanno perso la vita, altre centinaia di migliaia rimangono a rischio di morte per malattie prevenibili o per fame», [ https://www.unicef.org/press-releases/more-11000-children-killed-or-injured-yemen ] ha dichiarato Catherine Russell, Direttore generale dell’UNICEF.

Oltre al pericolo che i bambini di tutto il paese hanno affrontato mentre tentavano di svolgere la vita quotidiana nelle loro case e scuole, quasi 4.000 ragazzi sono stati reclutati come bambini soldato tra marzo 2015 e settembre 2022, ha affermato l’agenzia delle Nazioni Unite. Quasi 100 ragazze hanno anche lavorato ai posti di blocco e in altre posizioni militari.

Gli Stati Uniti hanno sostenuto la coalizione con input strategici, rifornimento in volo e vendite di armi per anni, e come Juan Cole (accademico e commentatore statunitense sul Medio Oriente moderno e l’Asia meridionale) ha scritto su Informed Comment [ https://www.juancole.com/2022/12/killed-wounded-backed.html ], il sostegno cruciale è continuato anche dopo che il presidente Joe Biden ha annunciato che gli [ https://apnews.com/article/biden-end-support-saudi-offenseive-yemen-b68f58493dbfc530b9fcfdb80a13098f ] Stati Uniti stavano ufficialmente terminando il loro sostegno.

Circa 2,2 milioni di giovani yemeniti soffrono di malnutrizione acuta, ha dichiarato l’UNICEF, e un quarto di questi bambini ha meno di cinque anni. Con 10 milioni di bambini che non hanno accesso all’assistenza sanitaria poiché le cliniche sanitarie sono state costrette a chiudere, la maggior parte dei bambini del paese è ora a rischio estremo di morbillo e altre malattie prevenibili con vaccino, così come il colera.

Sempre Juan Cole ha osservato che il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha stimato un bilancio di vittime molto più alto tra i bambini nello Yemen più di un anno fa, affermando che entro la fine del 2021, 377.000 yemeniti dovrebbero essere morti a causa della guerra, sia per attacchi aerei, fame, pericoli associati allo sfollamento o malattie. Si stima che il settanta per cento delle vittime fossero bambini, ha detto l’UNDP (United Nations Development Programme) all’epoca.

Ottenere le giuste informazioni è già abbastanza difficile. Nel momento in cui si prova a fare qualcos’altro in questo lavoro, il meccanismo s’inceppa. Fino a quando editori e giornalisti non torneranno alle basi del loro lavoro, non meritano di essere rinomati.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Anche gli Imperi periscono quando scompare l’idea su cui sono fondati

In evidenza

Da quando nell’ottobre 2020 il New York Post ha pubblicato un numero iniziale di e-mail che presumibilmente provenivano dal laptop di Hunter Biden, è emersa una serie di altre e-mail e messaggi di testo che suggeriscono scorrettezze tra i suoi affari esteri, e suo padre Joe Biden mentre era vicepresidente degli Stati Uniti.

Elon Musk e Bari Weiss

Il nuovo proprietario di Twitter Elon Musk ha rilasciato rivelazioni bomba su ciò che ha portato il gigante della tecnologia a sopprimere la storia di Hunter Biden nelle ultime settimane delle elezioni presidenziali del 2020.

James Baker, un ex consigliere generale dell’FBI precedentemente coinvolto nell’indagine sulla collusione con la Russia, ora probabilmente dovrà affrontare un interrogatorio davanti al Congresso (a gennaio o febbraio 2023) dopo essere diventato vice consigliere di Twitter.

Sempre Elon Musk ha pubblicato le rivelazioni sul laptop di Hunter Biden su Twitter attraverso il giornalista di Substack Matt Taibbi

In Usa giornalisti come Glenn Greenwald [ https://en.wikipedia.org/wiki/Glenn_Greenwald ], Matt Taibbi [ https://en.wikipedia.org/wiki/Matt_Taibbi ], ma anche Bari Weiss [ https://en.wikipedia.org/wiki/Bari_Weiss ], e tanti altri, pur di essere più indipendenti e poter trattare di quello che gli pare come vogliono, hanno lasciato i grandi giornali e le grandi corporations dei media dove lavoravano, spostandosi su Substack, Rumble, Locals, etc.

Qui [ https://greenwald.substack.com/p/article-on-joe-and-hunter-biden-censored ] Glenn Greenwald pubblica l’articolo su Joe e Hunter Biden censurati da The Intercept; giornale che ha co-fondato nel 2014.

Matt Taibbi
Glenn Greenwald

In Italia dove il lutulento mondo dei giornali e giornalisti, con qualche ovvia eccezione che tuttavia in questo momento non siamo in grado di ricordare (è un nostro limite e ce ne dispiace), è quanto di meno indipendente si possa pensare. Quanti hanno fatto altrettanto relativamente agli accadimenti degli ultimi due anni?

L’edificazione di uno Stato-nazione può essere auspicata, favorita, promossa purché sussistano alcune condizioni, quali il rispetto della giustizia, la volontà maggioritaria del popolo, il miglioramento delle condizioni di vita.

Sicuramente il Marchese Massimo d’Azeglio, uno degli uomini politici piemontesi protagonisti del processo di unificazione dell’Italia, non aveva previsto che la celeberrima frase con cui commentava la nascita del Regno d’Italia proclamato nel 1861 sarebbe diventata proverbiale. Anche se a dire il vero, pare che quella frase: «Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli Italiani», non l’abbia mai detta.

Tutto sommato è stato preferibile che altrettanta popolarità non sia stata acquisita da una “perla”, questa sì che l’ha scritta, che leggiamo nel suo Epistolario: «In tutti i modi la fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaioloso!». La dice lunga su che cosa pensassero i “patrioti” piemontesi degli altri Italiani.

Tuttavia con una guerra espansionistica, nel marzo 1861, il pur piccolo Regno di Sardegna diventò il Regno d’Italia mentre al Sud la gente ancora piangeva per le stragi operate, solo pochi mesi prima, dal generale sabaudo Enrico Cialdini sull’inerme popolazione civile di Capua, o dal colonnello Pier Eleonoro Negri responsabile delle stragi di Pontelandolfo e di Casalduni, con l’approvazione e l’elogio del Primo Ministro di casa Savoia, Camillo Benso di Cavour.

A girovagare per Internet si può trovare la Cronologia dell’Unità d’Italia, stilata in due paginette.

Difficilmente si troverà la cronologia degli scandali che si sono avuti dall’unità ai giorni nostri. Un elenco, forse, troppo lungo. Sicuramente disgustoso.

Scrive lo storico Nicola Zitara: «La retorica unitaria, che coprì interessi particolari, non deve trarre in inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furono imposte all’intera Italia, si erano già rivelate fallimentari in Piemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politico di Cavour e dei suoi successori, l’uno e gli altri più uomini di banca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsa a un’auto sconfessione. Quando, alla fine, quelle “innovazioni”, vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio al collo. […] Per contro una politica di sviluppo, fra mille errori e disastri economici epocali (basti pensare al fallimento della Banca Romana, principale finanziatrice dello stato unitario o allo scandalo Bastogi per l’assegnazione delle commesse ferroviarie), fu attuata solo al Nord mentre il Sud finì per pagare le spese della guerra d’annessione.»

E che dire del fatto che di fronte all’avanzare di Garibaldi con i suoi Mille, “Tore ‘e Crescienzo”, alias Salvatore de Crescenzo, il primo vero capo della camorra, fu chiamato nelle stanze della prefettura dal prefetto Liborio Romano con una proposta: redimersi per diventare guardia cittadina, con quanti compagni avesse voluto, col fine di assicurare l’ordine? La “camorra in coccarda tricolore”, ben lungi dall’essere disciplinata come sperava il prefetto, trovò nella divisa la sua legittimazione.

Il Risorgimento italiano fu un’operazione manu militari.

Furono invasi i piccoli e i grandi Stati della penisola. Insomma, come se, per esempio, in tempi recenti, per fare l’UE, uno Stato – la Germania o la Spagna – avesse invaso gli altri Stati e avesse detto: “ora siamo uniti”. Ogni persona che crede nella giustizia, non può ammettere ciò che accadde in Italia nel secolo XIX.

Il filosofo Augusto del Noce ha significativamente definito il Risorgimento italiano “un capitolo dell’imperialismo britannico”. Antonio Gramsci – lo storico marxista – osservava: “I liberali di Cavour concepiscono l’unità come allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia”.

Questa gente “fa l’Italia” ma gli Italiani continuano a rimanere estranei a questo Stato-nazione. Un fiscalismo esoso fu imposto per tentare di pareggiare il bilancio disastroso che il Regno di Sardegna, unificata l’Italia, aveva portato in “dote”; ovvero il suo spaventoso debito pubblico accumulato con le “guerre d’Indipendenza”.

Milioni e milioni di Italiani emigrarono. Nel nuovo Stato-nazione avevano fame ed erano ammalati.

Sfogliando gli atti parlamentari, datati 12 Marzo 1873, sulle condizioni sanitarie del paese: “la tisi, la scrofola, la rachitide, tengono il campo più di prima; la pellagra va estendendo i suoi confini; il vaiuolo rialza il capo; la difterite si allarga ogni giorno di più”. Si emigra.

Non si tratta di una emigrazione individuale, ma di gruppo. All’interno di questi gruppi il prete occupa molto spesso la funzione del capo. La terra di conquista è l’America meridionale, soprattutto il Brasile e l’Argentina. La gente comincia a partire. A gruppi, a centinaia. La gente, specialmente quella veneta, non ha voglia di battersi sul posto.

Dovrebbe opporsi all’ordine costituito e questo contrasta con la sua mentalità, rispettosa dell’autorità. Per sottrarsi ad una condizione diventata insopportabile non rimane che l’emigrazione. Anche coloro che all’inizio erano contrari alle partenze, ora si arrendono. Capiscono che se l’emigrazione fosse frenata, scoppierebbe la rivolta. E le rivolte comunque ci furono: vedi “la Boje”. [ http://www.berrettofrigio.org/joomla/le-canzoni/la-boje ]

La gente parte dicevamo.

A volte si muovono interi villaggi, con il parroco in testa. Partono anche di notte, al buio e in silenzio, quasi fosse tempo di guerra e il nemico stesse in agguato. Qua e là si ode il grido: Viva l’America! Morte ai signori! L’emigrazione diventa veramente, per tutto un popolo, una liberazione: dai padroni oppressori, dalla terra che non li mantiene, dal bisogno che incalza, da un Governo inesistente e insensibile. «Noi andiamo in Brasile – gridano alcuni – Ora toccherà ai padroni lavorare la terra…».

La partenza è vissuta come un avvenimento doloroso, ma necessario. Rompe una situazione di miseria senza scampo e apre una porta alla speranza. Per questo, a volte, centinaia di persone si mettono in movimento insieme, lentamente, al suono delle campane, come nelle grandi feste, e alla testa della processione vi è un grande Crocefisso o lo stendardo di un Santo che gli emigrati porteranno con loro nella nuova patria.

Già nel 1876 un certo Don Munari, parroco di Fastro nel Comune di Cismon del Grappa, era partito per il Brasile con un gruppo di circa 300 emigranti. Ed è grazie agli emigrati veneti che la colonia di Caxias, nel Rio Grande do Sul, conosce uno sviluppo straordinario. In meno di 50 anni passa dalla foresta alla piena industrializzazione. Fondata nel 1875, dopo soli tre anni aveva quasi 4.000 abitanti. Nel 1898 gli italiani erano 25.000, i nove decimi della popolazione. Nel 1877, su iniziativa di una strana figura di prete-reclutatore che aveva posto la sua centrale nel Canal del Brenta, vicino a Bassano del Grappa, erano stati avviati alla volta del Brasile oltre 2.000 contadini della zona. Formeranno uno dei primi insediamenti italiani nel Paranà, a Curitiba.

Nel 1898 gli operai a Milano sfilarono per protestare contro l’ingiustizia sociale: chiedevano pane. Passata alla storia come la “Protesta dello stomaco”, il governo guidato da Antonio di Rudinì proclamò lo Stato d’assedio e il generale Fiorenzo Bava Beccaris, in qualità di Regio Commissario Straordinario, ordinò di sparare cannonate sulla folla provocando una strage in cui furono uccisi 80 cittadini e altri 450 rimasero feriti. Ma si tratta di cifre ufficiali poco convincenti. Il numero di vittime effettive non si saprà mai. In segno di riconoscimento per quella che dalla monarchia fu giudicata una brillante azione militare, Bava-Beccaris ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine Militare.

Superata la I. G.M. ci fu l’avvento del fascismo sul quale non ci soffermiamo per brevità. Sono stati scritti tanti di quei libri da riempire intere biblioteche. Il fascismo portò alla II G.M. e liberata l’Italia ad opera degli Alleati, la resistenza antifascista accampò meriti, elargì patenti, occupò il potere. Tutti i partiti, con l’eccezione del MSI erano antifascisti. Gli scandali non diminuirono: Vajont, Lockheed, Montedison, solo per citarne alcuni considerato che la lista sarebbe assai lunga.

Anzi furono il “brodo di cultura” del terrorismo rosso e di quello nero, complice anche il clima della guerra fredda. Seppellita la cosiddetta Prima repubblica, intorno alla prima metà degli anni 1990, ad opera degli scandali di Tangentopoli ecco il sistema Palamara [ L’antisistema Palamara sopravvive e si legittima come nuovo “Sistema” – https://www.editorialedomani.it/giustizia/lantisistema-palamara-sopravvive-e-si-legittima-come-nuovo-sistema-c7qk1fgs ]. Ai giorni nostri la corruzione è aumentata, mentre la classe politica non esprime alcuna qualità.

Su quale idea, dunque, dovremmo sostenere l’unità dello Stato italiano?

Al contrario la nostra idea è: unire gli individui ed i popoli nella libertà e nella diversità, lasciando ognuno padrone a casa propria; ovvero varare un sistema autenticamente federalista. Sarebbe un modo semplice per condividere con altri ciò che pensiamo per cambiare pacificamente la forma di Stato e di governo di questo paese, e di rifiutarsi di essere complici di un sistema basato sui partiti corrotti, voluto da incapaci, votando i quali saremo perennemente complici di questa insopportabile perché fittizia democrazia.

Tiziano Terzani

Scriveva il giornalista e scrittore Tiziano Terzani: «Oggi, per i più, democrazia vuol dire andare ogni quattro o cinque anni a mettere una croce su di un pezzo di carta ed eleggere qualcuno che, proprio perché deve piacere a tanti, ha necessariamente da essere medio, mediocre e banale come sono sempre state tutte le maggioranze. Se mai ci fosse una persona eccezionale, qualcuno con delle idee fuori del comune, con un qualche progetto che non fosse quello di imbonire tutti promettendo felicità, quel qualcuno non verrebbe mai eletto. Il voto dei più non lo avrebbe mai.»

L’idea da condividere dovrebbe essere quella che l’individuo, e non lo Stato unitario definito arbitrariamente “sovrano” e imposto con la forza e con l’inganno, è il titolare unico della propria volontà che giuridicamente è sovranità. In quanto diritto naturale, la sovranità dell’individuo non può essere ceduta, neppure parzialmente, né essere oggetto di legge ma solo di garanzia costituzionale. Pertanto tutto ciò che oggetto di governo della società e della comunità, deve essere fatto o almeno legittimato dalla maggioranza dei cittadini sovrani.

Senza questa legittimazione la legge dello Stato non può avere valore giuridico e deve essere considerata una violazione del diritto naturale, di cui sono responsabili i rappresentanti ed i partiti che l’hanno imposta. Solo in questi termini ognuno potrà essere l’artefice del proprio destino e del destino della future generazioni.

E a nulla valgono, se non ad inquinare il dibattito politico, quei sedicenti partiti indipendentisti che non sono in grado di produrre e proporre un nuovo progetto politico-istituzionale, o peggio coloro che chiedono il voto per entrare nelle istituzioni italiane per modificarle dal “di dentro”. Questa è una fanfaluca a cui gli elettori hanno già abboccato senza costrutto per decenni.

La questione sostanziale è che i partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia.

Già nel 1943, scriveva Simone Weil:

Le lotte tra fazioni nel periodo del Terrore furono governate dal pensiero così ben formulato da Tomskij: «Un partito al potere e tutti gli altri in prigione». Così, sul continente europeo, il totalitarismo è il peccato originale dei partiti.

Il fatto che esistano non è in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare è se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda così la loro esistenza desiderabile.

Per apprezzare i partiti politici secondo il criterio della verità, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali. È possibile elencarne tre:

  1. Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.
  2. Un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.
  3. Il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.
Giordano Bruno

Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.

Calzante, infine, l’invettiva che nel 1600 lanciò Giordano Bruno prima d’essere arso vivo a Roma, in Campo deFiori: «Ho sbagliato quando ho creduto di chiedere proprio a Voi, di condannare un sistema di arbitrio, di sopraffazione, di violenza […] che mortificazione […] chiedere a chi ha il potere di riformare il potere! Che ingenuità!»

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Il Parlamento europeo finanzia un cambio di regime in Ungheria?

In evidenza

Tempo fa, assistendo ad un Consiglio comunale, ho scherzato con un mio vicino mormorandogli: «ci sono due cose che sono importanti in politica. Il primo è il denaro. E non riesco a ricordare quale sia la seconda.»

Per capire come la spesa politica sia andata fuori controllo.

Si osservino le proiezioni [ https://edition.cnn.com/2022/08/11/politics/political-ad-spending-midterms/index.html ] che stimavano in 9,7 miliardi di dollari spesi solo in annunci pubblicitari negli Stati Uniti durante le midterm elections del 2022. Mentre erano 4 miliardi di dollari durante le elezioni del 2018.

Un fenomeno tutto moderno, perché nel 1800 negli USA le campagne elettorali erano generalmente finanziate dalla ricchezza personale del candidato o dalla sua famiglia o da individui molto ricchi della comunità che sostenevano un particolare candidato.

All’epoca, il governo non emetteva le schede elettorali. Gli elettori si presentavano alle urne con il voto che poi avrebbero espresso.

Tammany Hall, per esempio, era un’organizzazione politica di New York City fondata nel 1786. Divenne la principale macchina politica locale del Partito Democratico e giocò un ruolo importante nel controllare la politica di quella città. E quando una macchina come Tammany Hall voleva far eleggere i suoi candidati, spesso distribuiva le schede ai membri delle comunità locali per quel particolare candidato.

Tuttavia il finanziamento elettorale era molto meno importante allora di quanto non lo sia oggi, perché non c’erano le attuali campagne di marketing in cui si deve spendere un sacco di soldi per convincere la gente a sostenere un candidato.

Ma in politica i soldi non si spendono solo per le elezioni.

Nel luglio del 2021 il Parlamento europeo in una risoluzione adottata alla sessione plenaria con 437 voti favorevoli, 94 contrari e 39 astenuti, i deputati hanno invitato la Commissione europea ad adempiere ai propri doveri, e ad impegnarsi più efficacemente per le gravi violazioni dei principi dello Stato di diritto in alcuni Stati membri. [ https://dailynewshungary.com/it/i-governi-locali-e-le-ONG-riceveranno-i-fondi-dell%27ue-in-Ungheria/ ]

Il Parlamento europeo sostiene che la situazione è peggiorata, e l’Ungheria (ma la risoluzione può essere utilizzata anche per Polonia e Bulgaria) è diventata una “autocrazia elettorale”. Sottolineando che:

  • l’inazione dell’UE ha aggravato l’arretramento;
  • il congelamento dei fondi di coesione fin quando il Paese non si conformerà alle raccomandazioni UE, e non si rispettano le sentenze della Corte di giustizia europea;
  • la mancanza di progresso nel processo dell’articolo 7 equivarrebbe a una violazione dello Stato di diritto da parte del Consiglio.

Molti deputati di questo Parlamento considerano i valori e le politiche promossi [ https://frankfuredi.substack.com/p/letter-from-brussels-they-are-dreaming ] dal governo ungherese come antitetici alle loro prospettive. Alcuni si spingono fino a sostenere che i valori tradizionali sposati dall’Ungheria sono incoerenti con l’appartenenza all’UE.

Il loro odio per il governo ungherese è anche rafforzato dalla convinzione che le sue azioni e il suo comportamento costituiscano un esempio da seguire per altre voci dissidenti europee. I deputati che sono convinti che la prospettiva tecnocratica e di ingegneria sociale dell’oligarchia dell’UE temono che l’esempio dell’Ungheria incoraggerà i movimenti che definiscono populisti. È il loro timore del populismo che spiega la peculiare forma di isteria politica che questi deputati rivolgono all’Ungheria.

Ciò che è veramente significativo della risoluzione approvata dal Parlamento europeo è che ha chiesto senza scuse all’UE di aggirare il governo ungherese e distribuire fondi agli alleati simpatizzanti in Ungheria. La risoluzione affermava che i destinatari finali dei fondi dell’UE in Ungheria non dovrebbero rimetterci e che ciò può essere ottenuto aggirando il governo nazionale e distribuendo il denaro a istituzioni locali amiche.

La risoluzione raccomanda l’utilizzo del governo locale e delle ONG in Ungheria per distribuire i fondi dell’UE. Questo è un altro modo per dire che l’UE dovrebbe incoraggiare la creazione di istituzioni statali parallele attraverso le quali i fondi dovrebbero essere dispersi. Il merito principale di questo approccio dal punto di vista dei suoi sostenitori è che non solo punisce il governo ungherese, ma premia anche i suoi alleati interni.

Per qualche tempo, l’oligarchia dell’UE ha fatto affidamento su una vasta e fitta rete di ONG per esternalizzare il processo decisionale politico. Spesso utilizza le ONG e le loro presunte competenze per promuovere le sue politiche.

L’immagine di pubbliche relazioni delle ONG come indipendenti, politicamente neutrali e disinteressate serve a legittimare le politiche che promuovono. In realtà, le ONG non sono né disinteressate né neutrali. Non sono nemmeno realmente non governative. [ https://www.7colli.it/le-ong-dispongono-di-navi-aerei-droni-e-soldi-senza-limite-ecco-quali-e-quante-sono-69853/ ]

Molte di loro sono finanziate direttamente o indirettamente dai governi. Secondo il sistema di trasparenza finanziaria della Commissione europea, nel 2021 l’UE ha [ https://ec.europa.eu/budget/financial-transparency-system/index.html ] distribuito 10 miliardi di euro a ONG e organizzazioni senza scopo di lucro, circa il 6% del suo bilancio. L’UE ha inoltre impegnato 252 milioni di euro per finanziare le ONG ungheresi e le organizzazioni senza scopo di lucro.

Cosa può fare l’«uomo qualunque»?

È evidente, inoppugnabilmente evidente, che un cittadino qualunque non ha gli strumenti minimi per intervenire, consapevolmente, in un dibattito politico di qualsiasi importanza. La logica conseguenza è che non costituisce parte attiva e dinamica del tessuto politico.

D’altra parte, come scriveva Bertolt Brecht: «al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico.»

All’origine la costruzione europea era animata da una volontà post-politica, quella di ridurre la democrazia all’esercizio più largo possibile delle libertà individuali; che sono sì un elemento; ma la democrazia consiste essenzialmente e prima di tutto nella capacità di fare scelte collettive.

La debolezza di questa democrazia è insita nel concetto di rappresentanza.

La democrazia rappresentativa, invece, deve essere equilibrata con la democrazia diretta (Svizzera docet) per mezzo dei referendum di iniziativa popolare senza quorum per la validità del risultato. Il referendum così inteso stabilirebbe un “nesso di reciprocità” fra rappresentanti e rappresentati e si configurerebbe come un “contratto politico” o “di federazione”. Questo tipo di “contratto” ha per fondamento la quantità di potere decisionale che il popolo, essendo sovrano conferisce ai propri rappresentanti. Infatti col voto i cittadini riservano per sé la quantità maggiore di potere decisionale di fare modificare o abrogare le leggi.

Nessun mass-media mainstream, ha fatto mai il minimo accenno a queste semplici osservazioni che potrebbero essere la medicina in grado di guarire dalla peste nera del potere dei partiti, delle mafie e delle massonerie deviate, incarnato da quei Parlamenti che sono in mano a veri e propri criminali sociali.

Se si vuole uscire da questo tipo di crisi è necessario trovare un’alternativa al sistema dei partiti politici. Numerosi sono gli accademici che nel mondo studiano alternative. E in queste pagine abbiamo scritto abbondantemente a favore di single-issue party (organizzazioni monotematiche che si battono per un solo problema), come per il sorteggio dei rappresentanti, per ripeterci ancora una volta.

Luigi Sturzo fu un deciso avversario della partitocrazia.

Così scriveva in un articolo pubblicato da “Il Giornale d’Italia” il 9 agosto 1955: «Il virus fascista era penetrato nelle ossa anche della fresca gioventù italiana del 1946 […] non c’era più il partito unico […] oggi vi sono i partiti collegati […] il partito è un potere non responsabile; non risponde nemmeno agli elettori che gli danno il voto, né ai sostenitori che gli danno i mezzi: un partito, per definizione, non ha mezzi propri. […] È perciò che io, e con me gli italiani pensosi delle sorti del Paese, vogliamo riaffermato e rafforzato lo Stato di diritto in democrazia parlamentare, e non vogliamo affatto lo Stato della partitocrazia.»

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

“Elezioni” e “Democrazia” non sono sinonimi

In evidenza

Gli statunitensi affluiti in gran numero alle elezioni dell’8 novembre 2022 (Midterm Elections), speravano in un risultato diverso per ottenere un alleggerimento del carico fiscale, e per ridimensionare o addirittura disinnescare l’impegno conseguente alla guerra in Ucraina.

Paul Creig Roberts (Economista, ex Amministrazione Reagan. Analista della politica americana e del suo ruolo nel mondo.) l’11 novembre ha prontamente scritto un articolo dal significativo titolo: Un’altra Elezione Rubata [ https://katehon.com/en/article/another-stolen-election ].

Paul Creig Roberts nota che i giornalisti della CNN Zachary B. Wolf e Curt Merrill hanno osservato che l’ondata dei repubblicani ampiamente attesa non si è concretizzata, e quindi hanno presentato dati che non sono coerenti con la vicinanza del voto. I giornalisti confrontano gli exit poll delle elezioni del 2018 con quelli delle elezioni del 2022. I confronti mostrano che i Democratici hanno perso sostegno alle ultime elezioni tra donne, moderati, giovani, persone di colore, elettori urbani, laureati e indipendenti. https://www.cnn.com/interactive/2022/politics/exit-polls-2022-midterm-2018-shift/

«Nel 2018, il 37% degli elettori si dichiarava democratico, rispetto al 33% che si dichiarava repubblicano e al 30% che si dichiarava indipendente. Nel 2022, erano i repubblicani ad avere il vantaggio. Quando hanno ottenuto il controllo della Camera nel 2018, i Democratici avevano un vantaggio tra gli elettori indipendenti. Questo è quasi scomparso nel 2022.

«Sia i democratici che i repubblicani hanno migliorato le loro prestazioni tra i fedeli del partito. Ma i repubblicani hanno costruito un vantaggio tra gli elettori che non hanno una visione favorevole di nessuno dei due partiti. I democratici hanno perso il loro vantaggio tra gli elettori che hanno una visione favorevole di entrambi i partiti.»

Paul Creig Roberts tiene conto anche dell’insoddisfazione pubblica per:

  • criminalità record;
  • inflazione record con prezzi elevati di cibo e benzina;
  • tassi di interesse in aumento, e valori domestici in calo;
  • massiccia immigrazione illegale;
  • l’indottrinamento forzato dei bambini delle scuole con la teoria transgender, e la teoria critica della razza;
  • i mandati di vaccinazione Covid di Biden che hanno causato infortuni alla salute, morti e carriere distrutte;
  • i blocchi Covid di Biden che hanno distrutto aziende, posti di lavoro, catene di approvvigionamento, e aumentato i prezzi;
  • le sanzioni “russe” di Biden che hanno interrotto l’approvvigionamento energetico e aumentato i prezzi di tutto.

Considerando tutta questa insoddisfazione, come ha fatto il democratico John Fetterman, una persona colpita da un ictus e afflitta da problemi di parola che vuole liberare i criminali dalla prigione, a vincere un seggio al Senato in quota alla Pennsylvania?

Paul Creig Roberts si chiede, cosa c’è di peggio, un’elezione americana rubata o un elettorato americano così disinvolto e fuori a pranzo da mantenere in carica un partito politico che ci sta portando alla guerra con Russia e Cina, che odia i bianchi e li perseguita, che ha politicizzato l’FBI e il Dipartimento di Giustizia trasformandoli in agenzie della Gestapo al servizio del potere democratico, che crede fermamente che i genitori siano dannosi per i bambini e non dovrebbero avere voce in capitolo nella loro educazione (lavaggio del cervello), cioè demonizzare la normalità e normalizzare la perversione?

I termini “elezioni” e “democrazia” – annunciavamo nel titolo – sono divenuti sinonimi quasi per tutti.

Siamo intimamente convinti che il solo modo di essere rappresentati passi per la via delle urne. È fra l’altro ciò che risulta nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «La volontà del popolo è il fondamento dell’autorità dei poteri pubblici: questa volontà dev’essere espressa con elezioni serie che devono avere luogo periodicamente.»

La formulazione “dev’essere espressa” è particolarmente sintomatica dal nostro punto di vista. Chi dice democrazia dice elezioni. Tuttavia, non è curioso che un documento così generale – il documento giuridico più universale della storia dell’umanità – indichi con tanta precisione in quale modo la volontà popolare debba esprimersi?

Non è strano che un testo sommario sui diritti fondamentali (nemmeno duemila parole in tutto) si sia subito soffermato sulle modalità pratiche dell’applicazione, come se un progetto di legge sulla salute pubblica contenesse già delle ricette di cucina?

Si ha l’impressione che, per gli autori del testo del 1948, il metodo stesso fosse divenuto un diritto fondamentale. Come se la procedura in sé fosse sacra.

L’olandese David Van Reybrouck nel libro Tegen Verkiezingen, © Amsterdam 2013, scrive:

«Ecco la prima causa della sindrome di stanchezza democratica: siamo diventati tutti dei fondamentalisti delle elezioni. Disprezziamo gli eletti, ma veneriamo le elezioni. Il fondamentalismo elettorale è la convinzione ferrea che una democrazia non sia concepibile senza elezioni, che le elezioni siano la condizione necessaria, fondante, per parlare di una democrazia. I fondamentalisti delle elezioni rifiutano di vedere le elezioni come un metodo che contribuisce alla democrazia, ma le considerano come uno scopo in sé, come un principio sacro avente un valore intrinseco inalienabile.

«Quando i paesi occidentali sperano che paesi duramente colpiti come il Congo, l’Iraq, l’Afghanistan o Timor Est si democratizzino, vogliono in realtà dire che questi paesi devono organizzare delle elezioni nazionali, di preferenza imitando il modello occidentale: con cabine elettorali, schede e urne, partiti, campagne elettorali e la formazione di coalizioni, con liste, seggi e sigilli.

«Insomma, esattamente come da noi. Questi paesi ricevono allora dei fondi da parte nostra. Le istituzioni democratiche e proto-democratiche locali (le concertazioni nei villaggi, la mediazione tradizionale, la giustizia all’antica) non hanno neanche l’ombra di una chance: anche se sono valide per delle deliberazioni pacifiche e collettive, le valvole finanziarie si chiudono non appena i paesi divergono dalla nostra ricetta comprovata – un po’ come la medicina tradizionale che deve cedere di fronte alla medicina occidentale.»

Per superare tutto ciò, una procedura democratica è il sorteggio

[ Antichità e Rinascimento ]

Numerosi poi sono gli accademici che hanno studiato la questione e proposto soluzioni.

Per superare l’attuale allontanamento popolare nei confronti della partitocrazia noi abbiamo scritto più volte sui vantaggi del Sorteggio dei pubblici amministratori

Da ultimo, ma non per importanza, si deve affrontare la questione del “come” affrontare il sorteggio.

In questo schema si propongono alcune semplici riforme

l sorteggio

elimina le elezioni

  • Niente più campagne elettorali a base di accuse, recriminazioni e/o conflittualità contrapposte.
  • Eliminazione delle promesse elettorali, puntualmente disattese.
  • Eliminata la conflittualità tra partiti e candidati.
  • Inutile la campagna pubblicitaria.
  • Eliminati i finanziamenti – più o meno occulti – a partiti e candidati.

Istituzione di un

«Albo» dei sorteggiabili

  • Una (non necessariamente l’unica) “moderna” e rivoluzionaria proposta che vuole l’utilizzo della struttura dell’ufficio elettorale comunale, alla quale tutti per diritto sono iscritti.
  • Tuttavia, la riforma consisterebbe nell’iscrizione ad un preciso “comparto” su base volontaria.
  • In tal modo le persone che non hanno tempo da dedicare alla cosa pubblica o si sentono inadeguate al ruolo di pubblico amministratore, verrebbero preventivamente auto-escluse.
  • I candidati da includere nel ballottaggio esprimerebbero così un preciso impegno.
  • Per constatare la rispondenza all’incarico eventualmente loro assegnato, dovrebbero superare un apposito esame relativo all’ufficio da ricoprire.

Commissioni esaminatrici

per i singoli uffici

Possono essere costituite da Magistrati, docenti di diritto amministrativo, costituzionalisti, o da specifici esperti, anch’esse di volta in volta estratti a sorte.

Mandati

  • Preferibilmente i mandati di rappresentanza non dovrebbero essere troppo lunghi.
  • Dovrebbe essere vietata la ricandidatura al sorteggio della stessa carica dopo un primo mandato.

Recall

Tutti i sorteggiati alle cariche rappresentative, durante il loro mandato possono essere sottoposti a Recall, o referendum di richiamo da parte del corpo elettorale. Vedere: https://en.wikipedia.org/wiki/Recall_election

Democrazia diretta

Tutti gli Statuti di Comuni, Province e Regioni, in ossequio alla Carta europea delle autonomie locali https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/122 contengono gli Istituti di partecipazione popolare:

 

  • Istanze
  • Petizioni
  • Proposte di delibera d’iniziativa popolare
  • Referendum (non consultivi) senza quorum
  • Difensore o Procuratore civico

Abolizione dei

partiti politici

Da La democrazia ed i partiti politici, di Moisei Ostrogorski

 

[ http://it.wikipedia.org/wiki/Moisei_Ostrogorski ]

  • «La funzione delle masse in democrazia non è quella di governare, ma di intimidire i governanti.» […]
  • «La dove i cittadini si manifestano in generale incapaci di affermare la loro personalità, i governanti li dirigono a modo loro come fossero marionette o li considerano come strumenti a loro disposizione.»

Stimolare la nascita di

«organizzazioni

single issue»

  • Il discorso di Moshei Ostrogorski condensava nello slogan «abbasso il partito», la propria opposizione a forme rigide e permanenti, a programmi-omnibus e, in fondo, a considerare il partito in quanto istituzione necessaria all’esplicarsi dello scontro politico.
  • In sostituzione della forma-partito tradizionale, avrebbe auspicato la nascita di «organizzazioni per singola questione», in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso.
  • Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così stati affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; sarebbe venuta meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere’, del ‘dominio’ e forse del ‘monopolio’, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.
  • La tesi ostrogorskiana sostiene che il moderno partito politico è come una macchina centralizzata al servizio del leader, e della quale il leader non avrebbe potuto fare a meno per raggiungere i suoi scopi.

  • Quanto all’influenza dei ricchi sui partiti politici, essere altolocati non è la stessa cosa che essere potenti.

La soluzione dei mali del “belpaese” dunque non è un altro partito o un altro sindacato o un altro sistema ideologico, è qualcosa che risolve le stesse esigenze dei cittadini in modi molto diversi, o ne crea di nuove che contano di più. Infatti, democrazia etimologicamente significa “governo del popolo”, ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo, generalmente identificato come l’insieme dei cittadini che ricorrono a strumenti di consultazione popolare (es. votazioni referendarie, iniziativa di leggi e delibere, etc.).

Enzo Trentin

 

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro 

I GIORNALISTI ONESTI CI SONO, SOLTANTO CHE COSTANO DI PIÙ

In evidenza

Affermava Mark Twain: «Solo ai morti è permesso di dire la verità.» Aggiungendo dopo che diversi dei suoi scritti furono censurati o respinti dai suoi editori e capiredattori, sopportando le conseguenze dello scomodo privilegio di quella libertà di opinione a cui cercò sempre di dare espressione: «Un uomo non è indipendente, e non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare, deve seguire la maggioranza. Per questioni molto importanti, come la politica e la religione, deve pensare e sentire come la maggior parte dei suoi vicini, altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari.»

Facciamo allora qualche accenno su come nasce e si sviluppa il giornalismo?

Nel 1536 il governo della Repubblica di Venezia [vedi: G. Fanelli, Venezia unica al mondo, p. 159] decise di diffondere un foglio di avvisi con notizie ufficiali sull’andamento della crisi con l’impero turco [la crisi sfocerà in una guerra l’anno seguente]. Tali “fogli avvisi” (manoscritti di piccolo formato di 4-8 pagine) erano venduti settimanalmente a due soldi. Dal momento che la moneta da due soldi si chiamava Gaxeta, i fogli assunsero il nome di tale moneta, italianizzato poi in gazzetta.

Nel 1631 compilata dall’ex medico Théophraste Renaudot, inizia ad uscire a Parigi La Gazette per volere del cardinale Richelieu. Presenta inizialmente 4 pagine in piccolo formato e la tiratura non arriva alle mille copie.

Nel 1785 a Londra John Walter, un ex commerciante di carbone, fonda il Daily Universal Register che nel 1788 diventa The Times. È questo leggendario giornale che trasforma l’informazione giornalistica a mezzo stampa in una vera e propria impresa industriale. Dopo un’ottima “copertura” della Rivoluzione francese, The Times per la restante parte del secolo vende i propri servizi al miglior offerente.

Ma la maggior parte degli introiti arriva grazie a due forme di pagamento occulto: la Suppression fee e la Contradiction fee: la prima consiste nel versamento di una somma per non far pubblicare l’articolo che potrebbe nuocere o imbarazzare; la seconda nella pubblicazione di un articolo che ne contraddica un altro pubblicato in precedenza. Capito? Parliamo del Times e delle sue origini.

I vari fogli non sembrano prodotti importanti e costosi né, considerando l’alto tasso di analfabetismo, destinati al grande pubblico. E, infatti, il 21 marzo 1885, a Bologna viene fondato il quotidiano Il Resto Del Carlino. Il nome fa riferimento a quando costava due centesimi, cioè il resto dovuto a chi con la moneta di un Carlino comprava un sigaro.

In quegli stessi anni John Swinton è redattore-capo del New York Times. Egli pronunciò un discorso in occasione di un banchetto con i suoi colleghi presso l’American Press Association [Fonte: Richard O. Boyer e Herbert M. Morais, Labor’s Untold Story, United Electrical, Radio & Machine Workers of America, NY, 1955/1979]:

«In America, in questo periodo della storia del mondo, una stampa indipendente non esiste. Lo sapete voi e lo so pure io.

«Non c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate. Io sono pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal giornale col quale ho rapporti. Altri di voi sono pagati in modo simile per cose simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro. Se io permettessi alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata.

«Il lavoro del giornalista è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio paese e la sua gente per il suo pane quotidiano. Lo sapete voi e lo so pure io. E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente?

«Noi siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte. Noi siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri. Noi siamo delle prostitute intellettuali.»

John Swinton [ https://en.wikipedia.org/wiki/John_Swinton_(journalist) ] pronunciò queste parole nel 1880, e la speranza che nei decenni successivi la situazione possa essere migliorata può derivare solo dall’affinamento delle tecniche di propaganda che, attraverso i giornali e l’ancora più potente televisione, fanno credere al popolo che esista libertà di stampa, di espressione, e di informazione.

Ogni lettore desideroso di equilibrio nell’informazione dovrebbe ricordare questo discorso ogni volta che accende il televisore, ed ogni volta che sfoglia un quotidiano. Noi, semmai, vorremmo stimolarlo a farlo leggere a quante più persone possibili perché solo la consapevolezza ci può aiutare a migliorare la situazione.

Giornalisti e giornali sono ”comprati”?

Un Rapporto realizzato per il CIMA [Center for International Media Assistance https://www.cima.ned.org/ ] denuncia la sottovalutazione del problema della corruzione nel giornalismo: «Siamo stati tanto impegnati a difendere i giornalisti da diventare troppo timidi nell’analisi e nella denuncia di questo aspetto del nostro mestiere», denuncia la ricerca e indica una serie di misure per combattere «il lato oscuro della professione». Un ampio paragrafo viene dedicato alla situazione in Europa e Nord-America che risulta altrettanto – se non più – preoccupante rispetto al resto del pianeta.

In Ghana un giornalista va a una conferenza stampa e nella cartellina trova una busta marrone con dentro un assegno per un valore di 20 dollari. [ https://www.lsdi.it/2010/giornalisti-e-giornali-comprati/ ] Un’argent de poche (una paghetta). Non si meraviglia, e alla fine dell’incontro la infila in borsa e torna in redazione a scrivere il pezzo.

In Russia un’agenzia di pubbliche relazioni manda in giro un falso comunicato relativo a una azienda inesistente. Tredici testate abboccano e si dicono disponibili a pubblicare la nota in forma di articolo, ma solo dietro pagamento, con richieste che vanno dai 120 ai 2.000 dollari. Soldi per scrivere (o per non scrivere): è quello che Rosental Alves, direttore del Knight Center for Journalism in the Americas della University of Texas chiama «il lato oscuro della professione» e che si verifica ogni giorno in ogni parte del mondo.

Il tema è al centro di ”Cash for Coverageun Rapporto che Bill Ristow, giornalista di Seattle ed esperto in formazione dei giornalisti, ha realizzato per il CIMA, un progetto che fa capo al National Endowment for Democracy (NED).

Non solo i giornalisti e i loro editori accettano bustarelle per fare articoli su materiali truccati, ma spesso entrambi istigano ed estorcono soldi per pubblicare storie favorevoli a qualcuno o non pubblicare articoli che possano danneggiare qualcun altro.

Il Rapporto naturalmente sottolinea come la corruzione nel mondo giornalistico non sia diffusa solo nei paesi in via di sviluppo, e un ampio paragrafo viene infatti dedicato alla situazione in Europa e Nord-America che risulta altrettanto – se non più – preoccupante rispetto al resto del pianeta.

Nonostante tutte le campagne organizzate per sostenere lo sviluppo dei media e difendere la libertà di stampa nel mondo, è stato fatto molto poco per ridurre il problema della corruzione nel giornalismo – e quel poco che è stato fatto proviene da una fonte che può sorprendere un giornalista: i professionisti delle Pubbliche relazioni. Le loro associazioni internazionali hanno sponsorizzato le ricerche più approfondite mai fatte sulla questione, e sia in Europa dell’est che altrove la gente delle PR ha cercato di lavorare insieme ai giornalisti per ripulire l’industria delle notizie.

Alcuni, fra cui anche esperti nel campo della libertà di stampa con molta esperienza, ritengono che i difensori dei giornalisti debbano fronteggiare attacchi che provengono da così tanti lati che si sentono a disagio a criticare tutti gli aspetti dei media stessi, per quanto queste critiche siano ben meritate.

Rosental Alves, tuttavia, è uno di quelli che sono convinti che puoi difendere la libertà di stampa e chiedere nello stesso tempo degli alti standard. E non è d’accordo con la comune preoccupazione secondo cui il problema del giornalismo ‘comprato’ è così profondamente radicato da diventare virtualmente insolubile: «Non penso che sia impossibiledice È molto difficile, certo, ma i miglioramenti che si sono verificati mostrano che qualcosa si può fare, basta cominciare ad agire.»

Sulla base di una serie di interviste a persone che hanno lottato contro lo spinoso problema della corruzione, l’autore del Rapporto delinea le principali raccomandazioni per un’azione che – afferma – possa fare la differenza nell’impegno per ridurre questa macchia sulla professione giornalistica.

Intanto uno dei temi più controversi del momento è: lItalia riformi la legge e depenalizzi il reato di diffamazione.

È l’invito che fu rivolto dalla rappresentante per la libertà dei media dell’Osce, Dunja Mijatovic, in una lettera al Ministro degli esteri Emma Bonino (in carica dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014) in cui esprime “preoccupazione” per le pene detentive inflitte per diffamazione ai tre giornalisti di Panorama Marcenaro, Mulé e Arena. (ANSA) «In una moderna democrazia nessuno dovrebbe essere imprigionato per quello che scrive», specifica Mijatovic.

Nella lettera al Ministro Bonino, Mijatovic ricorda il caso Sallusti e sottolinea il fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito ripetutamente che «la reclusione per il reato di diffamazione è sproporzionata e dannosa per una società democratica» […] I tribunali civili sono del tutto in grado di rendere giustizia alle rimostranze di coloro i quali si ritengano danneggiati nella propria reputazione», scrive ancora la rappresentante per la libertà dei media nella lettera pubblicata sul sito dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

«La reclusione per diffamazione ha un grave effetto raggelante che mina l’efficacia dei mezzi di comunicazione», dichiara ancora Mijatovic. «Continuerò a lavorare a stretto contatto con le autorità italiane per promuovere la depenalizzazione della diffamazione. Dovrebbe essere fatto presto per evitare ulteriori accuse di diffamazione e per stimolare l’attività giornalistica investigativa», sottolinea infine la rappresentante per la libertà dei media dell’Osce, che ha esortato tutti gli altri Stati membri dell’organizzazione che hanno leggi penali sulla diffamazione ad abrogarle.

In Italia persiste [ https://www.soldioggi.it/reato-di-diffamazione-16453.html ] il reato di diffamazione che è punito dalla legge. Un retaggio culturale che stenta ad adattarsi a norme e consuetudini di vivere civile.

Un esempio: Michele Favero, segretario di Indipendenza Veneta (un esiguo, sguarnito e vulnerabile partito indipendentista), è stato condannato dal Tribunale di Padova a pagare diecimila euro di risarcimento (più interessi e spese legali) al nipote del generale Luigi Cadorna, per aver insultato e diffamato il nonno con vari post su Facebook. [ https://www.serenissima.news/insulti-a-cadorna-michele-favero-condannato-a-padova-e-questione-di-liberta/ ]

La decisione del Tribunale di Padova riconosce la libertà di critica, ma ritiene che Michele Favero abbia sconfinato nell’insulto. «I toni usati dal Favero – scrive la giudice – non sono solo “parole forti” o “toni aspri” – che pure potrebbero essere tollerati nell’esercizio del diritto di critica, ma sono veri e propri insulti, gratuita manifestazione di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici.»

Il tribunale ha ingiunto a Michele Favero di cancellare immediatamente dalla sua pagina Facebook tutti i post contro Cadorna, pena l’ulteriore pagamento di 50 euro per ogni giorno di ritardo.

Favero (che si è visto pignorare i conti correnti) è stato condannato a pagare 10.000 euro più le spese processuali. La sentenza è immediatamente esecutiva e lascia Favero e la sua famiglia in gravi difficoltà economiche, considerando che il procedimento giudiziario è già costato a questo padre di famiglia più di 27.000 euro.

La querela temeraria.

Nel corso degli anni tutte le questioni legate al tema si sono fatte complesse. Per molto tempo, specialmente i politici, per tacitare le critiche si sono cimentati in querele comprendenti consistenti richieste d’indennizzo. Tuttavia il giudice, quando ne è fatta domanda, se vi è colpa grave può condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato.

Alberto Spampinato, giornalista, fondatore e direttore [ https://www.ossigeno.info/ ] di “Ossigeno per l’informazione” – l’osservatorio sui cronisti italiani minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza – condivide totalmente l’iniziativa promossa dal Corriere della Calabria assieme ad altre testate, [ https://www.corrieredellacalabria.it/2022/02/27/lattacco-alla-libera-stampa-in-calabria/ ] all’ordine e al sindacato dei giornalisti. E si dice pronto a mettere a disposizione l’esperienza pluriennale di “Ossigeno” e a diffondere «l’appello a livello internazionale».

Intanto al cosiddetto popolo sovrano non è concesso d’intervenire.

Ci sono un sacco di authority che garantiscono questo e quello. Per esempio, se si acquista un alimento c’è un’etichetta che equivale alla sua carta d’identità; ma sono insufficienti le indicazioni che garantiscono il lettore che ha diritto di conoscere, del prodotto giornalistico che acquista, l’esatta e aggiornata composizione dell’assetto proprietario, nonché l’elenco dei principali inserzionisti pubblicitari, degli azionisti di controllo, eventuali patti di sindacato, e i possessi collaterali dei partecipanti al patto, i bilanci societari.

Obbligatoria dovrebbe essere la pubblicazione, nel colophon (gerenza), del Consiglio di amministrazione, della tiratura, dell’eventuale quotazione in borsa, dell’ammontare della raccolta pubblicitaria e dell’elenco dei committenti. Periodicamente i lettori dovrebbero essere informati delle variazioni di tiratura. Annualmente dovrebbero essere pubblicati lo Statuto interno, il testo integrale dei Patti intercorsi tra editore e direttore e i principali codici deontologici che regolano la professione giornalistica. Obbligatoria dovrebbe essere la pubblicazione delle fonti giornalistiche e delle qualifiche dei collaboratori, soprattutto se ricoprono incarichi politici.

Solo allora si potrebbe avverare ciò che Joseph Pulitzer (1), già aveva scritto: «un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché a essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare, gli errori del governo, e una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.»

Enzo Trentin

NOTA: (1) così J. PULITZER, Sul giornalismo, Bollati Boringhieri, 2009, 101.

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Disinformazione e propaganda

In evidenza

Dopo aver lasciato la presidenza degli Stati Uniti, Thomas Jefferson compilò la seguente riflessione: «Lo so … che le leggi e le istituzioni devono andare di pari passo con il progresso della mente umana. Man mano che questo diventa più sviluppato, più illuminato, man mano che vengono fatte nuove scoperte, nuove verità divulgate e le maniere e le opinioni cambiano con il mutare delle circostanze, anche le istituzioni devono avanzare e stare al passo con i tempi.» [Thomas Jefferson a Samuel Kercheval, 12 luglio 1816, Scritti, XV, 41]

Tale visione è un anatema per gli attuali partiti politici (tutti) che si arrabattano sulla scena politica di un paese sempre più condizionato da forze economico-politiche esterne. E così la maggior parte degli aderenti a tali partiti rientra senza vergogna nella categoria dei “trafficanti di idee di seconda mano”. 

Non bastasse l’informazione politica è spesso trasformata in dezinformacja.

La disinformazione

La finalità precipua della disinformazione è quella di falsare il giudizio allo scopo di fuorviare le decisioni e le azioni della soggetto che è oggetto della disinformazione.

François Géré [ https://fr.wikipedia.org/wiki/Fran%C3%A7ois_G%C3%A9r%C3%A9 ], formula una interessante e pregnante analogia paragonando la disinformazione a quei virus informatici che in modo impercettibile modificano i dati iniziali con lo scopo di costruire un’illusione.

In termini generali la disinformazione consiste nella elaborazione deliberata di una informazione falsa, accuratamente mascherata, affinché essa presenti tutte le sembianze di autenticità.

Un esempio di dezinformacja ce lo offre la pandemia da Covid-19.

L’11 ottobre 2022, di fronte alla domanda dell’eurodeputato olandese Rob Ross, la responsabile per i mercati internazionali di Pfizer, Janine Small, è costretta ad ammettere che l’azienda farmaceutica non ha mai testato il vaccino per fermare la trasmissione del virus.

Non bastasse è utile la lettura del libro di Robert Kennedy Jr. The Real Anthony Fauci”, che chiude le 896 pagine del suo libro [ una recensione la si può leggere qui: https://comedonchisciotte.org/robert-kennedy-i-vaccini-covid-tony-fauci-e-lincredibile-storia-del-virus-hiv-e-laids/ ] in questo modo:

«Il COVID-19 danneggia meno dell’1% della popolazione, qual è la giustificazione per metterne a rischio il 100%? Dobbiamo riconoscere che questo è un vasto esperimento sociale su tutta l’umanità, con una tecnologia non testata, condotto da spie e generali addestrati principalmente per uccidere e non per salvare vite.» Che cosa potrebbe andare storto?

Mentre a pag. 868 specifica: «Un chiaro obiettivo strategico per Bill Gates e Anthony Fauci era la ripetizione del messaggio che una pandemia globale era inevitabile, che solo i vaccini obbligatori potevano evitare la catastrofe e che sarà necessario l’annullamento dei diritti civili. La cosa più sorprendente è stata la loro capacità di far ripetere a pappagallo tutto ciò ai media globali, in completa contraddizione con tutta la scienza e la storia precedentemente accettate.»

Anthony Fauci e Bill Gates

I soggetti che producono il processo disinformativo sono agevolmente identificabili almeno in linea generale: le istituzioni statali, i partiti politici, le aziende e le società finanziarie, le ong, e in generale chiunque disponga di un credibile potere politico, culturale e sociale, chiunque cioè miri a conservarlo o a incrementarlo.

I bersagli o target della disinformazione includono qualsiasi rivale nella competizione per il conseguimento, mantenimento o l’estensione del potere politico, culturale, sociale ed economico.

Quanto alla contestualizzazione nella quale la dezinformacja viene attuata, questa può essere offensiva o difensiva. Nel caso in cui lo Stato, ad esempio, usi il processo disinformativo nei confronti della società civile questo può diventare legittimo quando ha come suo scopo la necessità di prevalere sul rivale o di conservare e perpetuare la propria egemonia politica.

Democrazia?

«La sovranità appartiene al popolo» recita il Comma 2, dell’Art. 1 della Costituzione. Concetto e parole, come molte altre, della “Costituzione più bella del mondo” (Gulp!) travisati dal sistema dei partiti. Il popolo è un’altra cosa. La sovranità non risiede dove decidono per noi uomini qualunque.

La sovranità è consentita solo il giorno delle elezioni, ma è limitata alla scelta dei candidati preselezionati dai partiti. E, ironia della sorte, anch’essi godono di una indipendenza limitata considerando che spesso prendono ordini dall’UE, e da altri soggetti politico-economici. La democrazia dovremmo cercarla altrove; ma dove?

La quasi totalità dei politici sono una sorta di sociopatici che ci vogliono far credere che noi siamo degli incapaci assoluti, perché non potremmo vivere senza di loro.

In verità sono loro che non possono vivere senza di noi. Se il paese si separasse tra quelli che producono mentre dall’altra ci si mettesse i politici e i sindacalisti, tutto questo gruppo di parassiti affonderebbe, morirebbe.

Quale democrazia ci hanno finora offerto i nostri “illuminati” rappresentanti?

  • Hanno vietato la libera gestione il nostro corpo, obbligandoci a terapie mediche e vaccinazioni. L’ultimo pretesto è stato il Covid-19.
  • Hanno vietato la libertà di movimento, sempre con il pretesto del Covid-19.
  • Hanno limitato il diritto a intraprendere, ancora con il pretesto del Covid-19.
  • Hanno emarginato, criminalizzato, insultato chi argomentava in maniera contraria al pensiero mainstream sulla pretesa pandemia da Covid-19.
  • Hanno limitato il diritto di lavorare.
  • Hanno escluso la possibilità di difenderci usando armi. Per esempio: Walter Onichini, è stato portato in carcere dopo la conferma da parte della Cassazione della condanna. Nell’estate del 2013 un ladro entrò nella abitazione di Onichini, egli reagì sparandogli e ferendolo. [ https://www.rainews.it/tgr/veneto/articoli/2021/09/ven-Legnaro-sparo-al-ladro-Cassazione-conferma-condanna-Walter-Onichini-entrato-in-carcere-a-Padova-5f48ca34-1f19-4f88-853f-27654bfabf62.html ]
  • Hanno limitato l’uso del nostro denaro contante.
  • Hanno utilizzato tutti modi che uno Stato può usare per semplificare la sua attività di espansione arbitraria e di esproprio coatto delle risorse dei cittadini.

Eppure le libertà assolute sono quelle che mai il potere può revocare, qualunque siano le condizioni contingenti. Il modo con cui gli Stati affermano il loro diritto a queste azioni è subdolo, perché è sempre in nome di un bene collettivo superiore. Ma non può esistere un bene collettivo che si fondi sulla negazione del bene individuale.

La libertà di conservare il proprio corpo nel modo ritenuto più opportuno, la libertà di pensare (è assurdo credere che nel proprio intimo uno non pensi quello che vuole), ma di esprimere in pubblico, cioè dire ad altri, quello che si pensa (e in questo rientra la libertà di stampa, di associazione, di manifestazione), così come di manifestare pubblicamente le proprie credenze religiose.

Direttamente connessa alla libertà sul proprio corpo e del proprio pensiero, la proprietà sulle cose, siano esse il risultato di una donazione altrui o di un atto creativo personale, allo stesso modo il diritto di appropriarsi liberamente di qualunque cosa i latini chiamavano “res nullius”, un tronco sul bagnasciuga, il sasso di un fiume, un uccello che entra in casa nostra o nella nostra proprietà.

Più aumenta la spesa pubblica (e le tasse), più aumentano i poveri. Non succede mai il contrario come fa comodo pensare e dire agli statalisti di sinistra, di destra, di centro, obliqui di qua e di là, in alto o in basso.

Non esistono i soldi pubblici ma solo i soldi dei contribuenti. Dunque, non è mai una buona idea aumentare la spesa dello Stato perché lo Stato non distribuisce tutto quello che preleva. Buona parte di ciò che prende ai contribuenti viene drenata dall’apparato pubblico, dalla burocrazia e non produce ricchezza.

Oltretutto, perché i politici, che spesso non sono mai stati impegnati in un lavoro vero, dovrebbero sapere come spendere quei soldi meglio di chi, quegli stessi soldi, li producono e li guadagnano?

I partiti vivono di propaganda

Lo scopo della propaganda è quello di assoggettare un individuo ad un gruppo, ad una ideologia ricercandone ora l’adesione ora la sua sottomissione intellettuale.

Complessivamente parlando anche la propaganda come la disinformazione è una manovra psicologica organizzata è sviluppata in modo ampio e sistematico. Tuttavia la propaganda veicola, a differenza della disinformazione, una ideologia, una visione del mondo sottolineandone i meriti e la superiorità rispetto alle altre visioni del mondo. Per affermare la sua validità la propaganda non ha alcuna preoccupazione di falsificare i fatti o mescolare il vero con il falso.

All’interno di questa logica perversa e regressiva, il contraddittorio non può essere tollerato e l’unica azione possibile è tacitare chiunque sia percepito come un pericolo per la propria identità contraffatta e malata.

La riformatrice Simone Weil, così elencava le caratteristiche dei partiti [ http://againstprofphil.org/wp-content/uploads/simone_weil_lectures_on_philosophy_1978.pdf ]: «Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva. Un partito politico è una organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte. Il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.» (dal “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” febbraio 1950).

È indispensabile che i cittadini si (ri)approprino degli strumenti di democrazia diretta: referendum deliberativi – e non consultivi – senza quorum, reale esercizio d’iniziativa di leggi e delibere, recall, petizioni e quant’altro affine, quale deterrente all’illimitato potere della partitocrazia.

Si potrà così ottenere l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui si bada al rapporto mezzi/fini e alle conseguenze. Senza assumere princìpi assoluti, perché l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenza del suo agire: è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce.

Enzo Trentin

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«Biden, Parla con Putin»

In evidenza

Sembra che l’inflazione peggiori, e gli elettori statunitensi stiano cercando leader per affrontare le loro difficoltà economiche confidano nei risultati delle Midterm Elections, invece di sostenere una guerra infinita in Ucraina.

L’8 novembre si svolgeranno negli Stati Uniti le elezioni di medio-termine per rinnovare la Camera dei Deputati, un terzo del Senato, una quarantina di governatori e assemblee di Stato ed enti vari, oltre che per referendum locali e leggi statali sull’aborto, che è stato cassato recentemente dalla Corte Suprema.

Kevin McCarthy, leader della minoranza alla Camera dei Rappresentanti USA (al suo ottavo mandato come rappresentante per il 23° distretto congressuale della California) segnala che la Camera guidata dal GOP (“Grand Old Party”) probabilmente si opporrà a ulteriori aiuti all’Ucraina.

Se i repubblicani otterranno il controllo della Camera a novembre potrebbero chiudere il rubinetto dei soldi per l’Ucraina. E McCarthy afferma: «Penso che le persone saranno più preoccupate per la recessione, e non scriveranno un assegno in bianco all’Ucraina.»

Il totale versato dagli Stati Uniti dall’invasione russa è di oltre 100 miliardi di dollari. Esso supera [ https://www.usaspending.gov/agency/department-of-state?fy=2022 ] il budget dell’intero Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Il 24 ottobre anche 30 democratici della Camera (quindi dello stesso partito di Biden) hanno inviato una lettera [ https://progressives.house.gov/_cache/files/5/5/5523c5cc-4028-4c46-8ee1-b56c7101c764/B7B3674EFB12D933EA4A2B97C7405DD4.10-24-22-cpc-letter-for-diplomacy-on-russia-ukraine-conflict.pdf ] al presidente Joe Biden esortandolo a impegnarsi in colloqui diretti con il presidente russo Vladmir Putin per cambiare drasticamente la sua strategia sulla guerra in Ucraina, e per concretizzare negoziati diretti con la Russia.

Lettera prontamente ritirata il giorno dopo, perché subissata da un torrente di critiche e reazioni isteriche [ https://theintercept.com/2022/10/25/house-progressives-letter-russia-ukraine-diplomacy/ ].

Intanto la situazione sembra farsi di giorno in giorno più preoccupante. Gli Stati Uniti dispiegano truppe in Romania, e sono pronti alla fase successiva del conflitto in Ucraina.

I paracadutisti della 101st Airborne Division (Air Assault), noti come “Aquile urlanti”, sono stati schierati nella base aerea rumena di Mihail Kogalniceanu a luglio 2022.

La 101a è una delle unità d’élite degli Stati Uniti. Un suo trasferimento in Europa avvenne per la prima volta a Vicenza (Camp Ederle), mentre il dispiegamento più significativo dell’unità fu durante la seconda guerra mondiale, quando la divisione partecipò, tra l’altro, al più grande sbarco anfibio alleato della storia in Normandia il 6 giugno 1944, e all’Operazione Market Garden (la più grande azione aviotrasportata della storia: circa 40.000 forze aviotrasportate) sui cieli dei Paesi Bassi il 17 – 27 settembre 1944. Lungo il corridoio tra Eindhoven e Arnhem.

Le Screaming Eagles sono addestrate per schierarsi in poche ore su qualsiasi campo di battaglia. Circa 4.700 militari svolgeranno compiti presso la base rumena. Il gruppo di combattimento della 2a brigata è divenuto il centro operativo della formazione.

Alcuni comandanti di questa unità si sono lasciati andare ad atteggiamenti da bullo, con dichiarazioni poco rassicuranti considerando che se lo fanno è evidente il consenso della componente politica, e osservato che i militari sono addestrati ad ubbidire. [ https://www.ideeazione.com/gli-stati-uniti-pronti-a-passare-alla-fase-successiva-del-conflitto-in-ucraina/ ]

I comandanti della 101a aviotrasportata, che Washington ha schierato in Romania in mezzo all’aggravarsi delle relazioni tra Russia e NATO, dichiarano la disponibilità delle truppe statunitensi ad entrare in Ucraina.

In un’intervista con CBS News, il comandante della 2a Brigade Combat Team, il colonnello Edwin Matthaidesse, ha affermato che i soldati sono «pronti a combattere la prossima notte se c’è un’escalation militare o un attacco alla NATO.»

Il vice comandante della divisione, il generale di brigata John Lubas, ha aggiunto: «siamo pronti a difendere ogni centimetro del terreno della NATO. […] Abbiamo capacità uniche, come le nostre capacità di attacco aereo […] Siamo fanteria leggera, ma la nostra mobilità comprende la capacità, il coordinamento e la direzione di attacchi aerei.»

Oleksandr Bartosh, corrispondente e membro dell’Accademia delle scienze militari della Romania, ritiene che a causa del loro piccolo numero le Screaming Eagles non rappresentino un serio pericolo, «ma dal punto di vista dell’escalation della situazione, questa è sicuramente una minaccia, dal momento che il passaggio al territorio dell’Ucraina pone automaticamente l’esercito americano in una posizione di contatto diretto con le forze armate della Federazione Russa.»

Secondo Bartosh, gli USA possono trovare “qualsiasi scusa” per attraversare il confine ucraino. «Gli Stati Uniti stanno già combattendo per procura in Ucraina: le forze armate ucraine (AFU) sono usate da loro come carne da cannone. E ora questi ragazzi coraggiosi della 101a si offriranno come un’equivalente.», ha aggiunto.

«Gli americani non saranno in grado di condurre un’offensiva in assenza di rifornimenti a tutti gli effetti, e con la  mancanza di potenziale dei carri armati. Ma gli Stati Uniti possono organizzare una provocazione nucleare, perché in Polonia ci sono molti lanciatori Mk 41 per missili da crociera Tomahawk che possono trasportare una testata nucleare», commenta Alexander Artamonov, [https://valdaiclub.com/about/experts/172/] esperto militare e laureato all’Accademia Diplomatica Superiore di Francia.

Creso (596 a.C. – forse 546 a.C.) è passato di moda: «Nessuno può essere così folle da preferire la guerra alla pace: con la pace i figli seppelliscono i padri, con la guerra sono i padri a seppellire i figli.» considerando che l’uso dell’atomica non farà certo distinzioni. Per cui facciamo affidamento sul discernimento degli elettori americani che si recheranno alle urne l’8 novembre.

Anche perché secondo un approfondimento di Bloomberg l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia [ https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-10-20/russia-s-ukraine-war-prompts-arctic-rivalry-in-setback-for-climate-change?srnd=premium-europe&leadSource=uverify%20wall ] ha accelerato una gara tra le grandi potenze per il predominio al Polo nord, con conseguenze potenzialmente disastrose per il pianeta.

Infatti le sanzioni statunitensi contro la Russia quest’anno hanno provocato un crollo del transito internazionale lungo la Northern Sea Route.

Per anni, la Russia ha beneficiato della Northern Sea Route, una sezione chiave del Passaggio a Nord-Est che collega gli oceani Pacifico e Atlantico attraverso l’Artico.

Estesa attraverso la Zona Economica Esclusiva della Russia, la rotta è spesso libera dai ghiacci in estate e le navi rompighiaccio russe possono renderla accessibile in inverno alle nazioni amiche.

Un viaggio dal Giappone all’Europa può durare solo 10 giorni attraverso questa rotta del Circolo Polare Artico, rispetto agli oltre 20 del Canale di Suez e agli oltre 30 del Capo di Buona Speranza.

«La geopolitica nell’Artico sta cambiando», ha detto all’Assemblea del Circolo Polare Artico di quest’anno Alar Karis, presidente dell’Estonia, che ha chiesto lo status di osservatore nel Consiglio Artico. «Pertanto non dobbiamo pensare solo al clima e all’ambiente quando parliamo della regione, ma anche alla diplomazia e alla deterrenza.»

A questo punto, come non ricordare quanto Bertrand Russell affermava: «La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive.»

Enzo Trentin

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NIENTE È MAI QUELLO CHE SEMBRA

In evidenza

E nessuno è mai chi dice di essere. Questa vecchia storia raccapricciante fu raccontata da Robert Lee Scott Jr. nel periodico “Damned to Glory, una serie di racconti patriottici pubblicata da Scribner nel 1944. Fu ristampata in “The Reader’s Digestnel gennaio 1945 come il “Velivolo fantasma”.

Ecco la storia raccontata all’epoca dal colonnello Scott:

Nel maggio 1941, un pilota dell’esercito americano di nome Corn Sherrill si trovava sull’isola filippina di Mindanao nel maggio 1942, con 11 meccanici che erano fuggiti nell’isola meridionale per vie traverse. A 6/7 km. di distanza, gli americani trovarono un aereo da caccia P-40 danneggiato.

Il Warhawk in questione era un modello con sei mitragliatrici funzionanti cal. 12,7 mm. sulle ali. Alcuni uomini della tribù Moro aiutarono a portare il residuato che vuoto pesava oltre tre tonnellate, compresi la maggior parte del motore e della fusoliera, in un’area più adatta. A dicembre avevano tagliato una pista di circa 1.500 mt. e avevano equipaggiato il loro P-40 con degli sci di bambù per il decollo, più un serbatoio di carburante supplementare da 50 galloni installato nel vano bagagli.

L’8 dicembre 1942 – il giorno successivo all’attacco giapponese a Pearl Harbor – Sherrill decollò con quattro bombe da 300 libbre sotto le ali. Appena sollevatosi dalla pista l’aereo lasciò cadere gli sci di bambù e volò per 1.000 miglia a Taiwan. Un’impresa straordinaria per un P-40, sia pure con un serbatoio ausiliario di carburante.

Il tenente Sherrill attaccò l’aeroporto in mano giapponese “con le sue file di caccia e bombardieri ordinatamente parcheggiate […] li mitragliò fila dopo fila, e tagliò la bandiera giapponese dall’edificio del quartier generale con la punta dell’ala del suo Warhawk. Posò la sua prima bomba ad ala proprio negli uffici nemici.” Sebbene intercettato da aerei Zeros giapponesi, finì il lavoro e fuggì, volando per 250 miglia verso un aeroporto cinese, dove fu intercettato e abbattuto dai P-40 della China Air Task Force.

Anni dopo, il generale Scott raccontò nuovamente la storia alla rivista “Yankee. Qui ammise che il suo racconto in tempo di guerra era stato abbellito, perché in quell’epoca la forze armate USA erano sistematicamente sconfitte dai giapponesi.

Del resto gran parte della storia era un mistero; il nome del tenente era una delle finzioni. Forse perché “Yankeeera una rivista regionale, il generale ora affermava che il pilota era originario di Boston e sperava che qualcuno avrebbe riconosciuto il pilota, quindi la sua rivisitazione. Più di recente, l’episodio è stato pubblicato su “Aviation History, con il pilota che questa volta era in missione con un staffetta portaordini.

Ovviamente era tutta Dizinformacja. Uno di quei racconti di propaganda che vennero pubblicati per necessità in tempo di guerra. Il generale Scott una volta lo confessò (a detta Dave Kight) su un forum di discussione online. Dave Kight ha raccontato di un incontro dove il generale era presente come oratore: «durante la domanda e la risposta qualcuno gli ha chiesto di questa storia del P-40 di Mindanao. Rise e disse che lui e un altro pilota Flying Tiger si erano inventati tutto giustificandosi con il clima di guerra di quei momenti. In seguito ammisero che si trattava di uno scherzo», ma la cosa era dura a morire. Disse che erano sbalorditi nel vedere come la stampa di un numero di Air Classics continuava a rilanciare la frottola, e se avessero avuto idea che sarebbe stata riproposta a circa 40 anni di distanza (all’epoca) non l’avrebbero fatto. 

Didascalia:
Recentemente offerto su eBay, questo disegno a penna e inchiostro è stato identificato come una scena in Nuova Guinea, ma quasi sicuramente ha illustrato la fantasia del generale Scott sul “P-40 fantasma” abbattuto in Cina.

Questo racconto serve a sottolineare come alcune fanfaluche, purché continuamente rilanciate dai mezzi d’informazione diventi Dizinformacja e siano difficili da smascherare.

Ai giorni nostri sembra il paradigma delle riforme che la politica italiana sempre promette e mai realizza. Come stupirci se già Don Luigi Sturzo rilevava: «Non si possono attuare grandi riforme sociali se non in clima di libertà, con reale senso di moralità pubblica, in un’economia che si risana e in una struttura statale ferma, agile e responsabile.»

Tutte condizioni che mancano anche in virtù d’una classe politica inadeguata, per usare un eufemismo. Prendiamo per esempio i “SenatùrUmberto Bossi che ce l’ha fatta di nuovo alle ultime elezioni politiche grazie al riconteggio del Viminale.

Per lui sarà la nona legislatura consecutiva tra Camera e Palazzo Madama. Il padre della Lega Nord che gridava: “Roma ladrona”, due volte ministro delle Riforme fino al 2012, non è noto per aver varato riforme.

Eppure i contribuenti non l’hanno trattato male. Facendo un rapido calcolo e senza considerare le eventuali indennità di funzione, percepisce ogni mese uno stipendio da 14.634,89 euro contro i 13.971,35 euro incassati dai deputati.

In totale Umberto Bossi ha passato sei legislature alla Camera e tre al Senato, compresa quella iniziata dopo le elezioni politiche del 25 Settembre 2022.

Stando all’ultima dichiarazione dei redditi presentata, quella 2021 che si riferisce al 2020 come periodo di imposta, il reddito complessivo del senatore ammonta a 99.702 euro. [ https://www.money.it/umberto-bossi-quanto-gudagna-stipendio-biografia-reddito ]

Ricordiamo che il 17 Giugno 2003 rilanciava queste dichiarazioni all’Agenzia ANSA: «Io sono fermo come una roccia: le riforme vanno fatte e i clandestini vanno fermati, questi sono i patti elettorali»: lo ha detto Umberto Bossi. Il ministro tiene ferma la sua posizione sui temi ‘forti’ della Lega. «La gente non vuole milioni di clandestini, basta andare in giro per strada a sentire che cosa ne pensano i cittadini. […] Un leader non deve tradire il popolo, quindi deve essere capace di far entrare un po’ di voce del popolo dalle finestre del Palazzo.»

Non passano due mesi ed ecco ancora l’ANSA che il 12 Agosto 2003 riporta Bossi che dichiara: «La ripresa dopo le ferie sarà il momento della verità, o si fanno le riforme o ripartirà il processo di indipendenza della Padania.» Il leader del Carroccio, sulla Padania, rende più esplicito il concetto espresso nella dichiarazione che fece qualche giorno fa a Ponte di Legno, dove si trova in vacanza, quando disse «O le riforme, o ci saranno le conseguenze.»

Se questo è il passato con il 23 Ottobre 2022 c’è qualcuno che nutre speranze. Visto da Roma in giù il nuovo governo suscita aspettative ma anche timori. C’è chi ha subito fatto notare la «trazione nordista» della squadra di Giorgia Meloni, dove è prevalente la presenza di ministri settentrionali.

Un vero spauracchio è Roberto Calderoli, delegato ad Affari regionali e Autonomie, considerato un ultrà dell’autonomia differenziata, la «secessione dei ricchi» (per dirla con la definizione coniata da Viesti), tanto temuta alle nostre latitudini. [ https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/italia/1363167/governo-la-mina-del-ministro-calderoli-sul-futuro-del-sud.html ]

Ma Calderoli non è un babau. Infatti il 24 Marzo 2010 la stampa mainstream blaterava: “Oltre 375.000 tra leggi e regolamenti abrogati finiti al rogo. Letteralmente. Armato d’ascia, piccone e fiamma ossidrica il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, ha dato fuoco ad un enorme muro di scatoloni costituito da tutte le norme abrogate dal lavoro del suo ministero.”

Le leggi abrogate

Il Consiglio dei ministri ha tagliato con un recente decreto legislativo 189mila provvedimenti tra leggi e regolamenti. Se si aggiungono le 40mila disposizioni già abrogate in precedenza sempre da Calderoli e 145mila atti privi di valore normativo, ecco che si arriva a 375mila tra leggi e regolamenti abrogati.

Ma che tipo di provvedimenti non ci sono più?

La normativa cancellata più vecchia è del 1864 e riguarda «L’affrancamento dei canoni enfiteutici, livelli, censi decime ed altre prestazioni dovute a corpi morali.» Ma ci sono anche una serie di norme varate durante il periodo fascista che si pensavano abrogate ma resistevano ancora, come la «legge istitutiva dei fasci e delle corporazioni».

Tanti anche i provvedimenti stravaganti che ora non ci sono più, come un regio decreto sul prosciutto cotto conservato in scatola, un altro sulla lotta alle cavallette, uno sulla lotta alle coccinelle negli agrumi e infine una normativa sull’indennità di bagaglio per le bardature dei cavalli.

Nel precedente decreto taglia-leggi Calderoli aveva involontariamente eliminato anche normative non proprio inutili come quella che istituisce la Corte dei Conti, tanto che al taglia-leggi si era dovuto contrapporre un nuovo decreto: il salva-leggi.

[https://www.corriere.it/politica/10_gennaio_10/calderoli_ministro_complicazione_04e598e2-fdbc-11de-b65b-00144f02aabe.shtml ]

Sergio Rizzo al tempo commentava: «Dal Carroccio aveva giurato battaglia, Alberto Da Giussano-Calderoli, alla burocrazia del Barbarossa romano. Mulinando sopra la testa lo spadone da ministro della Semplificazione Normativa: «Taglierò 50 mila poltrone! 34 mila enti impropri! 39 mila leggi inutili!». Ma di poltrone, manco una. Degli enti impropri, poi, non ne parliamo.»

Gli indipendentisti veneti esultarono per tanta “efficienza”.

10 Febbraio 2011 – Da circa due mesi il Veneto non è più in Italia. Già perché tra leggi e leggine accumulate in decenni di storia italiana, a fare le spese del decreto “ammazza norme” entrato in vigore lo scorso 16 Dicembre e firmato dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è stato anche il Regio Decreto 3300 del 4 Novembre 1866. Quello, per intenderci, con il quale re Vittorio Emanuele II sancì, «per grazia di Dio e volontà della Nazione», l’integrazione nel Regno d’Italia delle «provincie della Venezia e quella di Mantova».

Rapida e indolore, come nessun secessionista se l’era immaginata, l’episodio che ha restituito alla Serenissima i confini dell’antica Repubblica di Venezia non cancellerà tuttavia i 150 anni di storia della Repubblica “una e indivisibile”: «Il Regio Decreto 3300 del 4 novembre 1866 non è stato abrogato “per errore”: è stato abrogato perché superato dalla Costituzione che all’articolo 131 costituisce tutte le Regioni d’Italia, Veneto compreso». Così, dal dicastero di Calderoli assicurano che l’episodio restava tale e senza conseguenze. [ https://www.tempi.it/da-due-mesi-il-veneto-non-e-piu-italia/ ]

Il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, fondato nel 1974, per tutelare e valorizzare gli edifici e monumenti storici, le opere d’arte come dipinti e statue, i panorami che hanno arricchito le vedute italiane era presieduto da Dario Franceschini (PD). Da previdente capo famiglia ha pensato bene di candidare moglie Michela Di Biase che è stata eletta nella circoscrizione LAZIO 1 in quota PD.

Il 14 Ottobre 2022 Vittorio Feltri zittisce i maliziosi “profeti”: «Meloni sceglierà un governo preparato» [ https://www.iltempo.it/personaggi/2022/10/14/news/stasera-italia-vittorio-feltri-zittisce-i-profeti-governo-meloni-squadra-fontana-la-russa-33467266/ ]

E infatti Giorgia Meloni individua il nuovo Ministro dei Beni Culturali e del Turismo nella persona di Gennaro Sangiuliano. [ https://newsmondo.it/chi-e-gennaro-sangiuliano/people/ ]

Giornalista, direttore del Tg2-Rai dal 2018, Sangiuliano si era messo in mostra collaborando con alcune testate di rilievo, come ad esempio l’Espresso e il Sole 24 ore. È anche direttore della scuola di Giornalismo dell’Università di Studi di Salerno dal 2015.

A fare da Gian Burrasca però, interviene il giornalista Simone Fontana che scopre quanto accaduto al Tg2 e ad averlo postato su Twitter: «Lo stesso servizio del Tg2-Rai contiene almeno un’altra topica clamorosa. Questa non è “una pioggia di missili” che cade sull’Ucraina, ma un filmato del videogame War Thunder.» [ https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/25/ucraina-il-tg2-trasmette-immagini-di-un-videogioco-e-di-una-vecchia-parata-spacciandoli-per-bombardamenti-a-kiev-anzaldi-parla-di-disservizio-pubblico/6507691/ ]

Forse Winston Churchill non andava biasimato quando disse: «Sarebbe una grande riforma della politica se il senno potesse essere sparso tanto facilmente e rapidamente quanto la follia.»

Enzo Trentin

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È l’individuo il soggetto originario della sovranità

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Roberto Pisani, dell’organizzazione politica Rete 22 ottobre , su un quotidiano on line rendiconta su [ https://www.lanuovapadania.it/politica/referendum-22-ottobre-dopo-5-anni-di-nulla-assoluto-due-eventi-sullautonomia-a-pavia-e-schio/ ]: «Cinque anni di niente! 1826 giorni di nulla assoluto! Il volere degli elettori di due fra le regioni più importanti a livello economico, espresso tramite la sacrosanta istituzione referendaria, ignorato senza ritegno!»

Da’ poi notizia di due incontri pubblici che si svolgeranno sabato 22 ottobre, anniversario delle consultazioni referendarie, in Lombardia e in Veneto. E conclude invitando tutti a Pavia e a Schio nel segno dell’autonomia, del federalismo e, perché no, dell’indipendenza.

Quello veneto si terrà a Schio (VI) organizzato dall’ex senatore leghista Paolo Franco, già responsabile Comitati del Sì all’Autonomia.

Il lombardo, più istituzionale, a Pavia dalle 14,30 organizzato dall’amministrazione comunale su iniziativa del Consigliere con delega all’Autonomia Niccolò Fraschini.

Questi due eventi fanno seguito alla riunione dei militanti ed ex militanti della Lega Nord o vicini a quest’area politica, svoltasi sabato 15 ottobre 2022 a Biassono (MI) per interessamento dell’ex parlamentare ed ex assessore regionale Gianni Fava.

Orbene, sia detto con il massimo rispetto: tutta questa gente – pur in buona fede – non ha capito niente!

Comprendere il contesto del problema è una delle prime azioni mentali da intraprendere, e Albert Einstein così sintetizzava: «Non si possono risolvere i problemi pensando nella stesso modo con cui si è giunti a crearli.»

E infatti tutta questa gente, pur ammettendo che lo Stato italiano è irriformabile, ambisce ad entrare nelle sue istituzioni per cambiarle da dentro. Tentativo da molti provato e riprovato senza alcun successo.

Molto sommessamente proveremo allora a riproporre un vecchio articolo che contiene un diverso approccio.

* * *

di ENZO TRENTIN

Per comprendere la questione suggeriamo la lettura di questo documento,

[ https://unipd-centrodirittiumani.it/it/attivita/Autodeterminazione-diritti-umani-e-diritti-dei-popoli-diritti-delle-minoranze-territori-transnazionali/187 ] dal quale per semplicità estrapoliamo il seguente brano:

Ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani, il soggetto titolare del diritto all’autodeterminazione è il popolo come soggetto distinto dallo Stato. Ma in nessuna norma giuridica internazionale c’è la definizione di popolo.

Questa reticenza concettuale non è dovuta al caso. Gli Stati giocano sull’ambiguità, non essendo ancora disposti ad ammettere espressamente che i popoli hanno una propria soggettività internazionale.

Per il concetto di popolo bisogna pertanto riferirsi a documenti ufficiali o semi-ufficiali privi di carattere giuridico. Un recente Rapporto dell’Unesco (Doc. SHS- 89/CONF. 602/7, Parigi, 22.02.1990) definisce il popolo come:

  1. un gruppo di esseri umani che hanno in comune numerose o la totalità delle seguenti caratteristiche:

    a. una tradizione storica comune;
    b. una identità razziale o etnica;
    c. una omogeneità culturale;
    d. una identità linguistica;
    e. affinità religiose o ideologiche;
    f. legami territoriali;
    g. una vita economica comune;

  2. il gruppo, senza bisogno che sia numericamente considerevole (per es., popolazione dei micro Stati), deve essere più che una semplice associazione di individui in seno ad uno Stato;
  3. il gruppo in quanto tale deve desiderare di essere identificato come un popolo o avere coscienza di essere un popolo -restando inteso che gruppi o membri di questi gruppi, pur condividendo le caratteristiche sopra indicate, possono non avere questa volontà o questa coscienza; e eventualmente
  4. il gruppo deve avere istituzioni o altri mezzi per esprimere le proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità”.

H. Gros Espiell, uno dei maggiori esperti in materia, definisce popolo “qualsiasi particolare comunità umana unita dalla coscienza e dalla volontà di costituire una unità capace di agire in vista di un avvenire comune (…)”.

Dunque, due sono gli elementi fondamentali che fanno un popolo e lo distinguono da altri tipi di comunità umane, quali le minoranze etniche, linguistiche o culturali e quelle comunità che nei documenti delle Nazioni Unite vengono denominate popolazioni autoctone: a) l’esistenza di un comune patrimonio culturale; b) l’esistenza di un comune progetto di futuro politico, la cui realizzazione comporti l’esercizio del diritto all’autodeterminazione.

3. Il concetto del diritto di autodeterminazione

Il “principio” di autodeterminazione dei popoli è sancito dagli articoli 1, par. 2, 55 e 76 della Carta delle Nazioni Unite. Questo “principio” è divenuto “diritto umano”, formalmente riconosciuto a tutti i popoli, in virtù dell’identico articolo l dei due Patti internazionali sui diritti umani del l966:

l. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. (…) 3. Gli Stati parti del presente Patto, (…), debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello statuto delle Nazioni Unite”.

Ciò premesso, è necessario constatare che i Veneti (come i lombardi e altri popoli della penisola), intendendo per tali non solamente i soggetti che si riconoscono come ceppo etnico omonimo, bensì tutti gli abitanti di un ben determinato territorio, non godono dei diritti democratici. Non possono eleggere i propri “rappresentanti”, poiché costoro sono il frutto di logiche partitocratiche: il cosiddetto “Porcellum” (attualmente sostituito dal “Rosatellum”).

Non sono in grado di vedere approvate Leggi d’iniziativa popolare, e nemmeno è possibile per loro modificare la Costituzione. Subiscono una tassazione di oltre il 70% dei propri redditi. Di contro non sono diminuiti i privilegi della cosiddetta “Casta” a fronte dell’aumento del debito pubblico. E il Parlamento ha perso la sua funzione principe: fare le leggi. Come illustrato in questo articolo.

[ http://www.lintraprendente.it/cgi-sys/suspendedpage.cgi ]

Si sorbiscono anche un trattamento di tipo persecutorio ad opera di un Ente: Equitalia che costa più di quanto incassa per conto dello Stato italiano

[ http://www.life.it/equitalia-chiede-807-mld-ma-ne-incassa-69/ ].

Equitalia ha messo nel suo bilancio attivo 807 miliardi, ma ne ha incassati 69 e la differenza, vale a dire 738 miliardi di euro, è diventato debito.

Di più: il quotidiano “Il sole 24 ore” [ https://st.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-06-17/ecco-conti-equitalia-perdite-220034.shtml ] del 18 giugno ha pubblicato una notizia che già da qualche tempo circolava negli ambienti ben informati: Equitalia ha i bilanci in rosso. La società che dà lavoro a 8.100 dipendenti ha speso nel 2012 in sole paghe, 506 milioni di euro per un costo medio per ogni addetto di 62.500 euro/anno, mentre altri 450 milioni se ne sono andati per i servizi.

Quindi per far funzionare Equitalia ci sono voluti, nel 2012, 956 milioni di euro. Dal 2010 a tutto il 2012 Equitalia ha accumulato perdite per 40 milioni di euro; solo nel 2012 ha chiuso con un lieve avanzo di 8 milioni. A fronte di ciò il territorio veneto ha potuto constatare decine e decine di suicidi di imprenditori messi alla disperazione anche per l’impossibilità di ottenere il pagamento di beni e servizi resi alla pubblica amministrazione.

Potremmo continuare la dissertazione sull’opportunità ed i motivi che sono a favore di una dichiarazione d’indipendenza; ci limitiamo a sottolineare come secondo il documento su indicato e ferme restando le indicazioni dell’Unesco siano sufficienti due sole condizioni:

a) l’esistenza di un comune patrimonio culturale;

b) l’esistenza di un comune progetto di futuro politico, la cui realizzazione comporti l’esercizio del diritto all’autodeterminazione.

Dunque si deve necessariamente partire da un progetto di nuova architettura istituzionale.

Una volta realizzata questa sarà necessario informare e convincere della bontà del progetto la popolazione – o la maggior parte di essa – cui ci si vuol riferire. A quel punto l’autodeterminazione sarà la logica conseguenza.

In conformità con queste norme e principi, il principio di sovranità degli Stati e di non ingerenza negli affari interni cede al principio di sovranità dell’essere umano e della famiglia umana universale, anzi non esiste più de jure.

È pertanto coerente con la ratio delle norme giuridiche sui diritti umani il principio di ingerenza pacifica negli affari interni, come chiarito dallo Institut de Droit International (Risoluzione di Santiago de Compostela del 13.09.1989), dal Parlamento europeo (Risoluzione sui diritti umani nel mondo nel 1989 e 1990 e sulla politica comunitaria dei diritti dell’uomo, del 1991), dalla CSCE (Documento conclusivo della Conferenza sulla dimensione umana, Mosca 4 ottobre 1991), dal Consiglio di sicurezza (Risoluzione 688 dell’aprile 1991 per l’intervento umanitario a favore dei Kurdi), nonché dalla lettera del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana al Coordinatore della Commissione diritti umani della Helsinki Citizens’ Assembly.

Deve ritenersi che l’art. 2,7 della Carta delle Nazioni Unite che fa divieto di interferire negli affari interni degli Stati, sia oggi abrogato dalle norme sui diritti umani quando si tratti di materia attinente alla “dimensione umana”. Esiste oggi una gerarchia tra le norme del vigente diritto internazionale.

Al primo posto sono le norme e i principi sui diritti umani, in quanto norme di jus cogens o di super-costituzione. I diritti degli Stati sono subordinati a questi principi fondamentali. Laddove esista contrasto tra diritti umani internazionalmente riconosciuti e diritti degli Stati, i primi devono prevalere.

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

La verità contro i lestofanti

In evidenza

Ennio Flaiano [ https://it.wikipedia.org/wiki/Ennio_Flaiano ], sul quotidianoIl Mondo, del 20 novembre 1956, raccontò in questo modo la favoletta sul 1956 ungherese:

«Per i più piccini. Un topo, caduto in una trappola, si dibatteva furiosamente: “Niente equivoci,” disse il topo a quelli che stavano a guardarlo “io non mi batto contro la trappola, che va benissimo, ma per la cattiva qualità del formaggio”. Questa la tesi che i comunisti ci hanno offerto per spiegare la rivoluzione ungherese, informandoci che hanno già provveduto a migliorare la qualità del formaggio e a rinforzare la trappola».

È il paradosso della democrazia rappresentativa pura, e della deformità morale che possiamo vedere chiaramente negli effetti della privatizzazione dei profitti e della socializzazione dei costi. Dalla caduta del Ponte Morandi a Genova alla Pedemontana Veneta, da Bancopoli a Mani Pulite, a tante altre dimostrazioni di “democrazia” [https://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Scandali_in_Italia]

Il “Belpaese”, dopo un decennio di governi tecnici, trenta di neoliberismo, cinquanta di riprogrammazione culturale e settanta di sudditanza coloniale, si ripresenta sulla scena internazionale grazie all’imminente governo di destra, proseguendo con il completo stravolgimento dovuto alla dezinformacija che (hainoi!) è in atto da troppi anni.

Un esempio tra i tanti: appare quanto meno carente la notizia del Premio Nobel per la Pace 2022 [ https://www.washingtonpost.com/world/2022/10/07/nobel-peace-prize-2022-russia-belarus-ukraine-memorial-bialiatski/ ] assegnato all’organizzazione ucraina per i diritti umaniCenter for Civil Liberties, insieme all’avvocato bielorusso per i diritti umani Ales Bialiatski e all’organizzazione russa per i diritti umani Memorial.

Mentre a prima vista il “Centro ucraino per le libertà civili potrebbe sembrare un gruppo che merita questo onore, è passato sotto silenzio il fatto che il leader pacifista ucraino Yurii Sheliazhenko ha scritto una critica pungente.

Sheliazhenko, che dirige il Movimento pacifista ucraino ed è membro del consiglio di amministrazione dell’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza, ha accusato [ https://ccl.org.ua/en/about-the-ccl/ ] il “Centro ucraino per le libertà civili” di abbracciare le agende di donatori internazionali problematici come il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e il National Endowment for Democracy.

Il National Endowment for Democracy sostiene l’adesione alla NATO dell’Ucraina [ https://ccl.org.ua/en/claims/appeal-of-the-euromaidan-sos-regarding-the-immutability-of-the-selected-ukrainian-course-towards-democracy-the-rule-of-law-and-human-rights/ ]; insiste sul fatto [ https://ccl.org.ua/en/positions/ukraine-will-not-negotiate-its-existence/ ] che non sono possibili negoziati con la Russia e fa vergognare coloro che cercano un compromesso; vuole che l’Occidente imponga una pericolosa no-fly zone [ https://ccl.org.ua/en/claims/public-statement-of-euromaidan-sos-regarding-an-attack-on-the-maternity-and-childrens-hospital-in-mariupol/ ]; afferma che solo il presidente russo Vladimir Putin viola i diritti umani in Ucraina; infine non critica mai il [ https://ccl.org.ua/en/positions/amnesty-internationals-4-august-statementa-response-by-the-tribunal-for-putin-initiative/ ] governo ucraino per aver soppresso i media, i partiti e le figure pubbliche filo-russe; non critica mai l’esercito ucraino per crimini di guerra e violazioni dei diritti umani, e si rifiuta di difendere il diritto umano alla obiezione di coscienza al servizio militare riconosciuto dal diritto internazionale [ https://en.connection-ev.org/article-3614 ].

Randolph S. Bourne [ https://en.wikipedia.org/wiki/Randolph_Bourne ], nel suo ultimo saggio sulla guerra 1915-1919 “The State“, rimasto incompiuto, scrisse:

«La guerra è la salute dello Stato. Essa mette automaticamente in movimento, attraverso tutta la società, quelle forze irresistibili che giocano a favore dell’uniformità, dell’azione infervorata delle masse a sostegno del governo, al fine di costringere all’obbedienza anche quei gruppi minoritari e quegli individui che non condividono il sentimento di appartenere ad un grande branco.

«L’apparato di governo mette in moto e applica misure punitive drastiche, per cui le minoranze sono o intimidite, riducendole al silenzio, oppure gradualmente condotte alla sottomissione, attraverso un sottile procedimento di persuasione che, a loro stesse, potrebbe apparire come una vera e propria conversione.»

Oggi possiamo stupirci che la democrazia ateniese, al suo apogeo, abbia potuto funzionare sulla base di un principio così singolare come il sorteggio, ma per i contemporanei era perfettamente naturale. Aristotele, in particolare, scriveva senza mezzi termini: «Cito come esempio le magistrature: il sorteggio è considerato democratico, l’elezione oligarchica.» Sebbene Aristotele fosse sostenitore di una forma intermedia, sottolineava chiaramente la differenza tra il sorteggio e l’elezione definendo democratico il primo, ma non la seconda. Questo punto di vista si trova anche altrove nei suoi scritti.

La moderna democrazia non conosce solo una crisi di legittimità, la sua efficienza è entrata anch’essa in una zona di turbolenza. Ogni sorta di mali, più o meno definiti, indica che diventa sempre più difficile esercitare una gestione attiva.

I parlamenti impiegano a volte una quindicina d’anni per riuscire a votare una legge. I governi fanno sempre più fatica a formarsi, sono spesso meno stabili e, alla fine del loro mandato, non di rado sono puniti sempre più severamente dagli elettori. Le elezioni, cui partecipano sempre meno cittadini, costituiscono sempre più spesso un ostacolo all’efficienza.

Invece di riconoscere con umiltà che i rapporti di potere sono cambiati e di andare alla ricerca di nuove forme di governo che abbiano senso, l’uomo politico per mezzo di un azzardo morale è costretto a continuare il gioco mediatico-elettorale, spesso contro la sua volontà e contro quella del cittadino, che comincia a trovare lo spettacolo un po’ stancante.

L’idea di regolare i rapporti fra individui su base contrattuale, non appartiene a Pierre-Joseph Proudhon che tuttavia la descrive magnificamente nel capitolo VII di “Del principio federativo” © 1863 [ http://it.wikipedia.org/wiki/Del_principio_federativo ], è una legge di natura, dicono i più importanti sociobiologi del terzo millennio.

I rapporti da regolare sono:

  1. fra individui;
  2. fra individui e governo della comunità (o Stato);
  3. fra comunità (o Stati).

Se poniamo il contenuto del contratto come legge, letta, discussa approvata e sottoscritta dalla maggioranza dei cittadini responsabili che partecipano volontariamente alle scelte, abbiamo il toccasana per dirimere moltissimi problemi, e che non possono essere diversamente risolti.

Per il potere (quello economico-mediatico) è molto più facile e “conveniente” utilizzare pochi politici installati in posizioni istituzionali dominanti, piuttosto che “contrattare” con popoli democraticamente e federalmente evoluti. Ed ecco quindi le pseudo pandemie, le crisi del debito pubblico, le guerre, la dezinformacija, e altre avversità.

Molti credono di potersi sottrarre alle leggi naturali perché tre o quattrocento anni fa il Veneto (o la Toscana, o un’altra area geografica, non fa differenza) aveva un governo diverso? ma è una assurdità.

Quei tempi avevano il governo sicuramente adatto al proprio secolo. Ma oggi le conoscenze e la tecnologia sono completamente diversi rispetto ad allora, come diversi sono i problemi.

Ed allora ecco l’idea: il contratto.

In politica esso è sinonimo di federalismo, che molti sedicenti federalisti privi di umiltà hanno tradito nella lettera e nello spirito. Tutto il contrario del mandato ad libitum che i partiti pretendono di ottenere con le elezioni.

Se la democrazia non è pienamente abbracciata in tutta la sua forza. Ad essa potremmo affiancare l’autonomia.

L’autonomia dei cittadini?

Ma chi è veramente autonomo?
Chi ha la facoltà di definire in modo indipendente le proprie regole e dunque le leggi?

“Autonomia” deriva dal greco antico autós‚ da sé e nómos‚ legge, che significa così darsi le “proprie leggi”.

Questo dovrebbe valere anche per i cittadini di questa sciagurata penisola?

Certo, anche i cittadini stessi dovrebbero poter essere legislatori. Dovrebbero poter agire a livello legislativo in modo autonomo. Con il referendum propositivo dovrebbero poter deliberare loro stessi leggi da essi stessi proposte, e con il referendum dovrebbero poter vigilare sulle leggi decise in loro nome dalla rappresentanza politica. Purtroppo, l’esperienza dimostra che i cittadini questa autonomia non la possono proprio esercitare.

Luigi Einaudi (2° Presidente della Repubblica Italiana, e forse il più meritevole) ha esemplificato questo approccio: «La libertà esiste se esistono uomini liberi; muore se gli uomini hanno l’animo di servi.»

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Se la realtà non corrisponde alla propaganda, tanto peggio per la realtà.

In evidenza

Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, dai suoi avversari politici ironicamente soprannominato “pancia a terra” per gli infiniti e inefficaci solleciti all’autonomia regionale, è un fenomeno.

Luca Zaia, Presidente Regione Veneto

Quand’era Vice di Giancarlo Galan (2005/2008) l’incantevole Zaia non s’è mai accorto dei maneggi per cui il “Doge” finì poi penalmente condannato. Da presidente (2010) il virtuoso Zaia non s’è accorto che la cosiddetta Pedemontana Veneta [ https://valori.it/pedemontana-veneta-macchina-mangia-soldi-che-piace-alla-lega-e-dissesta-i-conti/ ] è una macchina mangia-soldi che dissesta i conti.

Un impianto finanziario interamente puntellato da fondi e garanzie pubbliche, alla faccia del project financing [un’operazione di tecnica di finanziamento che già aveva reso un cattivo servizio per gli ospedali di Santorso (VI), e all’Angelo di Venezia-Mestre voluti dal “Doge”], mentre il suo costo ha raggiunto livelli intollerabili.

È troppo impegnato per frequentare il Consiglio regionale.

Il prodigioso Zaia, tra l’altro, è referente [ https://www.regione.veneto.it/home-presidente] per le materie di: Comunicazione e informazione. Attuazione autonomia regionale differenziata, federalismo, referendum consultivi previsti da leggi regionali; tutti ambiti in cui si è distinto per un nulla di fatto.

Ma è ovvio che nessuno è perfetto.

Di contro è una sorta di infaticabile globetrotter che viaggia continuamente in lungo e in largo per la regione. Ovviamente utilizzando mezzi della pubblica amministrazione (quindi a spese del contribuente), per inaugurazioni, cerimonie, commemorazioni, ricorrenze, fiere, festeggiamenti, banchetti, e chi più ne ha più ne metta.

Per ogni occasione ha un discorsetto forbito e appropriato. Segno evidente che si avvantaggia di un efficiente ufficio stampa. Al che i soliti denigratori ricorrono alla nota battuta del film di Brian De Palma “Gli intoccabili” (1987): «Sei solo chiacchere e distintivo!»

Se si guarda oltre la facciata di rappresentanza e si approfondiscono alcuni aspetti della sua amministrazione, si scoprono per esempio i disagi e i problemi di quella sanità che egli vorrebbe d’alto livello. Per esempio, si moltiplicano i pazienti dell’ULSS7 che chiedono risposte alla Regione, dove il presidente Luca Zaia e l’assessore alla sanità Manuela Lanzarin appaiono latitanti o comunque inefficaci.

L’ULSS 7 ha rivisto e potenziato l’organizzazione del servizio al fine di migliorare la capacità di risposta agli utenti sia telefonica sia presso gli sportelli: un Nuovo Contact Center. [ https://www.vicenzareport.it/2022/10/nuovo-contact-center/ ].

Ma ci sono cittadini che scrivono all’Ufficio Relazioni con il Pubblico, e al Direttore f.f. della Gestione Risorse Umane per lamentare come alcuni funzionari di tali luoghi sì distinguano per un comportamento contrassegnato da rigida e altezzosa compostezza; lasciando trasparire dal proprio atteggiamento quasi una insofferenza per il proprio lavoro routinario.

Tale comportamento parrebbe un interiore disagio necessario di una gratificante compensazione derivante dal frapporre banali ostacoli burocratici, anziché offrire una coadiuvante disponibilità verso l’utente che, non si trascuri, è anche contribuente attraverso la fiscalità generale.

Una sorta di distopia insomma, dove dall’altra parte dello sportello non c’è l’utente (che per sovrammercato paga i ticket ) cui offrire il servizio, ma un ignaro e misero questuante a cui erogare la sua penosa utilità.

Dei disagi dell’ULSS7 se n’è occupata recentemente «Rete Veneta TV» che ha pubblicato un servizio di alex Iuliano dal titolo: «quello che succede è disumano»

Carlo Bramezza, Direttore Generale della ULSS 7

[ https://reteveneta.medianordest.it/36156/bassano-del-grappa-ulss7-sempre-piu-disagi-quello-chesuccede-e-disumano/ ].

Non bastasse, in «Marostica Notizie» [ http://www.marosticanotizie.it/2022/02/23/ilcurriculum-di-carlo-bramezza-direttore-generale-della-ulss-7-con-il-patrimonio-personale-inliquidazione-per-11-milioni-di-fideiussioni-ci-lascia-perplessi/ ] c’è chi si lamenta che l’attuale Direttore Generale della ULSS 7 Carlo Bramezza, lascia perplessi per lo scarno curriculum professionale che esibisce: in precedenza ha fatto solo il segretario del direttore di Case di Riposo nel trevigiano.

E addirittura ci si sorprende per la mancanza di corsi d’aggiornamento professionale, malgrado da oltre 25 anni esista un istituto solo per dirigenti, il CFMT (Centro di Formazione Manager del Terziario) contrattualmente gratuito per la formazione continua.

Mentre in questa occasione c’interessano ben poco le schermaglie politiche e quelli che una volta furono chiamati “ludi cartacei”, ovvero le clientele dei Partiti, troviamo interessante citare qualche passo del libro «Il Costo della democrazia» di Cesare Salvi e Massimo Villone, edizioni Mondadori © Novembre 2005.

Lo spoils system arriva in Italia

«Qualunque concetto di spoils system comporta che la fascia in cui un governo subentrante ha titolo a mettere persone di propria fiducia debba essere assolutamente ristretta e limitata a quelle posizioni che pongono il dirigente in diretto contatto con l’indirizzo politico-amministrativo.

«Nessuna organizzazione complessa potrebbe ragionevolmente funzionare in un regime di estesa precarietà. E un cambio di proprietà in una grande azienda non si tradurrebbe mai nell’idea di buttar fuori tutti, dall’amministratore delegato fino ai quadri, e mettere dentro gente nuova.

«Lo spoils system all’italiana comporta che tutta la dirigenza – quella dell’amministrazione pubblica in senso proprio, e non solo – si precarizza in rapporto non ai risultati ma in ragione diretta della vicenda politica e degli assetti di maggioranza. Un concetto dell’amministrazione che si può solo definire proprietario: cambia il padrone, cambia tutta la servitù.

«Quale che sia il giudizio in proposito, un punto merita di essere sottolineato. Abbandonato il modello di una dirigenza di carriera e sostanzialmente inamovibile, diventa decisiva la capacità del sistema politico di autolimitarsi quanto ai vertici degli apparati pubblici.

«Politici propensi alla clientela e all’occupazione del potere troveranno in una dirigenza precaria e preoccupata del mantenimento delle proprie posizioni il più ossequioso gregario [ Ndr. https://espresso.repubblica.it/inchieste/2022/06/24/news/luca_zaia_villa_frana_lavori-355226547/ In questo articolo qualcuno indulge nell’individuare un’idea di “gregariato”]. Non è certo questa la via per un’amministrazione moderna. Anche se le ultime e definitive risposte si trovano non solo nelle leggi, ma anche e soprattutto nella qualità del sistema politico e dei soggetti che a esso danno vita.

«Non meraviglia, allora, che le polemiche sugli apparati amministrativi regionali siano antiche. Si ricordano, ad esempio, quelle sul numero dei dipendenti e in particolare dei dirigenti in alcune Regioni, soprattutto la Sicilia, e quelle – crescenti – riguardo all’efficienza e all’efficacia dell’azione amministrativa delle Regioni.

«E dunque ogni Regione fa come meglio ritiene? La risposta è affermativa. In concreto, oggi una Regione può scegliere di seguire il modello posto dalla legislazione dello Stato sul rapporto tra politica e amministrazione e sulla dirigenza. Oppure può scegliere di non seguirlo, e di costruire quel rapporto in modo diverso nello statuto e nelle leggi.»

Dunque se La Regione Veneto non dà – tra l’altro – servizi sanitari soddisfacenti, la responsabilità è del favoloso presidente Luca Zaia e dei suoi sottoposti che privilegiano la propaganda, e non hanno una corretta percezione della realtà.

Ma questo fantastico presidente che le altre 19 Regioni italiane invidiano, perché non hanno un omologo della sua grandezza, ha altre eccezionali idee.

Residenza Torre delle Fate

In un momento di recessione economica, di grave affanno per famiglie e imprese dovuto ai vertiginosi rincari energetici, alla stagnazione, all’instabilità geopolitica, e altro conseguente; il mitologico governatore Luca Zaia non pensa minimamente

[ https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/cronaca/22_ottobre_02/bollette-prezzi-zaia-pronto-ad-aumentare-tasse-veneti-si-all-addizionale-irpef-4e089c90-42dc-11ed-99fb-5f000886862d.shtml ], per esempio, a rinegoziare gli onerosi Project financing, ma avanza l’ipotesi di introdurre in Veneto l’addizionale Irpef.

Ovvio che tutto ciò trovi conferma nella débâcle elettorale del 25 settembre 2022 che ha visto la Lega scendere, a livello nazionale, dal 17,35% (5.698.687 voti) nel 2018, all’8,77% (2.464.176 di voti, ovvero – 3.234.511 uguale a – 8,58%).

Un solido sistema politico pone limiti, di fatto, all’uso clientelare del potere. Un sistema frammentato e debole caratterizzato dalla personalizzazione del potere produce la balcanizzazione della politica, e al tempo stesso anche quella dell’amministrazione pubblica.

Enzo Trentin

 

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Il totale scollamento tra popoli e governi/potere

In evidenza

Nelle loro azioni i partiti politici non possono essere in contrasto con i loro desideri. Il totalitarismo è il peccato originale dei partiti. Le lotte tra fazioni furono ben formulate [ https://www.treccani.it/enciclopedia/michail-pavlovic-tomskij/ ] da Michail Pavlovič Tomskij: «Un partito al potere e tutti gli altri in prigione.»

Nella dilagante stupidità dei partiti emerge la dissonanza cognitiva. Di solito essi si rendono conto di quando il proprio agire entra in conflitto con le proprie idee o opinioni sperimentando uno stato di allarme. Sanno che è sbagliato barare, ma in alcune occasioni lo fanno, e avvertono tensione.

Il defunto Marco Pannella, con il suo Partito Radicale, a dispetto di un peso elettorale oggettivamente mai determinante, induceva a rammentare un antico proverbio veneto: Fa pi bacan, el caro vojo de quelo pien (Fa più rumore un carro vuoto che quello pieno).

Malgrado ciò riuscì a plasmare il Paese secondo i suoi intendimenti ed i suoi convincimenti, con il risultato che l’ha trasformato, in profondo, a sua immagine e somiglianza.

L’Italia del XXI Secolo somiglia molto più a come l’ha voluta Marco Pannella che non a quella pensata da tutti i politici della cosiddetta “Seconda Repubblica” messi insieme.

Lo ha fatto – tra altre cose – promuovendo la legge che prevede la raccolta firme di sottoscrizione delle liste elettorali, e la loro certificazione ad opera di personale qualificato. Lo fece dopo il successo della Liga Veneta prima, e della Lega Nord successivamente.

Ma tale obbligo burocratico vale solo per i nuovi soggetti, perché chi è già presente in Parlamento ne è esentato. Lo fece convincendo gli altri partiti sulla soglia di sbarramento per entrare in Parlamento, imposta al 3% per ogni lista su base nazionale.

E questo – come molto altro – difficilmente può concordare con la democrazia. Dal greco antico: démos, «popolo» e krátos, «potere» che etimologicamente significa “governo del popolo” non dei suoi rappresentanti.

Del resto, come scrisse Floyd Arthur Harper (https://en.wikipedia.org/wiki/F._A._Harper fondatore l’Institute for Humane Studies nel 1961): «è uno strano concetto di “libertà” quello per cui sei costretto a pagare i costi per promuovere atti che disapprovi o idee con cui non sei d’accordo, o che ti costringe a sovvenzionare ciò che consideri pigrizia e negligenza. La tua “libertà” in questo processo è che godi del diritto di essere costretto a piegarti ai dettami degli altri, contro la tua saggezza e coscienza!»

Cosa dire della “visione democratica” dei partiti, per esempio sulla bocciatura espressa dai votanti sulla candidatura di Umberto Bossi alle elezioni del 25 settembre 2022, e la sua “riabilitazione” per mezzo del conteggio dei resti del proporzionale di una legge controversa, il “Rosatellum”, che nessuno è riuscito a modificare nella passata legislatura malgrado le polemiche.

Corte Costituzionale

Si aggiunga che la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 [ https://www.laleggepertutti.it/43465_legge-elettorale-porcellum-incostituzionale-la-sentenza-della-corte-costituzionale#:~:text=La%20Corte%20costituzionale%20%E2%80%93%20si%20legge%20in%20una,il%2055%25%20dei%20seggi%20assegnati%20a%20ciascuna%20Regione ] che prevedevano l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che avessero ottenuto il maggior numero di voti. Ovvero: c’è chi giudica illegittimi tutti i Parlamenti successivi.

E qui, per comprendere, è bene fare un distinguo: una cosa è la legalità. I campi di concentramento nazisti, le leggi razziali fasciste del 1938, l’apartheid sudafricana erano tutte cose legali; ma sicuramente illegittime.

Eppure Don Luigi Sturzo (che credeva nel federalismo e fu fondatore della democrazia Cristina, partito che non ha mai guardato al federalismo) in “Politica di questi anni. 1957-1959”, © Zanichelli, Bologna, sosteneva:

«Fra coloro che amano la libertà per convinzione e coloro che amano la libertà a parole vi è una divergenza sostanziale: i primi sono convinti che la libertà rimedia ai mali che può produrre, perché al tempo stesso eccita energie nuove, spinge alla formazione di libere associazioni, sviluppa contrasti politici e sociali dai quali derivano i necessari assestamenti; gli altri, invece, hanno paura della libertà e cercano sempre il modo di imbrigliarla con una continua e crescente legislazione e con un’azione politica vincolatrice, che finiscono per soffocarla.»

Prima del 25 settembre 2022 molti elettori si sono espressi per astenersi dal votare (manifestando in tal modo un grande interesse per la politica, ma affermando di non trovare un’offerta soddisfacente, e di essere stanchi di turarsi il naso), poiché nulla sarebbe cambiato in Italia. Altri sostenevano che l’astensione non era un’opzione valida, perché c’erano partiti alternativi all’imperante partitocrazia.

In realtà ambedue questi schieramenti sono stati raggirati senza nemmeno capire che anche comportamenti coraggiosi non sono premiati da un Parlamento sordo e grigio. Si veda, per esempio, l’opera dei parlamentari Sara Cunial, Gianluigi Paragone, e qualche altro che nulla hanno prodotto. E per sovrammercato non sono stati riconfermati.

Che dire poi dell’informazione istituzionale e mainstream dopo la “Dezinformacjaconstatata nel trasmettere informazioni fuorvianti o manipolate riguardo la pandemia Covid-19 o sul conflitto in Ucraina?

Di conseguenza come non prendere con il beneficio d’inventario i dati del Ministero dell’Interno (7.882 Comuni su 7.904) sull’affluenza al voto per le ultime elezioni politiche che si ferma al 63,74%; ma dove mancano le percentuali dei voti nulli e delle schede bianche?

Chi si è preoccupato di quest’ultimo aspetto ha calcolato che tra astensione (mai così alta nella storia della repubblica), schede bianche, e nulle arriviamo a oltre 41%, vale a dire circa 18.000.000 su 45.000.000.

Se malissimo sono andati i partiti antisistema considerando che nessuna delle liste candidate sarà presente nel nuovo Parlamento; il Movimento 5 Stelle, che da partito del dissenso si è trasformato in qualcos’altro, è vittorioso principalmente al sud e nelle isole. Ma soprattutto è stato premiato Giuseppe Conte il quale, a parte la dialettica che ha usato, sembra aver promosso una politica di voto di scambio.

Tutti quei soggetti che ambiscono al rinnovamento dovrebbero ricordare in primo luogo che la rivoluzione non è solo una rivolta contro un ordine preesistente, ma il costituire un nuovo ordine in contraddizione con quello tradizionale. La ricerca di qualcosa di nuovo, insomma.

Gianfranco Miglio

È poi sorprendente come tutti i “rivoluzionari” si siano dimostrati fertili, creativi e fantasiosi nel creare e disattivare nuovi partitucoli insignificanti sotto il profilo elettorale, e abbastanza infecondi riguardo le proposte per un Progetto di Costruzione Politica Innovativo, e quasi nessuno si sia ricordato dell’opportunità di ricorre alla consolidata opera di Gianfranco Miglio, che fu apprezzata anche all’estero.

Avendo in mente di rivolgersi primariamente a quei circa 18.000.000 sopra descritti, e una volta adottato quel progetto federalista, per prima cosa i “rivoluzionari” si dovrebbero raggiungere gli intellettuali, gli insegnanti e gli scrittori (ignorando i giornalisti che sono stipendiati dagli editori), con argomentazioni ragionate, poiché sarà la loro influenza sulla società che prevarrà, dopo di che i politici seguiranno.

In fondo la società può essere pacificamente rivoluzionata solo attraverso un cambiamento delle idee.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Le irrazionali ossequiose bizzarre dei mass-media

In evidenza

Speriamo si sia esaurito il compito di una RAI-radiotelevisione italiana che, con il tatto di servitori ben addestrati, ha ammannito ai suoi telespettatori (presumibilmente tutti paganti obtorto collo) una servile adulazione per la dipartita della Regina Elisabetta di Gran Bretagna.

Solo di sfuggita ricordiamo che il “padrone” della RAI è quel grigio Parlamento che, dall’11 giugno 1995, ignora il risultato del referendum promosso da Radicali e Lega Nord per l’abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI, in modo da avviarne la privatizzazione. In quell’esercizio referendario di sovranità popolare (Art. 1, Comma 2 della Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo…) il Sì vinse con il 56,2% dei votanti.

Ciò premesso, la monarchia è una risorsa unificante o una sbornia coloniale?

Ci sia consentito qualche parallelismo. Gli ultimi capi del Vaticano si sono [anche] distinti per aver viaggiato su e giù per il globo, non trascurando di chiedere scusa agli autoctoni per le “devianze” della sua politica.

Durante i suoi 70 anni di regno, la regina Elisabetta II non ha mai offerto scuse o fornito risarcimenti; malgrado il suo patrimonio personale sia stimato in 550 milioni di sterline.

Elisabetta II (nata Elizabeth Alexandra Mary; Londra, 21 aprile 1926) è stata regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami del Commonwealth.

Eppure le grida dei milioni di vittime dell’impero provengono da migliaia di persone uccise https://www.bbc.com/news/uk-12997138.amp, torturate, violentate e imprigionate https://www.leighday.co.uk/latest-updates/cases-and-testimonials/cases/the-mau-mau-claims/ durante la ribellione dei Mau Mau in Kenya. I 13 civili irlandesi uccisi nella “domenica di sangue” https://www.irishcentral.com/roots/history/what-happened-on-bloody-sunday-in-northern-ireland.amp. Gli oltre 4.100 bambini https://www.cbc.ca/news/indigenous/residential-school-children-deaths-numbers-1.6182456 delle Prime Nazioni morti o scomparsi nei collegi canadesi, istituzioni create e sponsorizzate dal governo per “assimilare” i bambini indigeni alla cultura euro-canadese. Le centinaia di migliaia di persone uccise https://watson.brown.edu/costsofwar/costs/human durante l’invasione e l’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan.

Tutto è stato sommerso dagli applausi per i cortei reali, e dall’aura sacrale che una stampa in funzione di valletta ossequiosa ha tessuto intorno all’aristocrazia. I servizi giornalistici sulla morte della regina sono stati talmente vuoti e noiosi che solo l’informazione italiana è riuscita a superare.

Eppure Thomas Paine (1737-1809) che fu un attivista e teorico politico della rivoluzione statunitense, in un opuscolo di 47 pagine dal titolo “Common Sense” (1775-1776 ) sosteneva l’indipendenza dalla Gran Bretagna delle tredici colonie americane.

Thomas Paine

Scrivendo con una prosa chiara e persuasiva, Paine mise in campo argomenti morali e politici per incoraggiare la gente comune nelle colonie a combattere per un governo egualitario. “Il senso comune” tra l’altro contiene:

«Ma vi è un’altra e grande distinzione alla quale non si può attribuire alcuna ragione veramente naturale o religiosa, ed è la distinzione degli uomini in RE e SOGGETTI. Maschio e femmina sono le distinzioni della natura, buone e cattive le distinzioni del Cielo; ma vale la pena indagare come una razza di uomini sia venuta al mondo così elevata al di sopra del resto, e distinta come una specie nuova, e se siano mezzi di felicità o di miseria per l’umanità.

Nelle prime epoche del mondo, secondo la cronologia delle scritture, non c’erano re; la cui conseguenza fu che non ci furono guerre; è l’orgoglio dei re che confonde l’umanità.

[…] L’antichità favorisce la stessa osservazione; perché la vita tranquilla e rurale dei primi Patriarchi ha in sé qualcosa di scattante, che svanisce quando veniamo alla storia della regalità ebraica. Il governo dei re fu introdotto per la prima volta nel mondo dai pagani.

[…] E quando uno riflette seriamente sull’omaggio idolatra che si fa alle persone dei re, non c’è da meravigliarsi che l’Onnipotente, sempre geloso del suo onore, disapprovi una forma di governo che invade così empiamente la prerogativa del Cielo.»

Le poche manifestazioni di pubblico dissenso:

«Il 22enne Rory, che è stato brutalmente aggredito fisicamente per aver insultato il principe Andrea alla processione di Edimburgo e poi arrestato, ammanettato e accusato, è stato ampiamente condannato dai media per aver disturbato un funerale. https://www.craigmurray.org.uk/archives/2022/09/cool-observation-of-mass-hysteria/ È un fascismo abbastanza letterale, l’esercizio della forza violenta da parte dei teppisti nelle strade per reprimere il dissenso, con lo Stato che sostiene i teppisti e criminalizza i dissidenti. Questo è esattamente il modo in cui operano tutti i regimi fascisti.

[…] Nessuno dei teppisti che hanno attaccato Rory a Edimburgo è stato accusato. Rory è stato accusato di violazione della pace.

Andrea, duca di York (Andrew Albert Christian Edward Mountbatten-Windsor; Londra, 19 febbraio 1960.

La riabilitazione di Andrea è un altro degli scopi politici a cui viene posta la morte di Elisabetta, a cui non ci è permesso obiettare per motivi di “decoro” e “rispetto”.» https://style.corriere.it/news/societa/principe-andrea-dinghilterra-chi-e-scandalo-epstein/#:~:text=Classe%201960%2C%20il%20principe%20Andrea%20d%E2%80%99Inghilterra%20ha%20avuto,per%20traffico%20di%20minori%20e%20sfruttamento%20della%20prostituzione.

«il principe Andrea d’Inghilterra ha avuto una vita costellata di scandali. Uno, però, non gli è mai stato perdonato. Ed è quello che lo lega a Jeffrey Epstein, finanziere americano condannato per traffico di minori e sfruttamento della prostituzione.»

Ed è sempre Thomas Paine che argomenta sull’ereditarietà della corona:

«Al male della monarchia abbiamo aggiunto quello della successione ereditaria; e come il primo è un degrado e una diminuzione di noi stessi, così il secondo, rivendicato come una questione di diritto, è un insulto e un’imposizione ai posteri. Poiché tutti gli uomini essendo originariamente eguali, nessuno per nascita potrebbe avere il diritto di costituire la propria famiglia in perenne preferenza a tutti gli altri per sempre, e sebbene possa meritare un discreto grado di onorificenza dai suoi contemporanei, tuttavia i suoi discendenti potrebbero essere troppo indegni per ereditarli. Una delle prove naturali più forti della follia del diritto ereditario nei Re, è che la natura lo disapprova, altrimenti non lo trasformerebbe così spesso in ridicolo, dando all’umanità un CULO PER UN LEONE.

[…] Perché un patto così insensato, ingiusto, innaturale potrebbe (forse) nella prossima successione metterli sotto il governo di un ladro o di uno sciocco.

[…] L’istanza più plausibile che sia mai stata proposta a favore della successione ereditaria è che essa preserva una nazione dalle guerre civili; e se questo fosse vero, sarebbe pesante; mentre è la falsità più palese mai imposta all’umanità. L’intera storia dell’Inghilterra smentisce il fatto. Trenta re e due minori hanno regnato in quel regno distratto dalla conquista, durante la quale ci sono state (compresa la rivoluzione) non meno di otto guerre civili e diciannove ribellioni. Perciò invece di cercare la pace, la contrasta e distrugge le stesse fondamenta su cui sembra poggiare.»

Ed eccoci arrivati a Carlo III.

Come si può rendere quest’uomo popolare, assieme alla sua regina consorte, avendo in costante promemoria come ha trattato la sua sfortunata prima moglie quand’era ancora principe del Galles?

«Il principe Carlo, poi, ha milioni nei paradisi fiscali off-shore: il reale è l’ultimo ad essere trascinato nello scandalo dei contanti di Paradise Papers https://www.mirror.co.uk/news/politics/prince-charles-millions-shore-tax-11484478 Si sostiene che il reale abbia fatto una campagna per cambiare due accordi sui cambiamenti climatici, e che avrebbe potuto trarre vantaggio dal cambiamento delle regole.

Carlo fu nominato Principe di Galles,
qui assieme a Camilla  Parker Bowles

Il principe Carlo è stato coinvolto nello scandalo fiscale poiché i documenti trapelati hanno rivelato che ha milioni di sterline nascoste oltremare.

E il reale è stato accusato di un “grave conflitto di interessi” per un investimento segreto che ha fatto in una società registrata alle Bermuda gestita da un amico.

È anche venuto alla luce nei Paradise Papers, come i parlamentari hanno milioni di sterline off-shore.»

Domenica 25 settembre gli italiani saranno chiamati alle urne; ma con l’informazione offerta dai mass-media mainstream non ci vengono alla mente che i memorabili versi della “Divina Commedia” di Dante:

«Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave senza nocchier in gran tempesta,

non donna di provincie, ma bordello!»

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Political Stress

In evidenza




Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre.

Abraham Lincoln (dal discorso a Clinton, 1858)

di Tony FassinaFavorito anche dalla polarizzazione ormai fortissima, lo stress provocato da fattori politici (political stress) impera negli Stati UnitiGià prima delle elezioni del 2020 aveva colpito circa il 70% degli americani.

L’Italia non sembra da meno. Dalla fine della II G.M. è notoriamente una “colonia” degli USA, mentre in UE appare a “mezzo servizio”. Tutti i mass-media mainstream sono perennemente impegnati in campagne al servizio dei principali partiti politici. Il concetto di destra-sinistra oramai ha perso ogni significato originario. Esiste solo la lotta per il potere e non si disdegna il consociativismo.

Dei partiti alternativi verificheremo la “presa” dopo le elezioni del 25 settembre 2022. Nei social-media, intanto, è tutto un incitamento per l’astensione alle urne. E anche se “nuovi” soggetti politici dovessero entrare in Parlamento la loro funzione di opposizione sarà prevalentemente, se non esclusivamente protestataria, poiché le loro proposte non avranno alcuna possibilità di diventare deliberazioni.

Europa e Giappone, essendo altrettanti vassalli di Washington, sono inutili nell’introdurre qualsiasi moderazione e intelligenza per scoraggiare la spinta di Washington all’egemonia mondiale al servizio di Israele. 

In un sondaggio dell’Associazione degli psicologi statunitensi [ https://www.apa.org/news/press/releases/stress/2022/march-2022-survival-mode ] ai primi di marzo 2022 ben l’80% degli intervistati citava l’invasione russa dell’Ucraina come significativa fonte di stress, e l’81% si lamentava dell’«incertezza a livello globale» (global uncertainty).

Dal 1776 gli anni di pace sono stati solo 21.

Nei 246 anni dalla loro creazione, gli Stati Uniti sono stati quasi sempre in guerra. Vedasi qui: [ https://it.frwiki.wiki/wiki/Liste_des_guerres_des_%C3%89tats-Unis?fbclid=IwAR3DztCP-c2JjFdy8Y47-6gWviX4gqXgi2z5Qyyc54Ud_jYUw60qPtbsLW8 ]. Tuttavia non sono elencati i numerosi golpe ispirati e diretti dagli USA (sul modello di quello cileno del 1973), le rivoluzioni colorate tutt’altro che spontanee che nascondevano non una mobilitazione popolare per la democrazia, ma la volontà di distruggere paesi che non si piegano all’impero, e l’omicidio e il tentato omicidio di leader da loro considerati ostili.

L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione.

Negli USA c’è la libertà d’espressione.

Tuttavia il regista Oliver Stone, che vanta un record eccezionale avendo vinto 12 premi Oscar per i suoi lavori cinematografici, quando cerca finanziamenti per un film critico su una delle guerre americane dice che il suo dissenso dalla narrativa favorevole alla guerra gli ha procurato “la censura economica”. [ ttps://sputniknews.com/us/202001311078189951-oliver-stone-united-states-is-the-evil-empire/ ] Ovvero, «Fai pure questo tipo di storie, ma trovati i finanziamenti altrove.» 

Hollywood pratica la stessa censura della CNN, del New York Times e del resto della stampa che sostiene la guerra. Stone osserva che non sentiamo mai il punto di vista dei paesi etichettati come “minacce”, quali Russia, Cina, Corea del Nord, Iran e Venezuela. Anche i partiti politici democratico e repubblicano sono tutti per la guerra.

Oliver Stone con Vladimir Putin

Oliver Stone sostiene: «il fatto che leader democratici come Hillary Clinton e Joe Biden siano favorevoli alla guerra come Dick Cheney e i neocon sionisti “ti mostra quanto sia rinchiusa l’America”.» Come ha detto Putin nelle interviste che Stone gli ha fatto, «non fa differenza chi è il presidente degli Stati Uniti.» La politica di Washington è l’egemonia raggiunta attraverso la guerra.

Persino Dwight Eisenhower, nel suo discorso di commiato dalla presidenza USA il 17 gennaio 1961, trasmesso per radio e televisione, inutilmente avvertì il popolo degli Stati Uniti riguardo al pericolo costituito dal “complesso militare-industriale”.

Paul Craig Roberts [ https://www.paulcraigroberts.org/ ] non è, come si usa dire, l’ultima ruota del carro. Nato nel 1939, è un economista e scrittore americano. In precedenza ha ricoperto un incarico nel sub-gabinetto nel governo federale USA, oltre a incarichi di insegnamento in diverse università statunitensi. È il promotore dell’economia dal lato dell’offerta. Una teoria macroeconomica che postula come la crescita economica possa essere promossa in modo più efficace abbassando le tasse, diminuendo la regolamentazione e consentendo il libero scambio. Secondo l’economia dal lato dell’offerta, i consumatori beneficeranno di maggiori forniture di beni e servizi a prezzi inferiori e l’occupazione aumenterà.

Paul Craig Roberts

Paul Craig Roberts è molto critico nei confronti del conflitto in Ucraina: «…la realtà limita fortemente la portata e l’entità di tutte le possibili ambizioni degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina. In fin dei conti, Washington ha una sola strada percorribile: continuare a sprecare miliardi di dollari di denaro dei contribuenti inviando in Ucraina equipaggiamenti militari (che non hanno alcuna possibilità di cambiare l’esito sul campo di battaglia) per convincere il pubblico americano che il suo governo [di Biden. Ndr] sta “facendo la cosa giusta” in uno sforzo perdente.»

E ancora [ https://www.paulcraigroberts.org/2022/08/19/russias-destruction-of-the-ukraine-military/ ] «L’obiettivo russo non è mai stato quello di “prendere Kiev.” […] Il principale obiettivo russo è sempre stato quello di distruggere l’esercito ucraino, i cui gruppi più potenti erano posizionati nel Donbass e a Mariupol. E lo hanno fatto in modo completo

Paul Craig Roberts rileva poi che la guerra americana in favore di Israele in Medio Oriente continuerà. Israele vuole le risorse idriche del Libano meridionale e, come dimostrano i tre tentativi falliti, Israele non è in grado di raggiungere questo obiettivo da solo.

Dopo le operazioni “Litani” del 1977 e dell’operazione “Pace in Galilea” del 1982, ecco che sabato 22 luglio 2006 si presenta come il nuovo tentativo dello Stato ebraico atto a conservare il controllo su una fascia di sicurezza della profondità di 20 km oltre il corso del fiume Litan, invadendo il confine e addentrandosi con il suo esercito nella regione Sud del Libano. E per tre volte l’elogiato Tsahal israeliano è stato messo in fuga dalla milizia di Hezbollah.

Hezbollah è finanziato e rifornito da Siria e Iran, e questo è il motivo per cui Netanyahu ha usato come un suo burattino il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, per continuare a creare le condizioni affinché gli americani muoiano combattendo per Israele contro Siria e Iran. Le tre Invasioni del Libano hanno un minimo comune denominatore, e differenti ragioni che singolarmente le hanno caratterizzate.

Trump si sarebbe conformato volontariamente alle istruzioni di Netanyahu, ma la Russia è d’intralcio. En passant si osservi che nel 2019 il procuratore generale israeliano, Avichai Mandelblit, ha incriminato il primo ministro Benjamin Netanyahu, per tre distinte accuse: corruzione, frode e abuso d’ufficio.

La Russia è molto suscettibile di essere corrotta dall’Occidente.

La domanda che ci poniamo (prosegue Paul Craig Roberts) è se la Russia, per ottenere l’accettazione dell’Occidente, venderà la Siria e l’Iran in cambio dell’adesione alla politica corrotta e alla disfunzione sociale del mondo Occidentale.

Considerando gli interessi degli importanti oligarchi russi arricchitisi durante gli anni di Eltsin, è inconcepibile che il governo russo accetti la Grande Israele in Medio Oriente in cambio dell’adesione al mondo Occidentale. E infatti la rottura dei rapporti è recente [ https://www.affaritaliani.it/esteri/guerra-ucraina-rottura-totale-tra-russia-israele-794099.html ].

La vita sotto il comunismo, o i suoi racconti, hanno pregiudicato gran parte della gioventù autoctona nei confronti della Russia. Si crede che l’America sia il Nirvana dove le strade sono lastricate d’oro. Un successo della propaganda americana è mondiale, e questa è una grande debolezza per la Russia. Oggi le ONG finanziate da Washington possono portare migliaia di giovani russi nelle strade per protestare contro Putin, cosa che fa notizia negli Stati Uniti, e sostiene la propaganda di Washington secondo cui Putin è un dittatore che sopprime la democrazia russa. Il fatto che il governo russo consenta questa attività della quinta colonna indica una mancanza di fiducia da parte del governo russo. Washington coglie la mancanza di fiducia russa e aumenta la pressione.

Washington è la fonte della guerra. 

Washington è la capitale di un paese che invade, bombarda, demonizza e minaccia altri Stati. La minaccia di guerra risiede solo a Washington. E detto da un americano del calibro di Paul Craig Roberts assume una credibile drammaticità.

Una certa Italia intanto corre dietro alle fanfaluche di Mario Draghi. Quel “vile affarista” secondo il giudizio dell’ex Presidente Francesco Cossiga. Quel Draghi che senza consultare il Parlamento invia armi all’Ucraina “molto probabilmente a fondo perso”. [ https://www.rsi.ch/news/mondo/Chi-paga-per-le-armi-inviate-in-Ucraina-15257131.html ]

La politica del quale dovrebbe proseguire se si approvano i partiti di Matteo Renzi (Italia Viva) e Carlo Calenda (Azione) che chiedono il voto per continuare la sua azione. E poiché i greci degli ultimi dieci anni ne sanno qualcosa, ben venga un massiccio astensionismo il 25 settembre.

La conclusione è che la guerra è il nostro futuro. 

Il coronavirus, supponendo che non sia solo un altro clamore pandemico come l’influenza aviaria, la SARS, l’influenza suina, vaiolo delle scimmie, influenza australiana, il virus West Nile etc., ucciderà molte meno persone delle armi nucleari.

 

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

L’umanità ha un disperato bisogno del nuovo ordine

In evidenza
Ambrogio Lorenzetti.
Allegoria ed effetti del cattivo Governo,
1338-1340 (Palazzo Pubblico, Siena).

di Camilla Badoer I compiti che ci attendono sono troppi da contare. L’umanità ha un disperato bisogno di un nuovo ordine che lasci loro le loro storie, culture, tradizioni, modelli economici, politica, e affari interni ai singoli popoli.

La stessa “leadership globale” che il presidente USA Joe Biden rivendica ogni volta che ne ha la possibilità, sta passando ai leader non occidentali mentre l’Occidente si arrende per puro auto-assorbimento.

Il quadro politico italiano è deprimente e degradante.

Le elezioni del prossimo 25 settembre 2022 non risolveranno nulla. Il previsto consistente astensionismo alle urne, nemmeno. Una «Casta» politica s’è insediata nel paese, e come diceva il compianto Prof. Gianfranco Miglio nei primi giorni di febbraio del 1994 a Bologna:

«il grado di civiltà politica di un paese dipende dal modo in cui si riesce a limitare la quantità e la presenza di parassiti. […] se al di là di un certo limite il parassitismo cresce, muore la società…»

A dar retta a commentatori “eretici” siamo ad una svolta nei rapporti internazionali.

Patrick Lawrence, corrispondente all’estero per molti anni, principalmente per l’International Herald Tribune, è stato a volte censurato sul suo sito web. In uno speciale su Consortium News, egli ha commentato il discorso del presidente russo Vladimir Putin del 16 agosto [ http://en.kremlin.ru/events/president/news/69166 ] ai dignitari stranieri nel corso della Conferenza di Mosca sulla sicurezza internazionale, un evento annuale che la Russia ha ospitato negli ultimi dieci anni.

La nuova idea del nostro mondo, è di grande importanza. Putin ha detto: «La situazione nel mondo sta cambiando dinamicamente e i contorni di un ordine mondiale multipolare stanno prendendo forma. Un numero crescente di paesi e popoli sta scegliendo un percorso di sviluppo libero e sovrano basato sulla propria identità, tradizioni e valori distinti.»

Patrick Lawrence sostiene, che sta emergendo un mondo multipolare, almeno dal novembre 1989 quando i tedeschi smantellarono il muro di Berlino.

Egli è stato a lungo convinto che negli anni successivi alle vittorie del 1945 decine di nazioni asiatiche e africane nell’«era dell’indipendenza» hanno rotto i legami coloniali e la maggior parte dell’umanità aspirava e si proponeva di costruire l’ordine mondiale che Putin descrive.

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno soppresso queste notevoli aspirazioni con l’inizio della Guerra Fredda.

Questa è stata una delle caratteristiche più significative della Guerra Fredda. Quando l’Occidente ha diviso la comunità delle nazioni in blocchi, l’effetto è stato quello di costringere il non-Occidente a scegliere l’una o l’altra parte. In effetti, è stata imposta una identità: i corrispondenti potevano scrivere di “Singapore filo-occidentale” o “Suharto, un fedele alleato americano”.

Il Movimento dei Non Allineati, che si coalizzò gradualmente nel 1950 e si dichiarò formalmente nella Belgrado di Josip Broz Tito nel 1961, fu in parte un movimento di resistenza contro il binario della Guerra Fredda. L’impulso che lo guidava non si è mai spento – il NAM vive ancora, anzi – ma il divario Est-Ovest ha fatto il suo terribile lavoro nel corso degli anni.

Fu proprio questo impulso che rianimò il novembre 1989. La finestra che dava su un mondo multipolare si era riaperta. Ed è stata proprio questa finestra che gli americani hanno iniziato a cercare di chiudere ancora una volta durante i trionfalisti anni 1990, con la loro insistenza sul fatto che la nuova Federazione Russa, insieme al resto del mondo post-Guerra Fredda, seguisse l’esempio neoliberista degli americani.

Lo statunitense Patrick Lawrence si dice convinto che la Russia si trova all’avanguardia di questo movimento storico di lunga durata. e diventa sempre più fiducioso che la Russia, insieme ad altri leader non occidentali – Xi Jinping, ma non solo il presidente cinese – spingerà finalmente il mondo verso un ordine mondiale duraturo con il multipolarismo come principio fondamentale.

Andando più indietro, le osservazioni di Putin ricordano il riferimento diretto ai Cinque Principi che Zhou Enlai (il famoso Ministro degli esteri sotto Mao Tse-tung) propose a metà degli anni 1950, e che costituirono la base dei 10 Principi che il NAM articolò a Belgrado una mezza dozzina di anni dopo.

Una convinzione che scaturisce dal prosieguo del discorso di Putin:

«Questi processi oggettivi sono contrastati dalle élite globaliste occidentali, che provocano il caos, alimentando conflitti di lunga durata e perseguendo la cosiddetta politica di contenimento, che in realtà equivale alla sovversione di qualsiasi alternativa, opzione di sviluppo sovrana. Così, stanno facendo tutto il possibile per mantenere l’egemonia e il potere che stanno scivolando dalle loro mani; stanno tentando di mantenere paesi e popoli nella morsa di quello che è essenzialmente un ordine neocoloniale.»

È lecito supporre che Putin abbia voltato pagina nel suo pensiero. E anche il presidente cinese Xi il 4 febbraio, alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino – 20 giorni prima che la Russia iniziasse il suo intervento in Ucraina – sembra perseguire un’analoga politica.

Si veda la dichiarazione congiunta sulle relazioni internazionali che entrano in una nuova era e sullo sviluppo sostenibile globale [ http://en.kremlin.ru/supplement/5770 ].

Una cosa è – per un editorialista contro corrente come Patrick Lawrence – scrivere della egemonia occidentale, e dell’intento sovversivo degli Stati Uniti e dei loro alleati, mentre la realtà di un nuovo ordine mondiale diventa evidente. È un’altra è notare come il presidente di una delle nazioni più potenti del mondo usa tale linguaggio.

La tempistica di tali dichiarazioni sembra significativa.

La leadership cinese ha rinunciato a dare un senso alle relazioni con gli Stati Uniti

Il vertice in Alaska – 18 marzo 2021
USA-Cina: poche possibilità per negoziare ad Anchorage

[ https://www.ilpost.it/2021/03/19/cina-stati-uniti-alaska-blinken/ ] dopo il loro incontro disastroso con i funzionari americani ad Anchorage a metà marzo 2021. Nel primo incontro tra diplomatici americani e cinesi dopo l’elezione di Biden le cose sono degenerate piuttosto in fretta.

Da tutto ciò che è emerso successivamente, Xi e i suoi ministri hanno evidentemente deciso che la Cina avrebbe fatto la sua strada e avrebbe smesso di preoccuparsi di ammorbidire una nazione che rimane potente ma bloccata nel passato.

Putin è approdato all’incirca allo stesso giudizio entro il 4 febbraio 2022. Tutti gli sforzi della Russia per parlare con gli Stati Uniti, e i loro alleati della NATO, di un ordine di sicurezza sostenibile in Europa non avevano prodotto altro che ostruzionismo e gravi assurdità.

Sembra che Putin e Xi abbiano tracciato una linea, o accettato la linea tracciata dagli americani: se insisti sulle relazioni contraddittorie, le otterrai. “Stanno ostacolando il mondo” è una frase semplice da tradurre.

L’impegno di Putin è abbastanza evidente; un’altra ragione per cui essere fiduciosi che un mondo multipolare vincerà contro l’unilateralismo di Washington. Il tempo è dalla loro parte.

Le midterm election negli Stati Uniti si terranno martedì 8 novembre 2022. Durante questo anno elettorale di medio termine i Democratici rischiano di perdere il controllo del Congresso. Per i sondaggi ci sarebbe un crollo dell’approvazione da parte degli americani nei confronti del lavoro fin qui svolto da Joe Biden, da tempo nel mirino delle critiche.

Se si guarda alle cose del “Belpaese” non ci saranno grandi novità dopo le elezioni del 25 settembre 2022. Lo Stato italiano rimarrà irriformabile, costoso ed inefficiente. La crisi economica rischierà di far fare agli italiani le stesse esperienze che hanno sofferto i greci negli ultimi 10 anni.

Chi pensa a una soluzione attraverso l’autodeterminazione dei popoli, così come prefigurato più sopra, dovrà darsi da fare per selezionare nuove figure politiche, abbandonando i vecchi pseudo leader di certo sedicente indipendentismo che a nulla è approdato. E, soprattutto, dovranno emergere dei progetti politico-economici e istituzionali di sicura efficacia.

D’altro canto, se la leadership globale deve passare al non-Occidente, il dovere di Putin verso il popolo russo, quello di Xi verso la Cina, la leadership iraniana verso l’Iran, i leader di Cuba verso il popolo cubano, e così via per altre 190 volte, è quello di aiutarli a raggiungere una vita dignitosa e prospera.

Il non-Occidente si assumerebbe una responsabilità anche nei confronti del resto della popolazione terrestre. Ciò include i cittadini delle stesse nazioni, come gli Stati Uniti, che cercano di affondare il progetto.

I leader occidentali e il loro “ordine internazionale basato su regole” hanno reso perfettamente chiaro che non faranno nulla per il cambiamento climatico se non ai margini irrilevanti. Putin, Xi e altri leader non occidentali devono prendere l’iniziativa guidando il pensiero, le idee e le politiche.

Infatti, come possiamo aspettarci un nuovo ordine mondiale se coloro che lo guidano non riescono ad agire a favore del mondo intero?

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Co le ciàcole no se ‘mpasta frìtole

In evidenza

Per il titolo di questo intervento prendiamo a prestito un antico proverbio veneto, che tradotto in italiano significa: «Con le chiacchiere non si impastano frittelle»; ovvero senza “schei” (soldi) non si fa nulla.

A premessa aggiungiamo anche che l’antico motto: il fine giustifica i mezziche Nicolò Machiavelli inserisce nel suo trattato intitolato: «Il Principe», è stato travisato da politicanti della più varia natura, dalla morale, e dall’etica sbilenche.

Infatti, secondo Machiavelli, perché un Principe possa mantenere lo Stato egli dovrà innanzitutto essere un buon governante. Uno Stato governato male, in cui il sovrano si comporta come un despota, è inevitabilmente destinato a morire. Ed è a quest’ultima considerazione che molti italiani (dominati dalla partitocrazia quale moderno Principe) si aggrappano con speranza.

Quindi, il buon Principe (ovvero la partitocrazia) deve soprattutto fare l’interesse dello Stato. Agire moralmente, facendo il bene dei cittadini, secondo Machiavelli, è una condizione essenziale per mantenere lo Stato. Egli ritiene che il male commesso dal Principe debba sempre essere rivolto al bene dei sudditi, altrimenti si ritorce contro colui che lo adopera, provocandone la rovina. Dunque, agendo sempre per il bene dello Stato, il Principe potrebbe eventualmente utilizzare mezzi immorali, ma solo ed esclusivamente se la necessità lo richiede, e solo a questo fine.

Poiché è sotto gli occhi di tutti coloro che non vivono di rendite politiche, che la partitocrazia persegue interessi che non sono rivolti al bene dei cittadini italiani, ecco che da decenni sono nate formazioni politiche che si autodefiniscono indipendentiste. E non sorprende che nel mondo molti altri popoli perseguano ideali di autodeterminazione.

Tuttavia nel paese di Arlecchino e Pulcinella assistiamo ai singolari comportamenti di quasi tutti gli ex rappresentanti che si sono fatti eleggere nelle istituzioni italiane con promesse di autonomia, di federalismo e d’indipendentismo, e pur non avendo ottenuto alcun risultato concreto per questi obiettivi, non hanno scrupoli a passare mensilmente all’incasso di vitalizi e quant’altro affine, elargiti (forse meglio potremmo dire auto elargiti) dallo Stato che vorrebbero abbandonare con una secessione.

È straordinario che malgrado tanta debacle politica, molti di questi personaggi vengano appellati dal popolino con l’aggettivo di “patriota”. Chissà? Forse è una forma di sindrome di Stoccolma.

Qualcuno, punzecchiato su questo argomento, ha scritto: «...ho la fortuna da 41 anni di avere un lavoro anche ben retribuito che mi ha permesso di andarmene senza tanti problemi…».

Nella nostra personalissima visione della morale e dell’etica politica troviamo estrema disinvoltura in coloro che criticando l’attuale Stato italiano non disdegnano le “rendite politiche” che esso elargisce.

Insomma, se costui (e quasi tutti gli altri come lui) ha un lavoro ben retribuito e vuole avere credito come indipendentista, a nostro sommesso modo di vedere non è moralmente né eticamente accettabile che passi all’incasso di quei privilegi che un “uomo qualunque” nemmeno si sogna.

Il solo altro argomento che affronteremo in questa occasione, è il fatto che le innumerevoli formazioni sedicenti indipendentiste (in particolare quelle venete) si sono sinora distinte per l’estrema conflittualità tra di esse con conseguente frammentazione. L’insignificanza di consenso elettorale ogni qualvolta sono affannosamente in grado di concorrere alle elezioni, e non ultima la quasi totale mancanza di un progetto di costruzione politica attraverso il quale convogliare una adesione di popolo sono desolanti.

Si ha la sensazione che certi pseudo indipendentisti vogliano insegnare nuovi trucchi ad un cane vecchio. Ma “ci nasse aseno non more mia caval”; ovvero: chi nasce asino non muore cavallo.

Ecco allora una proposta volutamente provocatoria:

perché tutti quegli ex rappresentanti nelle istituzioni italiane che godono di rendite e vitalizi politici non dimostrano concretamente la loro buona fede indipendentista, il loro patriottismo, e secondo lo schema che qui abbozziamo non fanno confluire i loro introiti “bastardi” in un fondo blindato, gestito da un comitato etico che rimane in carica per brevissimi periodi ed è in rapida rotazione per evitare “disfunzioni” (eufemismo) e quant’altro di negativo potrebbe succedere?

Perché, ancora, non chiedere agli iscritti a questo nuovo soggetto politico. Non un partito, perché questi non sono democratici, né al loro interno, né all’esterno. E se la democrazia non ha bisogno dei partiti, questi ultimi senza la democrazia non esistono; al più esiste il partito unico. Partiti ed elezioni stanno per essere superati, e in questa sede basta scorrere gli articoli precedenti riguardanti il sorteggio. Negli ultimi tempi, poi, non c’è elezione che alla sua conclusione non sia accusata di brogli.

Ecco allora l’idea di far confluire in un fondo blindato le loro tasse d’iscrizione e liberalità.

Perché, non istituire delle commissioni atte allo studio delle varie problematiche istituzionali?

Un direttorio a rapida rotazione. Aristotele [in: Politica] vi associava una riflessione molto interessante sulla libertà: «Il principio fondamentale del regime democratico, è la libertà […]. Uno dei tratti distintivi della libertà è l’essere a turno governati e governanti». Un pensiero vecchio di venticinque secoli, ma sempre incredibilmente valido. Un direttorio così concepito potrebbe ben coordinare un’azione politica coerente e condivisa.

Ci si chiede, dunque, se la secessione o indipendenza o autodeterminazione di un territorio (il Veneto, considerando che abbiamo parlato dell’indipendentismo veneto) sia un atto legittimo sia da un punto di vista del diritto interno, sia da un punto di vista del diritto internazionale pubblico.

C’è anche da considerare il voto, espresso in occasione della celebrazione di due consultazioni popolari:

  • un primo referendum digitale autogestito per l’indipendenza del Veneto, svoltosi tra il 16-21 marzo 2014;

  • uno secondo referendum consultivo per l’autonomia, svoltisi il 22 ottobre 2017, e da molti interpretato come propedeutico all’indipendenza;

costituiscono una chiara espressione del principio consuetudinario internazionale di autodeterminazione esterna dei popoli.

Detto ciò possiamo classificare le diverse analisi della sindrome di stanchezza democratica secondo quattro diverse diagnosi: è colpa dei politici, è colpa della democrazia, è colpa della democrazia rappresentativa e, variante specifica, è colpa della democrazia rappresentativa elettiva.

E poiché “Chi tropo se inchina, mostra el culo” (Chi si inchina troppo, mostra il sedere), è tempo che gli uomini di buona volontà escano dal loro torpore.

Enzo Trentin

Elezioni: l’allarmante costellazione di promesse

In evidenza

di Tony Fassina Democrazia, aristocrazia, oligarchia, dittatura, dispotismo, totalitarismo, assolutismo, anarchia; ogni sistema politico deve trovare un equilibrio tra due parametri fondamentali: l’efficienza e la legittimità.

Due parametri che nel paese di Arlecchino e Pulcinella sono assenti da tempo, se mai siano stati presenti. Bastino due constatazioni per tutte: l’ossimoro rappresentato da quei leader di partito che nella campagna elettorale per le votazioni del 25 settembre 2022 promettono (e non è la prima volta) l’aumento delle pensioni e la riduzione delle tasse. Oppure: «Se vinciamo, pagheremo gli insegnanti come nel resto d’Europa.»

La democrazia occidentale ha un serio problema di legittimità se i suoi cittadini non hanno più voglia di partecipare alla procedura essenziale del suo funzionamento: il voto. Oggi, i due terzi, se non addirittura i tre quarti, degli intervistati provano diffidenza verso le istituzioni del loro stesso ecosistema politico. E anche se una cittadinanza critica presuppone un certo scetticismo, è lecito chiedersi in quali proporzioni questa sfiducia possa crescere ancora, e a partire da quale livello una sana diffidenza si trasformi in vera avversione.

Dal sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca Quorum/YouTrend per Sky TG24: “Gli italiani hanno pochissima fiducia nella politica (83%), anche tra quelli che comunque votano. Una sfiducia che spesso si tramuta in rabbia, soprattutto tra i votanti (60%) […] Gli abitanti della penisola sono anche estremamente sfiduciati su quello che sarà il futuro dell’Italia dopo le elezioni. Il 53% ritiene il futuro ben peggiore di quello delle altre due grandi nazioni dell’UE, ovvero Francia e Germania”.

È chiaro, dunque, che per quanto riguarda le istituzioni democratiche, sono i partiti politici a confrontarsi con la crisi di fiducia più grave. Se sempre meno gente cerca di aderire agli organi che sono gli attori principali del sistema democratico, quali incidenze tale calo può avere sulla legittimità del sistema? Se i partiti politici sono le istituzioni che ispirano meno fiducia in Europa, fino a che punto la situazione è grave? E com’è possibile che questi stessi partiti politici quasi non se ne preoccupino?

Il belga Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo fino a dicembre 2014, diceva in Over stilte en leiderschap [“Silenzio e leadership”], conferenza tenuta a Turnhout il 7 giugno 2013, [cfr. https://avansa-kempen.be/de_stille_kempen/2541/ ]: «Il modo in cui funzionano le nostre democrazie sta “logorando” le persone a un ritmo spaventoso. Dobbiamo fare in modo che la democrazia stessa non si logori.»

I sintomi di cui soffre la democrazia occidentale sono numerosi quanto vaghi, ma se si contrappongono astensionismo, instabilità elettorale, emorragia dai partiti, impotenza amministrativa, paralisi politica, paura della sconfitta elettorale, penuria di posti di lavoro, bisogno compulsivo di farsi notare, febbre elettorale cronica, stress mediatico estenuante, sospetto, indifferenza e altri mali tenaci, vediamo delinearsi i contorni di una sindrome. La sindrome di stanchezza democratica, una malattia che non è ancora stata studiata sistematicamente, ma di cui indubbiamente soffrono varie democrazie occidentali.

Il sistema svizzero potrebbe in realtà insegnarci qualcosa.

Nella Confederazione Helvetica esistono i partiti politici, ma al contrario che altrove non occupano egemonicamente le istituzioni.

La base della Confederazione è la Costituzione del 1848, che è stata modificata nel 1874 ed è rimasta inalterata fino alla votazione del 1999 quando il popolo adottò una magna charta totalmente rinnovata. Tra gli stati moderni, la Svizzera è il solo a essere governato per mezzo della democrazia diretta. Il parlamento svizzero, inoltre, non è composto da politici professionisti.

Le camere federali si riuniscono quattro volte all’anno per tre settimane. Questo permette ai parlamentari di lavorare tra una sessione e l’altra. Nonostante i problemi che comporta il sistema dei politici part-time (il sistema è chiamato: “di milizia“), vi è una forte opposizione popolare a una sua eventuale modifica, poiché è convinzione comune che nella situazione attuale i parlamentari siano più vicini ai problemi dei cittadini elettori e che, facendo anch’essi parte del mondo del lavoro, possano portare la loro esperienza professionale all’interno delle discussioni parlamentari.

  • I ministri (chiamati Consiglieri Federali) vengono nominati individualmente dal parlamento e restano in carica molti anni, fino alla proprie dimissioni (che mediamente avvengono dopo 10 anni di mandato).
  • Il governo (chiamato Consiglio Federale) è costituito da 7 consiglieri federali. I sette membri del governo prendono le loro decisioni in modo collegiale. In Svizzera non esiste un ruolo paragonabile a quello di un primo ministro o di un capo di Stato.
  • La carica di presidente della Confederazione è ricoperta a turno dai membri del governo. Il mandato presidenziale dura un anno.
  • Quando un consigliere si dimette, il parlamento ne nomina un altro.
  • Quindi i ministri restano in carica anche quando il parlamento arriva a fine mandato e ne viene eletto uno nuovo.
  • Il parlamento vota liberamente le leggi, con maggioranze variabili, a seconda della legge.
  • Il governo riceve le leggi e le deve eseguire, secondo costituzione.
  • Non essendo il governo sostenuto da un voto di fiducia parlamentare e non esistendo la possibilità che un Presidente della repubblica sciolga il parlamento a causa della mancanza di una maggioranza a sostegno del governo, i parlamentari sono liberi di votare come meglio credono.
  • Laddove gli organi preposti non provvedono o agiscono in maniera dissimile, spetta al popolo sovrano intervenire con i principali strumenti di democrazia diretta: recall, iniziativa, referendum.

Ciò nonostante anche in Svizzera, come in buona parte delle democrazie Occidentali, c’è chi pensa di attivare un sistema di sorteggio.

[ https://www.swissinfo.ch/ita/-i-parlamenti-riflettono-un-immagine-distorta-della-popolazione-e-dei-suoi-problemi-/46224650?utm_campaign=teaser-in-channel&utm_source=swissinfoch&utm_medium=display&utm_content=o ]

Fu il politologo francese Bernard Manin ad aver aperto la strada

Sulla scia del brillante studio di Bernard Manin, (Principes du gouvemement représentatif, © Parigi 1995), fosse solo per dimostrare che sono esistite altre forme di democrazia in passato, sono stati pubblicati, in questi ultimi anni, numerosi scritti innovativi. Essi mostrano che la nostra democrazia attuale è fondamentalmente il risultato di una combinazione di circostanze fortuite, che partono dalle rivoluzioni americana e francese.

Qui ci piace ricordare il libro di David Van Reybrouck: Contro le elezioni – perché votare non è più democratico, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, © settembre 2015; che ci ha stimolato qualche spunto.

Rinfreschiamo la nostra visione dei secoli precedenti

Nell’Atene classica del Quinto e Quarto secolo avanti Cristo in effetti i più importanti organi di governo reclutavano il loro personale mediante il sorteggio: il Consiglio dei cinquecento (la Boulé), il Tribunale del popolo (l’Eliea) e praticamente tutte le magistrature (le Arkhai).

Il Consiglio dei cinquecento era l’organo centrale di governo della democrazia ateniese: redigeva i testi di legge e preparava le riunioni dell’Assemblea del popolo (l’Ecclesia), controllava le finanze, i lavori pubblici e i magistrati, ed era anche responsabile delle relazioni diplomatiche con le potenze vicine. In una parola, cittadini tirati a sorte occupavano il centro nevralgico del potere. Inoltre, tra i settecento magistrati, seicento erano sorteggiati, il resto era eletto. E ogni mattina, il Tribunale del popolo estraeva a sorte centinaia di giurati attingendo a una riserva di seimila cittadini.

kleroterion

A tale fine si utilizzava per ogni tribù un kleroterion, una grande stele incisa da cinque colonne di fenditure in cui ogni candidato doveva inserire la lamina con i suoi dati identificativi. Il sorteggio si eseguiva estraendo da un tubo verticale chiuso, posto vicino alla stele, delle sfere colorate che corrispondevano alle file di lamine identificative del kleroterion. Coloro che la sorte designava erano ammessi a svolgere il loro incarico. Era come giocare a dadi per amministrare la giustizia, una sorta di roulette per ripartire in modo equo il potere giudiziario. Il sorteggio riguardava dunque i tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario.

Aristotele vi associava una riflessione molto interessante sulla libertà (cfr. Politica, 1294b9, 1294b33, 1317b1-4): «Il principio fondamentale del regime democratico, è la libertà […]. Uno dei tratti distintivi della libertà è l’essere a turno governati e governanti.». Un pensiero vecchio di venticinque secoli, ma sempre incredibilmente valido. La libertà non è: essere sempre noi al potere. Non è neanche: non dover rispettare il potere. E ancora meno: rassegnarsi passivamente al potere. La libertà è l’equilibrio tra autonomia e lealtà, tra governare ed essere governati.

La repubblica romana (509 a.C. e il 27 a.C.) porta ancora qualche traccia del sistema di sorteggio ateniese, che però cade in disuso in epoca imperiale. Bisogna attendere il Medioevo e lo sviluppo dei Comuni dell’Italia settentrionale perché questa procedura conosca un rinnovato interesse. Si vedono degli esempi precoci a Bologna (1245), a Vicenza (1264), a Novara (1287) e a Pisa (1302) ma è nelle due grandi città del Rinascimento, Venezia (1265) e Firenze (1328), che il fenomeno è meglio documentato.

Le democrazie rappresentative aleatorie sono delle forme di governo indiretto, dove la distinzione tra governanti e governati sopraggiunge attraverso il sorteggio e non l’elezione. La storia politica dell’Europa occidentale è più ricca di regimi di questo tipo di quanto si possa comunemente credere.

* * *

Nota a piè di pagina:

Per completezza d’informazione c’è da segnalare che in Parlamento si trovano ancora persone intellettualmente oneste, anche se bisogna constatare che esse non hanno molta fortuna.

Infatti, nella XVII legislatura alla Camera dei Deputati, il 10 novembre 2015, per iniziativa dei deputati Marcon, Zanin, Sberna, Scotto, Melilla, Airaudo, Duranti, Costantino e Paglia, fu depositata la Proposta di Legge n. 3416: “Disposizioni per l’attribuzione di incarichi pubblici mediante sorteggio”.

[ ttps://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=17PDL0037120 ]. Tale proposta, mai discussa, con lo scadere della XVII legislatura, il 22 marzo 2018, è stata archiviata.

Per superare l’attuale allontanamento popolare nei confronti della partitocrazia alcuni membri dell’Accademia degli Uniti hanno scritto più volte sui vantaggi del Sorteggio dei pubblici amministratori. Una ricerca su Internet alla voce Sorteggio, offrirà fonti e autori in numero sorprendente.

Alcuni lettori hanno avanzato perplessità e legittimi interrogativi.

Pur senza avere la pretesa d’aver una risposta per ogni dubbio o quesito, di seguito segnaliamo una serie di articoli che rispondono a più obiezioni:

2018

3 Aprile 2018Sorteggio, alternativa democratica alle elezioni

https://www.vicenzareport.it/2018/04/sorteggio-alternativa-democratica-elezioni/

25 Novembre 2018Perché non sorteggiare una classe dirigente?

https://www.vicenzareport.it/2018/11/sorteggiare-classe-dirigente/

2019

25 Marzo 2019Sulle riforme c’è poca gara d’intelletti

https://www.vicenzareport.it/2019/03/sulle-riforme-ce-poca-gara-dintelletti/

8 Aprile 2019Interviste impossibili. Heidi, il nonno e la Res Publica

https://www.vicenzareport.it/2019/04/interviste-impossibili-heidi-il-nonno-e-la-res-publica/

29 Aprile 2019Elezioni? In democrazia c’è anche il sorteggio

https://www.vicenzareport.it/2019/04/elezioni-democrazia-sorteggio/

8 Luglio 2019Le due democrazie. Chi non vuole la diretta?

https://www.vicenzareport.it/2019/07/le-due-democrazie-chi-non-vuole-la-diretta/

12 Novembre 2019W il partito dei veneti… ma anche no!

https://www.vicenzareport.it/2019/11/w-il-partito-dei-veneti-ma-anche-no/

18 Novembre 2019È il sistema che dobbiamo cambiare

https://www.vicenzareport.it/2019/11/e-il-sistema-che-dobbiamo-cambiare/

25 Novembre 2019Un collasso può cambiare l’Italia

https://www.vicenzareport.it/2019/11/collasso-puo-cambiare-italia/

2 Dicembre 2019“Houston, abbiamo avuto un problema”

https://www.vicenzareport.it/2019/12/houston-abbiamo-avuto-un-problema/

2020

2 Gennaio 2020Le critiche fanno male a chiunque

https://www.vicenzareport.it/2020/01/le-critiche-fanno-male-a-chiunque/

7 Gennaio 2020Il Veneto ha problemi seri. Servono persone serie

https://www.vicenzareport.it/2020/01/il-veneto-ha-problemi-seri-servono-persone-serie/

21 Gennaio 2020Elezioni, niente fa selezione come la delusione

https://www.vicenzareport.it/2020/01/elezioni-niente-fa-selezione-come-la-delusione/

27 Gennaio 2020Referendum spada di Damocle per i politicanti

https://www.vicenzareport.it/2020/01/referendum-spada-di-damocle-per-i-politicanti/

24 Febbraio 2020Un vero leader non cerca il consenso, lo crea

https://www.vicenzareport.it/2020/02/un-vero-leader-non-cerca-il-consenso-lo-crea/

19 Marzo 2020Senza partecipazione non c’è soddisfazione

https://www.vicenzareport.it/2020/03/senza-partecipazione-non-ce-soddisfazione/

23 Marzo 2020E se governassero 100 cittadini sorteggiati?

https://www.vicenzareport.it/2020/03/e-se-governassero-100-cittadini-sorteggiati/

2022

7 Marzo 2022 Colui che dipende dall’autorità tiene d’occhio se stesso.

13 Giugno 2022Quando il gatto non c’è i topi ballano

https://www.vicenzareport.it/2022/06/quando-il-gatto-non-ce-i-topi-ballano/

27 Giugno 2022Non avere la verità in tasca, ma la libertà in mente

https://www.vicenzareport.it/2022/06/non-avere-la-verita-in-tasca-ma-la-liberta-in-mente/

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Elezioni: è decisivo ribaltare la politica di Draghi

In evidenza

Succede una cosa strana con la democrazia: tutti sembrano aspirarvi, ma nessuno ci crede più. Basta consultare le statistiche internazionali per constatare che sempre più gente dichiara di essere a favore di questa forma di governo. Il World Values Survey [ https://www.worldvaluessurvey.org/wvs.jsp ], un programma di ricerca internazionale su vasta scala, ha intervistato negli ultimi anni più di 73.000 persone, in 57 paesi diversi, per un totale che rappresenta quasi l’85% della popolazione mondiale. Alla domanda se la democrazia sia un buon metodo per governare il loro paese, non meno del 91,6% delle persone interrogate ha risposto affermativamente. La percentuale della popolazione mondiale favorevole al concetto di democrazia non è mai stata così elevata come ai giorni nostri.

Tuttavia gli italiani che credono poco alla loro democrazia, probabilmente hanno solide ragioni: «Tra i paesi dell’Europa Occidentale l’Italia aveva uno dei legami più forti con la Russia. La missione di Draghi è stata quella di rompere questo schema, riposizionando l’Italia nei confronti della Russia»; lo scrive il New York Times. Draghi ha non solo trasformato l’Italia in paese belligerante contro la Russia, inviando armi e istruttori alle forze ucraine, ma ha promosso le sanzioni contro la Banca centrale russa e l’ammissione dell’Ucraina nella UE. Per questi e altri “meriti” l’autorevole rivista USA Fortune include Mario Draghi tra “i 50 più grandi leader del mondo”.

I risultati della “missione” che Draghi ha compiuto con la totale complicità del Parlamento fanno sprofondare l’Italia in una crisi senza precedenti: mentre il prezzo del gas (in seguito alle politiche anti-russe) è salito da 15 a 200 euro al megawattora, l’Italia ha accumulato un livello tale di passività che – scrive la rivista statunitense Fortune«il costo del prestito per l’Italia è diventato proibitivo, salendo a livelli insostenibili». La crisi italiana è analoga a quella in cui sprofondò la Grecia. [ https://www.ambienteweb.org/2022/08/01/manlio-dinucci-draghi-missione-compiuta/ ]

Intanto in Ucraina c’è una corsa al denaro sporco ancora in corso, e negli ultimi mesi ha preso velocità a causa della fornitura corrotta di armi e sostegno finanziario dell’Occidente al governo ucraino. Ansiosi di trarre profitto da queste consegne, gli Stati Uniti, evidentemente deliberatamente, stanno sprecando i fondi destinati alle forze armate ucraine e chiudendo un occhio sulla scomparsa di armi, munizioni e materiale militare. La stessa cosa è accaduta in Iraq e in Afghanistan, ma gli Stati Uniti non hanno fatto alcuno sforzo per cambiare i loro sistemi di “supporto militare”, poiché alcuni gruppi hanno un chiaro interesse finanziario nella situazione attuale.

In questo contesto, vale la pena ricordare che, secondo le stime degli addetti ai lavori, gli Stati Uniti hanno “investito” circa 2,5 trilioni (1 trilione equivale un miliardo di miliardi) di dollari in Afghanistan, di cui 80 miliardi di dollari sono stati spesi per le armi. Tuttavia, secondo molti esperti, la maggior parte di questo denaro è stato sprecato, con solo il 10-15% che ha raggiunto la destinazione prevista.

I produttori di armi occidentali, che stanno guadagnando miliardi di dollari in questa nuova corsa all’oro, si stanno affrettando a incassare il boom delle vendite causato dall’operazione speciale della Russia in Ucraina. Secondo gli esperti citati in un recente

[https://web.archive.org/web/20220504054636/https://www.independent.co.uk/news/world/europe/ukraine-war-weapons-arms-russia-b2061662.html ] articolo del quotidiano britannico The Independent, la guerra in Ucraina rischia di tradursi in un’Europa sempre più militarizzata.

Gli Stati Uniti e altre nazioni occidentali hanno già fornito all’Ucraina grandi quantità di finanziamenti per l’acquisto di nuove armi. Negli ultimi sei mesi le azioni del produttore aerospaziale Raytheon Technologies e di altre società di difesa sono aumentate di valore. Queste compagnie hanno rappresentanti che siedono alle riunioni segrete del Pentagono per tenersi al passo con il potenziale profitto da ottenere dall’Ucraina con la determinazione del presidente Volodymir Zelenskyy a ottenere più armi per la lotta contro la Russia.

Volodymir Zelenskyy

Molti dei partecipanti agli schemi corrotti per fornire armi all’Ucraina stanno anche vedendo un aumento del loro patrimonio netto. Ad esempio, l’ex deputato della ‘Consiglio Supremo dell’Ucraina’: Ilya Kiva, ha recentemente pubblicato un articolo sui profitti di Zelenskyy [ https://web.archive.org/web/20220429092229/https://t.me/The_Kyva/1802 Sui conti del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky in Costa Rica nella banca Dresdner Bank Lateinamerika ha accumulato poco più di $ 1,2 miliardi per due anni e mezzo di governo del paese.‎”…] e molti dei suoi associati ucraini stanno guadagnando dalla situazione attuale. Si sostiene che il presidente ucraino, che aveva appena un centesimo a suo nome quando è stato eletto due anni fa, ora ha una fortuna come su indicato e possiede una villa a Miami.

L’operazione militare speciale della Russia in Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, ha cambiato radicalmente la mappa politica globale come nessun altro conflitto militare nel 21° secolo. Ha fatto sì che tutte le potenze mondiali ridefinissero il loro atteggiamento nei confronti di Mosca come uno dei principali poli militari, politici e di potere del mondo di oggi.

Le nazioni occidentali che si sono apertamente concentrate sulla distruzione della Russia, non solo sull’indebolimento dei leader russi, hanno approfittato di questa situazione e hanno usato la loro superiorità globale nel dominio dei media per demonizzare Mosca e la sua leadership. Speravano che una pressione informativa senza precedenti avrebbe permesso agli Stati Uniti e ai loro satelliti di isolare rapidamente la Russia nell’arena internazionale, il resto sarebbe stato presumibilmente finito dalle sanzioni imposte che sono davvero senza precedenti nella storia dell’umanità.

Ciò nonostante non tutti i paesi hanno creduto alla protesta isterica sugli “aggressori russi” che “hanno violato tutte le norme immaginabili del diritto internazionale”. Gli Stati africani sono tra coloro che non credono alle nazioni occidentali, poiché rappresentano quasi il 50% di coloro che si rifiutavano di incolpare di tutto la Russia e la sua leadership.

Per comprenderne la disposizione, basta guardare i risultati delle votazioni durante l’11a sessione speciale di emergenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (GA) dedicata all’adozione di tre risoluzioni anti-russe (3 marzo 2022 – “Aggressione contro l’Ucraina”. 24 marzo – “Conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina”. 7 aprile – “Sospensione dei diritti della Federazione Russa associati alla sua appartenenza al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite”).

Per quanto riguarda la prima risoluzione, su 55 paesi che non hanno votato positivamente, 26 sono paesi africani. Solo un paese ha votato contro – l’Eritrea. 17 Stati africani si sono astenuti dal voto e 8 Stati semplicemente non hanno partecipato al voto. Ma ci sono stati anche paesi che hanno sostenuto la condanna della Russia. L’Occidente è riuscito a raccogliere il sostegno di 28 di questi paesi, di cui solo Egitto, Nigeria e Kenya possono essere considerati influenti. Solo Ghana, Kenya, Costa d’Avorio e Nigeria hanno condannato le azioni della Russia nelle loro dichiarazioni ufficiali che sono seguite durante o dopo il voto. La richiesta di un rapido cessate il fuoco è stata inclusa in una dichiarazione congiunta rilasciata da Macky Sall, presidente del Senegal, e Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione africana (AUC).

Il politologo Valery Kulikov, nella rivista online New Eastern Outlook, rincara la dose:

«Alla luce della situazione sopra descritta, molti sia negli Stati Uniti che all’estero chiedono indagini sugli schemi corrotti utilizzati dall’attuale establishment militare e politico e sulle sue attività in Ucraina. Ad esempio, Tucker Carlson, conduttore di Fox News, ha criticato la decisione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di inviare tutta l’assistenza possibile in Ucraina e ha insistito sulla necessità di effettuare audit dei conti bancari detenuti dal presidente Zelenskyy, tra gli altri. Ha anche accusato la Casa Bianca di stampare denaro da inviare a Kiev in un momento in cui gli Stati Uniti sono alle prese con la più alta inflazione degli ultimi anni. Secondo i rapporti, il regime di Kiev ha ricevuto più di un miliardo di dollari nell’arco di una settimana!»

Quindi, se le “forze della democrazia” negli Stati Uniti sono fedeli alle loro promesse, allora nel prossimo futuro possiamo tutti aspettarci di vedere alcune rivelazioni drammatiche riguardanti la famiglia Biden, i loro amici in patria e in Ucraina e alti funzionari dell’UE.

Non bastasse, Brian Berletic (ricercatore e scrittore di geopolitica con sede a Bangkok, il 7.09.2021 scrive per la rivista online New Eastern Outlook) sui piani di guerra degli Stati Uniti contro la Cina che stanno prendendo forma

[ https://web.archive.org/web/20220429035113/https:/journal-neo.org/2021/09/27/us-war-plans-with-china-taking-shape/ ]

Si ricollega a un documento del 2016 della RAND Corporation intitolato “Guerra con la Cina: pensare attraverso l’impensabile” commissionato dall’Ufficio del Sottosegretario dell’Esercito e realizzato dal Programma strategia, dottrina del Rand Arroyo Center. [https://web.archive.org/web/20220503212236/https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR1100/RR1140/RAND_RR1140.pdf ]. Il rapporto rileva che il RAND Arroyo Center fa parte della RAND Corporation ed è un centro di ricerca e sviluppo finanziato a livello federale e sponsorizzato dall’esercito degli Stati Uniti. Rileva in particolare l’impatto sul commercio cinese che un conflitto convenzionale limitato all’Asia orientale avrebbe. Il rapporto rileva:

«… mentre gli Stati Uniti hanno sensori sofisticati per distinguere gli obiettivi militari da quelli non militari, durante la guerra si concentreranno sulla ricerca e il monitoraggio dei primi; inoltre, l’ISR cinese è meno sofisticato e discriminante, soprattutto a distanza. Ciò suggerisce uno spazio aereo e marittimo molto pericolosi, che forse vanno dal Mar Giallo al Mar Cinese Meridionale. Supponendo che le imprese commerciali non cinesi preferiscano perdere entrate rispetto alle navi o agli aerei, gli Stati Uniti non avrebbero bisogno di usare la forza per fermare il commercio da e verso la Cina. La Cina perderebbe una notevole quantità di commercio che sarebbe necessaria per transitare nella zona di guerra. Gli Stati Uniti che minacciano espressamente la navigazione commerciale sarebbero provocatori, pericolosi e in gran parte inutili. Quindi non poniamo alcun blocco degli Stati Uniti, in quanto tale.»

A pagina 67 del documento PDF, la RAND include una rappresentazione grafica delle perdite di PIL previste dalla Cina rispetto agli Stati Uniti, dando un motivo convincente per gli Stati Uniti per condurre una guerra nella quale sanno che subiranno pesanti perdite militari in mezzo, ma emergeranno economicamente più forti di una Cina che altrimenti, salvo un tale conflitto, supererà gli Stati Uniti in questa finestra di opportunità.

In tal modo Washington, sta tentando di creare le condizioni in cui le previsioni RAND della devastazione economica della Cina a seguito di un conflitto convenzionale confinato in Asia orientale possano essere trasformate in realtà.

Per quanto concerne la preoccupazione del Pentagono riguardo all’ipotesi che gli americani possano conquistare la Cina senza l’uso di armi nucleari, se tali armi vengono impiegate, la metastrategia del governo degli Stati Uniti “Nuclear Primacy” dice che ci sono livelli “accettabili” di distruzione dell’America in una guerra nucleare contro la Russia e/o la Cina, purché l’America “ne esca vincitrice” a livello globale.

La dottrina del Pentagono non dice quante città americane e quanti milioni di americani rientrano nei “livelli accettabili di distruzione”. Ma è sufficiente a dimostrare che gli americani sono considerati dai loro governanti come carne da macello.

Un altro segnale preoccupante proviene dal Pentagono che ha ristrutturato un intero ramo delle forze armate statunitensi. Il Corpo dei Marines per combattere specificamente una singola nazione (Cina), in una regione molto specifica (Asia orientale), con tattiche molto specifiche (chiusura degli stretti utilizzati per la navigazione commerciale).

Lo si rileva da un articolo di Defense News del 2020 intitolato “Ecco il piano del Corpo dei Marines degli Stati Uniti per affondare le navi cinesi con lanciamissili droni

[ https://www.defensenews.com/naval/2020/02/12/heres-the-us-marine-corps-plan-for-sinking-chinese-ships-with-drone-missile-launchers/ ]:

«Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti sta entrando nel business dell’eliminazione di navi, e un nuovo progetto in fase di sviluppo mira a trasformare in realtà i loro sogni della Marina sull’Esercito Di Liberazione del Popolo.» L’articolo ha anche notato: «Il capo del settore sviluppo del Corpo dei Marines, il tenente generale Eric Smith, ha detto ai giornalisti l’anno scorso durante la Expeditionary Warfare Conference che i Marines vogliono combattere su un terreno di loro scelta e poi manovrare prima che le forze possano concentrarsi contro di loro. Sono mobili e piccoli, non stanno cercando di afferrare un pezzo di terra e sedersi su di esso», ha detto Smith delle sue unità Marines. «Non sto cercando di bloccare uno stretto in modo permanente. Sto cercando di manovrare. Il concetto tedesco è ‘Schwerpunkt’, ovvero si sta applicando la quantità appropriata di pressione e forza nel momento e nel luogo di nostra scelta per ottenere il massimo effetto.»

Carro anfibio leggero (LAT) SPRUT-SDM1

Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti ha già dismesso tutti i suoi principali carri armati anfibi come parte di questa ristrutturazione che ha richiesto meno di un anno [ https://web.archive.org/web/20220511023439/https://www.marinecorpstimes.com/news/your-marine-corps/2021/03/22/goodbye-tanks-how-the-marine-corps-will-change-and-what-it-will-lose-by-ditching-its-armor/ ], a significare l’urgenza dei preparativi statunitensi.

Gli Stati Uniti porterebbero le loro navi in stretti commerciali affollati e creerebbero un ambiente che paralizzerebbe il commercio tra la Cina e il resto del mondo ottenendo così un pesante impatto sull’economia cinese.

Ciò premesso, come non vedere in quest’ottica la “provocatoria” visita del 2 agosto 2022, della Presidente della Camera USA: Nancy Pelosi a Taiwan, nonostante Pechino abbia espresso attivamente e passivamente la propria contrarietà a tale viaggio. Una mossa che ha intensificato le tensioni tra Pechino e Washington.

Nessuna delle più alte cariche degli Stati Uniti d’America aveva messo piede a Taiwan negli ultimi 25 anni. L’incremento della tensione tra Cina ed Usa ha avuto ripercussioni anche sui mercati con le borse asiatiche tutte in deciso calo. L’indice Composite di Shanghai cede il 2,26% mentre quello di Shenzhen arretra di quasi il 3%. La borsa di Taiwan scende del 2%, quella di Hong Kong del 2,6%. Tokyo a meno 1,4%. Mosca accusa: “Mossa provocatoria”

La Cina ha immediatamente condannato la visita di Pelosi, promettendo che “coloro che giocano con il fuoco periranno a causa di esso“, e ha annunciato nuove esercitazioni militari intorno a Taiwan. La visita rappresenta una “grave violazione” che “viola seriamente la sovranità e l’integrità territoriale della Cina“, ha detto il ministero degli Esteri cinese in una dichiarazione martedì 2 agosto dopo il suo arrivo della Pelosi a Taipei.

Le autorità cinesi, il 1° agosto, in occasione della commemorazione del 95° anniversario della fondazione dell’Esercito popolare di liberazione, hanno avviato esercitazioni militari che hanno ripetutamente eseguito mosse tattiche basate sul raggiungimento della linea di divisione sita nello stretto di Formosa (o stretto di Taiwan), per fare poi ritorno alle posizioni di partenza.

USS Ronald Reagan

Parallelamente quattro navi da guerra statunitensi erano state posizionate al largo di Taiwan, come riferiscono fonti del Pentagono a Fox news. Mentre nel Mar delle Filippine stazionavano la portaerei USS Ronald Reagan, assieme all’incrociatore missilistico USS Antietam e al cacciatorpediniere USS Higgins. Insomma, c’erano tutte le premesse per l’inizio della terza guerra mondiale?

Tornando al paese di Arlecchino e Pulcinella, se Dragi, come osservato, è uno strumento di potere del gotha finanziario che, attraverso la politica delle “porte girevoli”, piazza i suoi uomini in cariche istituzionali chiave; con un Ministro degli esteri inadeguato come Luigi Di Maio, e una stampa mainstream che su queste tematiche poco informa; la crisi italiana della democrazia è analoga a quella in cui sprofondò la Grecia, perdendo con il “pacchetto di salvataggio” dell’UE ciò che restava del patrimonio pubblico. La situazione è aggravata dalla svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro, che accresce il costo delle importazioni. È quindi decisivo ribaltare la politica che Draghi ha perseguito e di chi alle prossime elezioni del 25 settembre chiede il voto per proseguirla.

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro 

Peggio di togliere il diritto di voto? Togliere la voglia di votare!

In evidenza

Questo intervento vuole avere le sembianze d’una lettera aperta indirizzata all’«uomo qualunque». Quell’elettore medio che non aderisce a nessun partito. Quindi non aspira al parassitismo come chi vive di rendite politiche. Quel cittadino che crede suo dovere civico andare a votare anche se nessun candidato o programma politico lo convince.

  • Votare perché il voto è un diritto e un dovere?
  • A votare turandosi il naso, “perché è tutto uno schifo”?
  • Disertare le urne, perché “tanto non cambia niente”?
  • La rabbia e la disillusione verso la politica accrescono il numero degli indecisi?
  • E allora, cosa fare?

L’astensione «non è accettabile sul piano etico e sociale. Il voto è l’arma del popolo sovrano, partecipare al voto è un dovere del cittadino. Si voti come si vuole, ma si voti […] Uno scontento dei cittadini su cui il potere politico dovrebbe fare di più, non è una giustificazione» al non voto. Il copyright, come tutti ricordano, è di Indro Montanelli. Tuttavia la competizione elettorale è la continuazione del tifo sportivo con altri mezzi (Ario Libert: pensieri elettorali).

Ci limiteremo quindi a delle constatazioni. Ovviamente, libero ogni lettore di seguire la propria coscienza.

In primo luogo quante volte la partitocrazia ha disatteso la Costituzione (mai confermata dal cosiddetto popolo sovrano. Chi è curioso può leggere in chiusura di quest’articolo: https://www.vicenzareport.it/2018/12/lincarico-del-potere-pubblico-ai-rappresentanti/ una lista incompleta di Costituzioni che, al contrario, sono state approvate dal popolo sovrano), e quante volte i “rappresentanti” che siedono nelle istituzioni hanno trascurato, trasgredito, disatteso il voto deliberativo di un referendum popolare? C’è qualcuno disponibile a fare un elenco?

È già partita la campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre. Come da attese è iniziata la fiera delle promesse a suon di aumenti di spesa pubblica, ovviamente senza indicare le fonti di finanziamento e, anzi, promettendo tagli di tasse. Gli imbecilli sono talmente tanti che qualsiasi politico, nei suoi programmi elettorali, si rivolge prima a loro.

Silvio Berlusconi, che salvo errori e omissioni è alla sua ottava campagna elettorale per le elezioni politiche, reitera la promessa di portare a 1000 euro mensili le pensioni che attualmente sono al di sotto di tale soglia. Una proposta per la verità non nuova, che potrebbe costare, secondo quanto si legge sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”, fino a 18 miliardi, e che andrebbe a vantaggio soprattutto di donne e meridionali. A Berlusconi e ai suoi avversari politici si potrebbe replicare: «Dice che, dopo il voto, taglia le tasse? Allora lo votiamo dopo le elezioni!»

Dopo la debacle dei “qualunquisti” del M5S che volevano “aprire il Parlamento come una scatoletta di Tonno”, non tutti ricordano che la citazione è presa dal discorso di Abramo Lincoln a Clinton nel 1858, con il quale esordì nel suo: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre.», e così ora è ritornato il tempo dei “professionisti” della politica. A parere di Robert Sabatier [ https://en.wikipedia.org/wiki/Robert_Sabatier ] c’è un’azione peggiore di quella di togliere il diritto di voto al cittadino, essa consiste nel togliergli la voglia di votare.

I tempi stretti della presentazione delle liste dei candidati sono lì a dimostrare che lo spazio per i neofiti della politica è stato eliminato. Tutto è giocato sulle coalizioni partitiche che nel tempo hanno dimostrato la loro instabilità e ingovernabilità. Insomma, è come se un sempliciotto volesse sedere a un tavolo di poker già straripante di lestofanti.

Come giudicare il decreto-legge 41/2022 che ha inserito, il 30 giugno 2022, prima che si parlasse di crisi, una disposizione che esenta dalla raccolta delle firme per la presentazione delle candidature tutti i partiti o gruppi politici già costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due camere alla data del 31 dicembre 2021 (non all’inizio della legislatura, com’era prima)? Insomma chi beneficia di questa norma sono sicuramente i partitucoli del Signor Renzi e del Signor Lupi. Lo scopo della sceneggiata della crisi è quindi chiaro e trasparente: la casta politica, colta dal timore che l’esasperazione dei cittadini possa portare al potere alle prossime elezioni forze politiche nuove e contrarie all’establishment, ha fatto in modo che il prossimo parlamento sia composto dai soliti noti.

La “costituzione più bella del mondo” all’atto pratico ha norme inutilmente vessatorie e burocratiche per presentarsi alle elezioni. Regole fatte a bella posta per scoraggiare qualsiasi partecipazione ampia e popolare alle consultazioni elettorali. Raccogliere firme, depositarle, selezionare i candidati e presentarsi agli elettori durante il mese di agosto diventa un compito pressoché impossibile con il bel risultato che le forze di protesta non avranno quasi alcuna possibilità di riuscire ad ottenere qualche seggio.

Illusoria, poi, è l’idea che il Parlamento sia responsabile dell’approvazione delle leggi visto che l’iniziativa legislativa è saldamente in mano al governo che ama esercitarla mediante la presentazione al parlamento di decreti-legge da approvare a scatola chiusa con il voto di fiducia. Insomma, i rappresentanti del popolo sono in realtà una vana assemblea chiamata periodicamente a dire di sì al governo. Chi veramente detiene il potere in Italia sono il Presidente della repubblica e il Presidente del consiglio.

La legge elettorale poi è una solenne schifezza piena di trucchi e trucchetti. Essa non restituisce affatto ai cittadini il diritto di eleggere i propri parlamentari. Non favorisce la governabilità. Accresce lo spaesamento politico dei candidati e provoca la rottura di qualunque rapporto con il territorio.

Alexis de Tocqueville (La Democrazia in America) scriveva: «Ci sono molti uomini di sani principi in entrambi i partiti in America, ma non c’è nessun partito di sani principi.»

Ora, preso atto che scriviamo in un blog veneto, prenderemo in considerazione l’area indipendentista di questa Regione dove si può osservare una galassia di formazioni: il Partito dei Veneti, Indipendenza Veneta, Prima il Veneto, Veneto Autonomo, Rete 22 Ottobre, Siamo Veneto, Gruppo Chiavegato, Veneto Stato, e altri ancora.

Tutti costoro dichiarano di battersi per l’indipendenza e l’autodeterminazione di quelli che furono i territori dell’antica Repubblica di Venezia. Solo quelli siti nello Stato italiano o anche oltre confine? E poi quasi nessuno di essi arriva a definire un progetto istituzionale credibile e condiviso. Ovvero:

  • Che aspetto assumerà questa nuova entità istituzionale?
  • Che tipo di governabilità verrà adottata?
  • La classe politica potrà riversare sui cittadini migliaia e migliaia di regole il cui unico risultato sarà quello di paralizzare il paese, opprimere la libertà e peggiorare la vita di tutti com’è attualmente in Italia?
  • Sarà prevista l’eliminazione del potere di iniziativa legislativa del governo?
  • L’eliminazione del voto di fiducia ancorato all’approvazione di una legge?
  • L’eliminazione di tutte le norme sul segreto di stato?
  • Il divieto per i magistrati di svolgere qualsiasi incarico extragiudiziale per evitare che i Consiglieri dei TAR e del Consiglio di Stato finiscano a fare i capi di gabinetto delle amministrazioni che devono giudicare?
  • Sarà prevista la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e inquirenti?
  • E l’abolizione di qualsiasi norma che limiti la responsabilità patrimoniale dei magistrati per i danni compiuti nell’esercizio delle loro funzioni?
  • La chiusura di tutti i programmi di digitalizzazione e transizione ecologica?
  • Sarà prevista l’uscita dalla Nato, dall’Oms, e dall’Unione Europea, oppure no?

Questi indipendentisti sembrano zampillare da una definizione di Henry Louis Mencken (1880-1956. Un giornalista, saggista, satirico, e critico culturale) laddove scriveva: «In democrazia, un partito dedica sempre il grosso delle proprie energie a cercare di dimostrare che l’altro partito è inadatto a governare; e in genere tutti e due ci riescono, e hanno ragione.»

Forse qualcosa di nuovo e di buono potrà uscire dalla “Nuova costituente”. Il tema è trattato qui: https://www.vicenzareport.it/2022/07/autodeterminazione-si-pero/

Ma al momento non abbiamo nulla a cui aggrapparci se non le parole di Platone (La Repubblica): «L’umanità non potrà mai vedere la fine dei guai fino a quando gli amanti della saggezza non deterranno il potere politico, o i detentori del potere non diventeranno amanti della saggezza.»

In conclusione: Forza! C’è riuscito anche quel pezzo di legno di Pinocchio… riusciranno i nostri “eroi” a far sì che gli italiani possano vivere meglio o i veneti raggiungano l’autodeterminazione?

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro 

 

Quando i lupi urlano, urla con loro.

In evidenza

Bisogna osare dire la verità al potere. È il mestiere dei giornalisti, e degli scrittori. Non lo diciamo solo noi; prendiamo a prestito queste parole da Russell Banks, uno scrittore americano meglio conosciuto per i suoi “resoconti dettagliati dei conflitti interni e delle lotte quotidiane di personaggi ordinari spesso emarginati”.

Il principio di autodeterminazione fu solennemente enunciato da Woodrow Wilson – 28° Presidente degli Stati Uniti – in occasione del Trattato di Versailles (1919) che avrebbe dovuto fungere da linea guida per il tracciamento dei nuovi confini, ma in realtà fu applicato in modo discontinuo e arbitrario, contribuendo non poco alla graduale destabilizzazione e al definitivo sovvertimento dell’ordine di Versailles.

Woodrow Wilson
28° Presidente degli Stati Uniti

Thomas Woodrow Wilson era un ex professore di Scienze politiche rieletto per la seconda volta nelle elezioni del 1916. L’idealismo di Wilson ha le sue basi nella consapevolezza del ruolo decisivo svolto dagli Stati Uniti per la vittoria degli alleati e per la fine della guerra. Ciò lo spinge a credere che possa indirizzare le decisioni di Francia e Gran Bretagna (al solito l’Italia non è protagonista) verso la realizzazione di una pace giusta e democratica che richiami i princìpi della sua nuova diplomazia enunciati nei 14 punti. Tutti i buoni propositi di Wilson si scontrano, però, con la decisa volontà dei vincitori di imporre alla Germania una pace punitiva e umiliante.

Trascorrono 35 anni, e a ‎Dien Bien Phu (una‎città di medie dimensioni situata nel nord-ovest del Vietnam‎‎) inizia un declino inarrestabile. La località è nota per essere teatro della battaglia tra il Viet Minh e le forze francesi. Significò la fine della guerra d’Indocina (7 Maggio 1954), che avrebbe portato alla formazione del Vietnam del Nord e del Vietnam del Sud; ma soprattutto l’inizio della decolonizzazione iniziata molto prima‎.

Ore 17 del 7 Maggio 1954.
La bandiera del Viet Minh sventola
sul quartier generale francese
a Diem Bien Phu.

A ‎Dien Bien Phu, per la prima volta una forza armata autoctona sconfigge l’esercito del “grande padrone bianco”. Da quella data passeranno all’incirca 20 anni, e con il dissolvimento dell’Union française, e la trasformazione del Commonwealth britannico emergerà il neo colonialismo yankee con la sua esportazione della democrazia, che era l’obiettivo dichiarato di Woodrow Wilson sin dalle origini. Una forma moderna di colonialismo secondo la quale le vecchie potenze coloniali del mondo, o le nuove nazioni egemoniche, esercitano un’influenza decisiva in materia economica, politica e culturale su altre nazioni indipendenti o decolonizzate.

Panoramica europea dei paesi che aspirano all’indipendenza

In Italia, fu Umberto Bossi a riproporre la questione dell’indipendenza dei popoli padani; ma sappiamo tutti come il Senatùr era bravo ad arringare i suoi militanti, ma meno efficace a raggiungere i traguardi che si prefiggeva. Il Prof. Gianfranco Miglio pensava d’aver trovato lo strumento per il federalismo; ma si rese presto conto dell’abbaglio.

E a questo punto è utile analizzare la figura dell’intellettuale. Il noto linguista e storico bulgaro Tzvetan Todorov da’ una definizione significativa su che cos’è: «Per parte mia limito l’uso di questa parola nel modo seguente: è uno studioso o un’artista (categoria che include anche gli scrittori) che non si accontenta di fare opere scientifiche o di creare opere d’arte, di contribuire dunque al progresso della verità o allo sviluppo del bello, ma che si sente anche toccato dal problema del bene pubblico. Dei valori della società in cui vive e che partecipa quindi al dibattito su quei valori. L’intellettuale, secondo questa definizione, si situa a uguale distanza dall’artista o dallo studioso che non si preoccupa della dimensione politica ed etica del suo lavoro, come dal politico e dal propagandista di professione, che non produce alcuna opera.»

Questa lunga premessa per inquadrare il fatto che attualmente sono solo 5 o 6 gli intellettuali e cattedratici italiani dichiaratamente indipendentisti, a fronte di una popolazione sempre più numerosa che chiede l’autodeterminazione, ed in attesa di meglio si sarebbe accontentata dell’autonomia per mezzo di un referendum tenutosi il 22 ottobre 2017, a tutt’oggi disatteso da tutti i partiti presenti in Parlamento.

Charles Wright Mills (1916-1962) è stato un sociologo statunitense, che confessava come la vocazione politica degli intellettuali risiede nello smascheramento delle bugie che sostengono il potere irresponsabile.

Sarà anche vero, ma uno dei 5 o 6 intellettuali indipendentisti sopra indicati, si lasciò andare a fare il ghost writer per un rappresentante politico dalla moralità deviata. Václav Havel (1936-2011) drammaturgo, scrittore e primo presidente della Repubblica Ceca, ammoniva: «C’è sempre qualcosa di sospetto in un intellettuale che sta dalla parte dei vincitori.» Un altro oltre ad avere una cattedra in Lombardia, passa molto del suo tempo a insegnare in stage in giro per il mondo. Costui s’era dedicato alla stesura di un’ipotesi politico-istituzionale, ma giunto alla fase finale mise tutto in un cassetto, e non ne parlò più.

Altri due intellettuali indipendentisti furono inutilmente “inseguiti” per conferenze e dibattiti al fine di stimolarli alla redazione di progetto di costruzione politica. Ma solo di recente si sono attivati nel varo di una «Nuova Costituente», a difesa dei territori, scrivendo: «Come dopo il ‘45, abbiamo allora bisogno di sottoscrivere un nuovo patto: stavolta, però, tra le comunità territoriali, che hanno esigenze diverse e vanno tutte rispettate (il federalismo tanto caro a G.F. Miglio. Ndr). Per lasciarsi alle spalle questo Stato espropriatore, dobbiamo costruire istituzioni all’altezza dei tempi e in concorrenza tra loro, che tutelino davvero le libertà degli individui. Tutto deve essere sottoposto al vaglio popolare e le nuove regole dovranno essere votate dalle varie popolazioni (la democrazia diretta, quale equilibratrice di quella rappresentativa. Ndr), che non potranno mai più essere maltrattate dal Palazzo, com’è avvenuto in tutti questi decenni di falsa democrazia.»

Noi vogliamo credere alla bontà di questi enunciati, ma la nostra lunga esperienza ci dice che, per esempio, la Costituente italiana che operò tra 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948, era composta da 556 saggi deputati che si dilungarono in mesi di infruttuose discussioni, per poi delegare alla famosa Commissione dei 75, che si contrasse al Comitato dei 18 il quale materialmente stilò l’imperfetto testo entrato in vigore il 1º gennaio 1948.

Orbene, dalle dichiarazioni pubbliche dell’Intelligencija di «Nuova Costituente», non pochi osservatori temono il ripetersi delle problematiche del 1946/48. Motivo per cui detti aspiranti a un nuovo organismo, preferirebbero caldeggiare la stesura di una bozza o ipotesi, sulla quale l’Assemblea verrebbe chiamata a modifiche, implementazioni, e quant’altro necessario, prima di divulgare il prodotto finito all’opinione pubblica; grosso modo dichiarando: «Se domani mattina entrassimo nella stanza dei bottoni, questa è la nostra strategia; questi i nostri obiettivi.»

Non bastasse, c’è un’altra esperienza poco rassicurante in quest’ambito. La Carta Europea delle Autonomie Locali fu fatta propria dall’Italia con la Legge 142/1990. Attraverso tale dispositivo (e successive modificazioni) gli Enti Locali, tra l’altro dovevano dotarsi di uno Statuto. L’equivalente d’una piccola Costituzione per Comuni, Province e Regioni. Tale Statuto, in palese conflitto d’interessi ancor oggi viene redatto, implementato, e modificato a cura dei rispettivi Consigli comunali, provinciali, regionali.

Ma Quis custodiet ipsos custodes? Nessuno! I rappresentanti stilano ciò che a loro sembra giusto. Al cosiddetto “popolo sovrano” non viene chiesto di approvare o rifiutare. È la stessa storia della Costituzione “più bella del mondo”, secondo uno strapagato guitto di regime.

Insomma, per tornare alla «Nuova Costituente», non riteniamo produttivo lasciare uno spazio di discussione troppo esteso ai legislatori. Meglio fornire un brogliaccio all’Assemblea, per poi raccogliere critiche, suggerimenti e implementazioni.

L’esperienza di quei legislatori di seconda o terza schiera (vedasi la Carta Europea delle Autonomie Locali) e gli Statuti degli Enti Locali sono lì a dimostrarlo. Chi voglia approfondire può benissimo andare a consultare un qualsiasi Statuto comunale, dove ancora appare il referendum “consultivo”, e dove la quantità e la qualità delle materie escluse dall’esercizio della sovranità popolare sembrano stilate da dittatorelli dello Stato di Bananas.

Malgrado in Europa molti Stati si abbarbichino al principio di autodeterminazione dei popoli, va preso atto che quest’idea di libertà non è molto seducente per chi sta al potere. Si constati come i catalani sono stati manganellati dalla Guardia Civil perché volevano votare un referendum (non fare una rivoluzione armata), e come l’UE abbia girato la testa dall’altra parte.

La Scozia ha avuto il suo regolare referendum e l’ha perso. Adesso il premier Nicola Sturgeon alza la voce e preannuncia che un nuovo referendum sull’indipendenza si terrà il 19 ottobre 2023. Ma se si entra nel dettaglio di scopre che combatte per un referendum “consultivo”.

Se da un lato sono sempre più numerosi i cittadini che si rendono conto dell’inutilità di rivoluzioni armate e cruente. Dall’altro appare ingenuo non prevedere che il regime partitocratico presto o tardi farà default. Il disastro energetico e commerciale lo tocchiamo con mano. L’Euro sta arrivando alla soglia psicologica della parità col dollaro.

In Italia la crisi politica del Governo Draghi è palese. Regno Unito, Francia e Germania hanno anche loro grossi problemi. A un certo punto avverrà il collasso, e probabilmente basterà che una minoranza di cittadini responsabili tragga dal cassetto il proprio Progetto di costruzione politica qui auspicato, e si potrà ricominciare da capo. Perché come diceva Alberto Moravia: «L’intellettuale è come il bambino della favola, che rivela all’imperatore la sua nudità.»

Enzo Trentin

Email: accademiadegliuniti@goldnet.pro 

Non avere la verità in tasca, ma la libertà in mente.

In evidenza

Ci sono pochi dubbi sul fatto che siamo in piena democratura. La denominazione deriva dalla sintesi tra i termini “democrazia” e “dittatura”. Una definizione coniata dall’uruguaiano Eduardo Galeano (1940-2015), considerato uno dei più influenti giornalisti e scrittori dell’Americana latina. Designa un sistema di governo che ha le sembianze e la struttura politica della democrazia, ma il potere effettivo è detenuto da un’élite oligarchica che agisce indipendentemente dalla volontà del popolo sovrano.

Che l’Italia sia in questa fase sembra dimostrato dai numerosi Presidenti del consiglio dei ministri (ultimo in ordine di tempo: Mario Draghi) che non sono legittimati dal corpo elettorale, o le “sofferte” rielezioni dei Presidenti della repubblica: Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella.

Né deve sorprendere più di tanto il disinibito comportamento politico del Ministro Luigi Di Maio. Agli smemorati (o finti tonti?) ricordiamo due vicende. Nel 2008 il Senatore Sergio De Gregorio, eletto nella lista di centrosinistra di Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, passò con il centrodestra facendo cadere il Governo Prodi. Lo stesso De Gregorio ammise di aver ricevuto da Berlusconi 3 milioni di euro e Berlusconi venne processato per corruzione impropria, ma il reato è caduto “in prescrizione”. Nel 2010 i Deputati Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, anch’essi eletti con Italia dei Valori, passarono al centrodestra e contribuirono a tenere in piedi il quarto Governo Berlusconi.

Cominciano dunque ad essere numerosi i liberi pensatori convinti che è il sistema che va cambiato.

È possibile superare l’attuale democratura?

A giugno 2022, il Registro Asia dell’Istat (registro di base delle istituzioni pubbliche) rivela che i dipendenti pubblici ammontano a quasi 3,5 milioni di persone, di cui 1,37 milioni nelle amministrazioni locali. 1 milione circa del personale statale è nella scuola. Vi è poi l’ambito delle forze armate, Esercito: 95.511, Marina Militare: 30.427, Aeronautica Militare: 41.105, Arma dei Carabinieri: 109.576, Guardia di Finanza: 63.528: polizia di stato 97.918.

Tuttavia per l’uomo qualunque i dipendenti pubblici generalmente non soddisfano le aspettative, e se si parla con un funzionario pubblico di rango si otterrà la lamentazione: «siamo sotto organico di». Si aggiunga che un qualsiasi militare di grado superiore può lamentarsi dell’inadeguatezza degli armamenti messi a disposizione. Uno per tutti il carro armato Ariete di progettazione e produzione nazionale (Quando i primi Ariete prodotti in serie lasciarono le catene d’assemblaggio era ormai il 1995 e le loro caratteristiche tecniche risultavano ormai superate a causa di un power pack inferiore ai concorrenti occidentali. Inoltre il mezzo manca di riservetta corazzata predisposta, al contrario degli altri carri occidentali di pari generazione. Ariete (carro armato) – Wikipedia ). Le forze armate poi dovrebbero essere uno strumento della diplomazia; ma l’Italia da tempo non ha una politica estera adeguata. Si pensi al fabbisogno energetico crescente, e alla mancanza di un piano adeguato. Né il citato Ministro Luigi Di Maio sembra proporzionato al ruolo. I cahiers de doléance (o “libro mastro delle denunce”) potrebbero continuare ma il lettore avrà già capito dove si vuole arrivare.

I carristi dell’Ariete si addestrano

Con il tramonto delle ideologie è iniziato il declino dei partiti politici. Le elezioni difficilmente muteranno nella sostanza la politica. La crisi della democrazia rappresentativa, è certificata dal crollo dell’affluenza alle urne. Al secondo turno delle Politiche in Francia ha votato il 46,23 per cento degli aventi diritto, con un’astensione record del 53,77 per cento.

In Italia, al primo turno del voto per le Amministrative si è recato il 54,73 per cento degli aventi diritto. L’affluenza definitiva dei ballottaggi delle elezioni amministrative è del 42.20 per cento. Ma, ripetiamo, sono dati che vorremmo trattare con circospezione dopo la Dezinformacja osservata nei confronti della pandemia da Covid-19 e della guerra in Ucraina.

La linea di tendenza, in Francia come in Italia, si va stabilizzando sulla partecipazione di un elettore su due al rito fondante della democrazia. Troppo poco per dire che le democrazie liberali godano di buona salute. E non è il caso di credere in una democrazia di consenso. Se si volesse affrontare seriamente il problema, bisognerebbe domandarsi il perché della fuga dal voto, e del fatto che sempre più studiosi in Occidente approfondiscono l’alternativa del sorteggio.

Un’altra fuga dal voto, probabilmente è dovuta al fatto che i vari partiti che si presentavano come antitetici alla partitocrazia: Lega Nord, Italia dei Valori, Movimento 5 Stelle, solo per citarne alcuni, che in ordine di tempo una volta ottenuto un significativo consenso elettorale ed entrati nella stanza dei bottoni sono stati lestamente cooptati ed omologati. In conclusione la «Casalinga di Voghera» s’è resa conto che il suo voto non cambia le cose. Insomma, è come se una famiglia la cui casa sia stata data alle fiamme cercasse riparo nella casa del piromane per proteggersi dai servizi dei vigili del fuoco.

Ma ciò di cui molte nuove formazioni politiche “differenti” (autonomiste, federaliste, indipendentiste; giusto il 18/19 giugno in due località adiacenti al Lago di Garda si sono coagulate due formazioni con tale matrice) non mostrano d’aver ancora materializzato una proposta alternativa.

Ayn Rand, la scrittrice russo-americana, con il suo primo grande successo letterario: La fonte meravigliosa (The Fountainhead © 1943), chiarisce benissimo il fenomeno che vogliamo evidenziare.

Il protagonista del romanzo, Howard Roark, è un giovane architetto individualista che disegna edifici in stile moderno e rifiuta di scendere a compromessi con uno establishment architettonico che rifiuta l’innovazione. Howard Roark, spiega nel modo più chiaro le virtù dell’egoismo e della realizzazione individuale: «Agli uomini è stato insegnato che la più alta virtù non è realizzare, ma dare. Tuttavia non si può dare ciò che non è stato creato. La creazione viene prima della distribuzione, altrimenti non ci sarà nulla da distribuire. Il bisogno del creatore viene prima del bisogno di ogni possibile beneficiario. Eppure ci viene insegnato ad ammirare il secondo che dispensa doni che non ha prodotto al di sopra dell’uomo che ha reso i doni possibili. Lodiamo un atto di carità. Facciamo spallucce per un atto di realizzazione.»

Nel nostro caso ci domandiamo perché un qualsiasi nuovo soggetto politico autoctono, prima di presentarsi al pubblico non elabori un progetto di costruzione politica.

Un solo esempio per tutti: la mala gestio delle aziende municipalizzate ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro su fogli di giornale e pagine di libri. Queste aziende sono state spesso amministrate da personaggi dal modesto curriculum, Sindaci di paese, che sono improvvisamente assurti al rango di maghi della finanza. Una mala gestio che si riscontra nella compilazione delle fatture, dove la “filosofia” sembra quella di certi avvocati statunitensi: ti sommergo d’informazioni per non darti alcuna delucidazione. Infatti, quale comune cittadino è in grado di comprendere correttamente le bollette di luce, acqua e gas, così zeppe di numeri, oneri su questo e quello, criptici richiami a disposizioni di legge, e tasse sulle tasse?

Perché il nuovo partito di vattelappesca non dice semplicemente: «Noi vogliamo la fiducia dell’elettorato, perché il giorno dopo il nostro insediamento nelle istituzioni le bollette verranno così redatte!», e beninteso questo dovrebbe valere per ogni altro servizio erogato dalla nuova entità governamentale.

Alla partitocrazia resterebbe l’appoggio deiclientes (parassiti più o meno corrotti che si annidano sia in tutte le istituzioni dello Stato, sia nel circo mediatico degli “artisti” venduti, e del giornalistume vario), e il potere immenso del denaro che tutto compra. Ma tali “clientes” costituiscono circa un quarto della popolazione e rappresentano i veri nemici diretti per tutti coloro che rifiutano lo stato delle cose presenti. Iclientesprobabilmente scomparirebbero, e magari sorgerebbe una potenza civile, ovvero una democrazia di consenso.

Nicola Sturgeon

Giusto per fare un esempio: in questi giorni il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, in una conferenza stampa, ha svelato il primo documento della serie “Building a new Scotland”, che illustrano le ragioni per il cambiamento. È il primo incentrato sull’indipendenza. Il governo scozzese è determinato a far sì che la scelta che le persone faranno sull’indipendenza sia informata, perché l’indipendenza di per sé non garantisce il successo di nessun paese.

Enzo Trentin

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

L’élite politica teme il referendum

In evidenza
Benito Mussolini

«Vi immaginate voi una guerra proclamata per referendum? Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo più acconcio per collocare la fontana del villaggio, ma quando gli interessi supremi di un popolo sono in gioco, anche i governi ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso.», è una delle tante prese di posizione di Benito Mussolini.

Helmuth Kohl

Helmuth Kohl, 9 aprile 2013, al quotidiano inglese Telegraph sull’ingresso nell’Euro da parte della Germania confessò: «Sapevo che non avrei mai potuto vincere un referendum in Germania. Avremmo perso il referendum sulla introduzione dell’euro. Questo è abbastanza chiaro. Avrei perso sette a tre. (…) Nel caso dell’Euro, sono stato come un dittatore

Marc Chevrier

Più che mai coerente il giudizio di Marc Chevrier, professore di scienze politiche all’Université du Québec à Montréal (UQAM), il cui lavoro si concentra sul federalismo comparato, sul governo rappresentativo, sul rapporto tra legge e politica: «È uno strumento imprevedibile di governo, che trasferisce il potere di decisione dal partito al popolo, spersonalizzando il dibattito e lasciando esprimere le differenze di opinione. In un sistema rappresentativo, il partito al governo ama avere un margine di manovra offerto dal mandato popolare, in modo aperto e vago. È sotto l’apparenza di legittimità, ricevuta da un voto popolare, che il governo eletto pretende di governare in nome del popolo. Il referendum, in questo senso, nega la legittimità. Esso nasce dall’idea che i governi rappresentano imperfettamente l’opinione pubblica, e che anzi abbiano intrinsecamente la propensione a tradirla.»

L’Italia, nella vigente costituzione, ha assunto due tipi di referendum, entrambi facoltativi e successivi: 1) in materia di leggi costituzionali e di revisione della costituzione, e 2) in materia di legislazione ordinaria, quest’ultimo con efficacia solamente abrogativa.

Più recentemente, con la Legge 142/1990, denominata «Ordinamento delle autonomie locali», ha fatto proprie le indicazioni della Carta Europea dell’Autonomia Locale [ Carta europea dell’autonomia locale (European Charter of local self-government) (coe.int) ], e subito i legulei al servizio permanente dei partiti politici si sono inventati il «referendum consultivo». In cosa questo consista, senza tanti giri di parole riportiamo di seguito quanto ha deliberato [ https://www.giurcost.org/decisioni/2004/0334s-04.html ] la sentenza n. 334/2004 della Corte costituzionale: «Siccome infatti l’esito positivo del referendum, avente carattere meramente consultivo, sicuramente non vincola il legislatore statale alla cui discrezionalità compete di determinare l’effetto di…».

Negli anni successivi la Legge su indicata ha subito degli aggiornamenti: la Legge 3 agosto 1999, n. 265 denominata «Più autonomia per gli enti locali» e il Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 denominato «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali». In tali leggi la definizione «referendum consultivo» scompare. Ma legislatori di ultima fila (gli Statuti sono redatti ed approvati dai singoli Consigli comunali, provinciali, regionali) portatori di una moralità deviata, hanno disinvoltamente eluso la questione e mantenuto il «consultivo».

Insomma, è noto a tutti come, il 9 giugno 1991, Bettino Craxi invitò gli italiani ad andare al mare piuttosto che esprimersi sul referendum Segni che aveva per oggetto una porzione della legge elettorale. Dunque, con il «referendum consultivo» andate pure a votare tanto poi decidiamo sempre noi. Avessimo pure un QI sottozero non siamo forse i vostri rappresentanti?

Anche sul numero dei votanti è importante fare qualche riflessione.

Infatti, se il voto è la libera manifestazione di un diritto democratico costituzionalmente sancito, non si capisce perché coloro che non desiderino esercitare tale diritto debbano necessariamente essere computati nel novero delle espressioni negative, anziché positive o astensioniste.

Pretendere quindi un’affluenza del 50% + 1 degli aventi diritto, affinché la consultazione possa considerarsi valida, costituisce un ingiustificato potere giuridico negativo ai non partecipanti al referendum stesso, il che, come dovrebbe essere noto ad ognuno, è contrario allo spirito della democrazia, ed è una palese limitazione del libero esercizio di un diritto democratico costituzionalmente sancito.

Come non constatare, che le elezioni politiche o amministrative, sono valide con qualsiasi affluenza di votanti?

L’indizione del referendum

Quelli a livello locale non dovrebbero essere soggetti ad alcuna restrizione o preventivo esame di Comitati di garanti o esperti come quelli che sono previsti in moltissimi Statuti comunali, Provinciali e Regionali. Poiché la volontà dei cittadini è sovrana, non è ammissibile che un qualsiasi comitato, per quanto autorevole, si frapponga tra amministratori e amministrati.

Negli ultimi anni, infatti, a Bolzano tutte le richieste di referendum sono state respinte, non perché mancassero le firme necessarie, ma in tutti i casi per motivi formali.

In questa provincia è stata particolarmente attiva l’associazione «Iniziativa per più democrazia» che ha dovuto superare non pochi ostacoli, e ancora sta lottando per ottenere un corretto uso di questo strumento di sovranità popolare.

Stephan Lausch

Stephan Lausch, coordinatore della predetta associazione, afferma: «In teoria, dal 2018 disponiamo dei più importanti strumenti di democrazia diretta. In pratica, però, il loro utilizzo da parte dei cittadini viene ostacolato quanto più possibile – probabilmente per scoraggiarli dall’uso di questi strumenti e nella presunzione che alla fine si arrenderanno esasperati. Ad esempio, manca ancora l’Ufficio per l’educazione politica previsto dalla legge provinciale del 2018, che avrebbe dovuto fornire consulenza sulla partecipazione dei cittadini e sulla democrazia diretta e quindi facilitare l’uso di questi strumenti. Negli ultimi anni, infatti, tutte le richieste di referendum sono state respinte. Non perché mancassero le firme necessarie, ma in tutti i casi per motivi formali.»

Le leggi e i regolamenti sulle modalità di raccolta delle firme per le iniziative popolari risalgono agli anni ’70 del secolo scorso, e hanno l’unico effetto di rendere la raccolta il più complicata possibile: le firme devono essere autenticate da rappresentanti politici eletti, da un notaio, da un cancelliere di tribunale, da un giudice di pace, da un segretario comunale o da un funzionario nominato dal Sindaco o dal Presidente della provincia.

È quotidiana la promozione dell’adozione dello SPID o della Carta d’identità Elettronica (CIE) per accedere ai servizi dello Stato. Si asserisce che tali strumenti sono efficienti, sicuri e convenienti. Perché non dovrebbero funzionare e valere anche per una firma a favore di una richiesta di referendum? Perché i cittadini debbono ancora sottoporsi alla “garanzia” dei delegati su indicati?

Oltre allo SPID e alla CIE, l’autenticazione di una firma dovrebbe essere possibile anche da parte di un qualunque cittadino indicato dal comitato dei promotori del referendum, che incaricata dal proprio Sindaco alla funzione di autenticatore si assume di garantire la correttezza penalmente responsabile.

Il numero di firme richieste dovrebbe essere ridimensionato

Messe a confronto le soglie previste sono oltremodo elevate: a livello nazionale, ad esempio, lo 0,1% e l’1% degli aventi diritto al voto deve firmare per la proposta di legge o per un referendum.

La Commissione di Venezia, che è un organo consultivo del Consiglio d’Europa, [ Venice Commission :: Council of Europe (coe.int) ] suggerisce, con il parere n. 797/2014, di ridurre a 1/50° (2%) la raccolta firme per la richiesta di un referendum comunale; mentre in certi Comuni è richiesto un numero di elettori non inferiore al 25% [ Comune di Costabissara – Statuto del Comune di Costabissara ], e anche oltre.

Se poi si dovessero esaminare l’inaudito numero e la qualità dei temi esonerati dalla potestà referendaria, dove ogni Comune sembra fare a gara per il primato per exclusionem, è probabile che ai cittadini rimarrebbe la democratica facoltà di scegliere per via referendaria il colore delle divise degli uscieri.

«Iniziativa per più democrazia» non è la sola a criticare le condizioni attuali per la partecipazione dei cittadini. Essa rileva che nel novembre 2019, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato un regolamento a livello statale come sproporzionato e irragionevole, perché limita i cittadini nell’esercizio dei loro diritti democratici. Questo è uno dei motivi per cui l’Italia ha introdotto la possibilità di raccogliere le firme per un referendum in forma digitale. Ma questo non è ancora praticabile per le questioni comunali.

Le innovazioni nel mondo

I dispositivi di voto elettronico sono apparsi a partire dagli anni 1960, quando debuttarono i sistemi a schede perforate. Le macchine di voto elettronico sono usate su larga scala in India ed in Brasile. In Europa, l’Estonia ha adottato il voto via Internet per le elezioni politiche dal 2005. Nel 2002, negli Stati Uniti, l’atto Help America Vote ha apparentemente reso obbligatoria la votazione elettronica in tutti gli Stati.

Sistemi a configurazione più recenti sono a scansione ottica e consentono ad un computer di contare le preferenze contrassegnate sulle schede elettorali. Attualmente il voto tramite Internet ha acquisito maggiore popolarità anche nelle elezioni politiche ed amministrative nel Regno Unito, Estonia, Svizzera, Canada e nelle elezioni primarie degli USA e della Francia.

Ai giorni nostri ci sono anche sistemi di registrazione elettronica diretta (Direct recording electronic systems, DRE). Essi sono in grado di identificare il votante, che possiede una smartcard, mediante un’interfaccia simile a quella dei POS. I DRE possono, in base al progetto e all’implementazione, assistere istantaneamente il votante nel caso di anomalie che potrebbero rendere il voto non valido, grazie all’ausilio di un supporto cartaceo (simile ad uno scontrino) su cui viene stampata ogni azione esercitata dal votante sulla macchina, in modo che il votante stesso possa verificarla, prima di confermare la validità delle preferenze e delle operazioni specificate.

Sulla Banca dati e motore di ricerca per la democrazia diretta (sudd.ch) si trova un database sulla democrazia diretta che, tra le molte informazioni, contiene quasi tutti i referendum dal 1791 ad oggi, riguardanti diversi paesi del mondo.

Concludendo, se le formalità servono solo a impedire la partecipazione attiva dei cittadini, è evidente che qualcosa non va. La democrazia diretta non si contrappone alla democrazia rappresentativa, ma è una sua importante integrazione, con il vantaggio di rendere la democrazia più funzionale.

Enzo Trentin

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

La Costituzione nata in un ristorante

In evidenza

In questi giorni in cui lo scontento per la politica, e la disaffezione dell’elettorato è stata riconfermata dalla percentuale totale finale di affluenza alle amministrative di pari al 54,7% degli aventi diritto nei circa 1.000 su 7.903 comuni italiani, e dove contemporaneamente i 5 referendum sulla giustizia sono stati bocciati considerato che alle urne si è recato appena il 20,9%, (ma sono dati che comunque vorremmo trattare con circospezione dopo la Dezinformacja constatata nei confronti della pandemia da Covid-19 e della guerra in Ucraina) probabilmente vale la pena di osservare quanto avviene al confine di casa nostra.

La Costituzione svizzera fu elaborata dai rappresentanti di tutti i Cantoni che si erano riuniti nell’attuale ristorante bernese Zum Aeusseren Stand. In poco meno di 50 giorni stilarono l’opera fondamentale della democrazia svizzera.

Al confronto la legge elettorale che presiede alla democrazia italiana, prevedeva l’elezione di 573 deputati alla Costituente, ma le elezioni non si poterono svolgere nelle province di Bolzano, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara. Risultarono quindi eletti: 556 costituenti.

L’Assemblea peninsulare – invischiata in infinite discussioni – ad un certo punto nominò al suo interno una Commissione per la Costituzione composta di 75 membri, incaricati di stendere il progetto generale. Un più ristretto Comitato dei 18 si occupò di redigere il testo definitivo. La costituzione italiana, che un super pagato guitto di regime ha definito «la Costituzione più bella del mondo.» scaturì dopo 189 giorni complessivi di lavori.

La Svizzera nel 1848 era già il terzo tentativo di dare vita a una democrazia moderna. Il primo era opera della Francia, risaliva al 1798 e fallì cinque anni più tardi. Infatti, il 12 aprile 1798, la Francia raggiunse lo stadio – che avrebbe voluto conclusivo – della sua politica in Svizzera: la costituzione della “Repubblica Elvetica”, “una e indivisibile”. Pensando di poter controllare meglio la politica di un unico Stato svizzero che di più Stati, più piccoli, Napoleone Bonaparte dovette presto accorgersi di aver capito poco degli svizzeri.

Il 12 dicembre 1802, in un discorso ai 68 notabili svizzeri giunti su invito a Parigi, Napoleone disse: «La Svizzera non assomiglia ad alcun altro Stato: per i fatti della sua storia, per la sua posizione geografica, per le sue diverse lingue e religioni e per 1’estrema differenza di costumi che si rileva fra le sue diverse parti. […] La natura – egli dedusse – ha fatto il vostro Stato federalista, voler superare questo dato di fatto, non sarebbe cosa da uomo saggio. Per paesi diversi, diversi governi.»

Insomma la Svizzera poteva non darsi peso del valore universale del modello costituzionale rivoluzionario; tutto ciò che si poteva fare… era averlaStato neutrale, alleato della Franciae poi, che si ritornasse pure al sistema dei Cantoni.

Il secondo tentativo, lanciato nel 1830-1831 dai Cantoni che si erano dotati di una Costituzione che fissava il principio della sovranità popolare e alcuni diritti fondamentali, venne bocciato sia dai Cantoni conservatori che da quelli radicali.

La terza volta fu quella buona: il 12 settembre 1848, la Dieta dichiarò che la Costituzione dello Stato federale era stata accettata. Si trovò finalmente un compromesso equilibrato tra democrazia autentica e puro federalismo.

E qui sia detto per inciso: la Svizzera contava sull’approvazione diplomatica della Gran Bretagna. Al contrario gli odierni secessionisti veneti sembrano affetti da dissonanza cognitiva. Mancano di un Progetto di costruzione politica. Ovvero non possono insegnare trucchi nuovi ad un cane vecchio, e sono un fallimento di grande successo. Infatti malgrado – nel territorio da loro rivendicato – abbiano numerose basi NATO e USA, non possono vantare l’appoggio diplomatico di tali soggetti.

Della repubblica italiana nata dalla resistenza non staremo qui a fare analisi. Ancor oggi si trascinano infinite polemiche, conferenze e pubblicazione di libri (vedasi, tra gli altri, quelli dello storico Gianfranco Stella o del giornalista Giampaolo Pansa) che documentano le stragi perpetrate dai partigiani – prevalentemente quelli comunisti – ben dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Per venire ai giorni nostri non ci dilungheremo nemmeno sul diritto internazionale spesso richiamato dall’indipendentismo. È chiaro che i russi hanno invaso l’Ucraina, ma non dobbiamo ignorare che lo fanno tutte le potenze. Israele occupa da 60anni territori non suoi contro tutte le leggi della legalità internazionale e le risoluzioni ONU numero 181, 194, 242, 338. L’Occidente si volta dall’altra parte. Il turco Erdogan sta massacrando i curdi e nessuno alza un dito. Perché lo Stato italiano che manda armi agli ucraini non le manda anche ai curdi?

Ma torniamo alla Svizzera del 1848.

Ci fu una singolare guerra di religione. La Guerra del Sonderbund vide a capo dell’esercito dei protestanti (e rivoluzionari) il generale ginevrino Guillaume Henri Dufour; un moderato del partito di centro, senz’altro anzi un conservatore illuminato. E a capo dei cattolici conservatori… un protestante: J.U. von Salis-Soglio.

Guillaume Henri Dufour

La maggioranza radicale della Dieta Federale dichiarò disciolto il Sonderbund nel 1847, e ciò portò alla guerra civile. L’esercito confederale, forte di circa 100.000 uomini ed agli ordini del generale G.H. Dufour (che aveva fatto carriera nella Grande Armée napoleonica), fu inviato contro i ribelli. Il Sonderbund fu sconfitto, tra il 3 ed il 29 novembre 1847, con una campagna praticamente incruenta: solo 86 morti in totale.

Sul piano militare la cronaca della guerra è piuttosto scarna. Dufour disattese subito le improvvisazioni interessate di quei radicali che tentarono di condizionarlo nella scelta dei collaboratori e di imporgli delle mosse strategiche. Egli fece chiaramente capire che l’unico capo militare era lui e che quella guerra per lui altro non era che una missione di pace, nella quale non c’erano nemici da sconfiggere che non fossero quelli sul campo di battaglia.

C’è da osservare in effetti che nella storia d’Europa nessun generale prima di allora aveva mai condotto una guerra con fini di assoluto pacifismo nei confronti del nemico. Dufour volle imporre non la pace dei vincitori, ma la pace dei vincitori e dei vinti, nel segno di una vittoria comune.

Ciò che ebbe successo in Svizzera nel 1848, fallì invece nei Paesi circostanti. Anche a Parigi, Monaco, Berlino, Vienna, Palermo e Venezia si sono vissute delle rivoluzioni borghesi. Tuttavia, non sono state in grado di dare vita a uno Stato duraturo. La monarchia si è sempre ripresa il potere.

Una grave lacuna della Costituzione svizzera del 1848 portò presto a una vera e propria crisi costituzionale. Infatti, quando si fondò lo Stato federale si pensò ai cittadini svizzeri cristiani, ma non a quelli di religione ebrea. Francia, Stati Uniti e Olanda usarono la pressione delle sanzioni economiche nei confronti della Confederazione affinché mettesse sullo stesso piano ebrei stranieri e cristiani svizzeri. Il cambiamento della Costituzione non era previsto e perciò fu necessaria una revisione parziale di nove articoli che dovette superare lo scoglio del voto popolare. La libertà di domicilio degli ebrei venne infine accettata alle urne. I pieni diritti politici vennero concessi loro solo nel 1874. Nel 1872 Julie May presentò la prima petizione affinché il diritto di voto alle donne fosse riconosciuto nel testo costituzionale che doveva sortire dalla riforma del 1874.

Nel 1919-1921, le votazioni cantonali per l’introduzione del suffragio femminile furono negative, e cosi pure, dopo ben lungo iato, quelle federali del 1959 (655.000 voti contro 324.000 e diciannove cantoni contro tre). A livello cantonale, tuttavia, il suffragio femminile passò nello stesso anno nel Canton di Vaud, e poi in altri otto cantoni; a livello federale passò infine nel 1971 (con 621.000 voti contro 324.000 e sedici cantoni e mezzo contro cinque e mezzo). Dieci anni dopo fu approvata la modifica costituzionale comportante la proclamazione dell’eguaglianza dei diritti fra uomini e donne. Ottenuto dalle donne il diritto di eleggere e di essere elette, anche nella scia del ’68 europeo (che in Svizzera molto stimolò l’attivismo delle organizzazioni femministe), 10 donne entrarono al Consiglio Nazionale (5 per cento), e una (2 per cento) al Consiglio degli Stati.

Detto semplicisticamente, mentre in Svizzera quasi tutti i passaggi istituzionali possono ricadere sotto l’esercizio della sovranità popolare, attraverso l’elezione dei rappresentanti, i referendum, e l’iniziativa su delibere e leggi; malgrado la Carta Europea dell’Autonomia Locale (del 15 ottobre 1985), non è così in Italia, che per sovrammercato non ha mai goduto del voto popolare d’approvazione della sua Costituzione.

È utile constatare che nemmeno ai re medievali era concesso il potere assoluto. Per esempio, il 15 giugno 1215 il re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto dai baroni inglesi a riconoscere una serie di libertà e privilegi in un documento solenne, la Magna Charta libertatum («Grande Carta delle libertà»). Con alcune modifiche essa fu nuovamente concessa nel 1225 da Enrico III e confermata nel 1297 da Edoardo I, entrando a far parte delle leggi fondamentali del regno inglese. La Magna Charta riconosce per iscritto i diritti dei feudatari, della Chiesa, delle città inglesi e degli «uomini liberi» (escludendo dunque i servi della gleba) nei confronti del sovrano d’Inghilterra, limitandone i poteri.

Sorprende quindi che Giuliano Amato, uno degli architetti del trattato di Lisbona, in una conferenza organizzata dalla Fondazione Walter Hallstein presso l’Università Humboldt di Berlino, abbia ammesso che il pensiero dietro questo Trattato UE è di riportare l’Europa al Medioevo.

Amato è colui che nel 2005 fu incaricato di riconfezionare il fallito “Trattato Costituzionale” dopo i negativi referendum francese e olandese. Alla testa di un gruppo di cosiddetti “saggi” finanziato dalla Fondazione Bosch e chiamato Action Committee for European Democracy, più noto come “Amato Group”, l’ex Premier italiano produsse il testo dell’odierno Trattato di Lisbona, che a parte qualche cambiamento cosmetico è essenzialmente uguale al trattato costituzionale. Numerosi membri del Gruppo Amato sono anche membri del neonato European Council on Foreign Relations fondato da George Soros.

Il “democratico” Parlamento europeo – eletto a suffragio universale – condivide l’autorità legislativa e di bilancio dell’UE con il Consiglio dell’Unione europea (che ha la sua sede principale nel Palazzo Berlaymont a Bruxelles). Il Parlamento e il Consiglio UE esercitano congiuntamente il potere legislativo e vengono spesso paragonati alle due camere di un sistema bicamerale.

Tuttavia, similmente ai Parlamenti dei singoli Paesi non ha il potere di destituire la Commissione europea. Quest’ultima è una delle principali istituzioni dell’UE, suo organo esecutivo (ovvero il governo) e promotrice del processo legislativo. Rappresenta e tutela gli interessi dell’Unione europea nella sua interezza e avendo il monopolio del potere di iniziativa legislativa, propone l’adozione degli atti normativi dell’UE, la cui approvazione ultima spetta al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea; è responsabile inoltre dell’attuazione delle decisioni politiche da parte degli organi legislativi, gestisce i programmi UE e la spesa dei suoi fondi strutturali.

Di conseguenza Giuliano Amato cita impropriamente il “ritorno al medioevo” dell’UE, e l’esercizio della sovranità popolare conta poco.

Enzo Trentin

 

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro 

Quando il gatto non c’è i topi ballano

In evidenza

L’Italia è un Paese assai strano dove l’inerzia fisica e mentale del popolo lascia “ballare” i suoi rappresentanti politici.

È utile constatare che gli Stati moderni sono pur sempre gli eredi dei signori feudali funzionanti come agenzie di protezione dei propri sudditi, e sono stati selezionati da secoli di conflitti che avevano per posta l’appropriazione del territorio: senza che sia possibile distinguere, originariamente, fra potere politico e sfruttamento economico.

L’articolo 1 della Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», fissa il principio democratico. Tale principio sta ad indicare un assetto politico-istituzionale grazie al quale la fonte del potere politico è data dal consenso dei governati.

La democrazia, diceva Erodoto, è fatta di tre cose: controllo dei governanti da parte dei governati, diffusione del potere, uguaglianza tra i cittadini.

Ma nel paese di Arlecchino & Pulcinella sembrano coesistere dei poteri profondi che si comportano da veri padroni delle nostre istituzioni. Un labirinto di burocrazie, di funzioni, di influenze pubbliche e private. Oltre ai governanti pro tempore ci sono ambiti più ampi come nel caso di élite o lobby che si appropriano di una parte cospicua della ricchezza del Paese adducendo giustificazioni di vario tipo, ideologico o religioso ad esempio. Insomma esiste una casta che detiene saldamente il potere e abitualmente pratica l’endogamia. Ovvero l’usanza di cooptare gli appartenenti allo stesso gruppo sociale (casta, clan, partito politico, famiglia).

Insomma una sorta di cleptocrazia. Una modalità di governo deviata che rappresenta il culmine della corruzione politica, e una forma estrema dell’uso del governo per la ricerca del profitto personale di chi occupa posizioni di potere. A che serve votare ai referendum, per esempio: privatizzazione della Rai del 1995, oppure ai giorni nostri dove il Governo Draghi ha deciso di farsi dare la delega dal Parlamento per privatizzare i servizi pubblici locali: acqua, in barba la referendum del 2011, se poi a Roma fanno quello che vogliono?

Sulla forma di Stato il politologo Gianfranco Miglio, riproponendo l’articolo 1 della Costituzione (Comma 2 – La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.), ricordava che «dal punto di vista rigorosamente linguistico, democrazia vuol dire potere del popolo. “Potere” dunque e non “governo”. Perché una moltitudine non può governare, cioè prendere decisioni quotidiane, anche minute, e seguirne l’esecuzione, adottando poi tutte le misure conseguenti.

I cittadini, che compongono il popolo, per esercitare il loro potere (cioè la loro sovranità) devono quindi affidare il governo a una minoranza di delegati, o comunque a persone che i più considerano (e accettano) come rappresentativi dell’intera moltitudine». Ma una cospicua parte dell’elettorato si sente disarmata ed è sempre meno attratta dall’esercizio del voto; quindi lo diserta delegittimando così chi pretende di vivere di rendite politiche.

Eppure il concetto di sovranità popolare non è un’invenzione moderna, Johannes Althusius (1557- 1638) giurista tedesco, calvinista, autore di numerosi scritti tra cui il ‘Politica methodice digesta(1603), fu tra i primi a teorizzare il primato della predetta sovranità, fondata sui principi del diritto naturale dei popoli e degli individui (Giusnaturalismo). Sostenne che il potere di governo è “delegato” ai governanti dal popolo, il quale però conserva la facoltà di revocare il mandato se vengono lesi i suoi diritti naturali fondamentali.

Filippo Mazzei nativo di Poggio a Caiano (Prato: 1730‐1816), nonostante sia sconosciuto al grande pubblico italiano, è ritenuto dagli storici uno dei padri della dichiarazione di indipendenza americana. John F. Kennedy scrisse di lui: «La grande dottrina “Tutti gli uomini sono creati eguali” attribuito nella dichiarazione di indipendenza a Thomas Jefferson, è ripresa dagli scritti di Philip Mazzei, un patriota scrittore nativo dell’Italia.»

I suoi scritti indicano in modo inconfutabile che sebbene non sia stato indicato come federalista, Mazzei ne ha colto lo spirito autentico come pochi altri. Fra le molte cose che riflettono il suo pensiero dello stato federale in senso contrattuale scrisse: «Che le leggi fatte dai nostri rappresentanti non possono essere dette, né devono essere, leggi del paese fintanto che non saranno approvate dalla maggior parte del popolo.» Ed ancora: «È una verità incontestabile che un paese non è libero se tutti i suoi abitanti non partecipano egualmente al diritto di governare.»

In fatto di partecipazione politica dei cittadini la Svizzera è campionessa mondiale indiscussa. Nel mondo, oltre un terzo di tutte le votazioni popolari nazionali si è tenuto in Svizzera. Le votazioni popolari su temi specifici godono di grande successo. Dalla Catalogna alla Turchia, passando per l’Australia, la California, Berlino e il Regno Unito: negli ultimi tempi le votazioni popolari hanno fatto il giro del mondo, e su questioni talvolta molto controverse. L’andamento è chiaro: capita sempre più spesso che gli elettori non siano più solo chiamati a esprimere il proprio voto su chi li rappresenterà al Governo o in Parlamento, ma che si rechino alle urne anche per prendere posizione su progetti concreti. In questi casi non sono solo i temi in votazione a infiammare i dibattiti pubblici, ma anche le «regole del gioco».

David Altman è professore di Scienze Politiche presso la Pontificia Universidad Católica de Chile. È particolarmente interessato ai meccanismi della democrazia diretta e la sua attuale ricerca estende il suo lavoro precedente esaminando le conseguenze politiche della partecipazione dei cittadini attraverso iniziative popolari e referendum. È autore di ‘Direct Democracy Worldwide pubblicato dalla Cambridge University Press nel 2011 (e nel 2014).

Egli sfida l’assunto comune secondo cui i modelli di democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono necessariamente in contrasto, ‘Direct Democracy Worldwide dimostra come le pratiche di democrazia diretta e rappresentativa interagiscono in diversi contesti istituzionali e scopre le condizioni che consentono loro di coesistere in modo reciprocamente rafforzante. Mentre i meccanismi di democrazia diretta avviati dai cittadini possono stimolare relazioni produttive tra cittadini e partiti politici, altri meccanismi di democrazia diretta spesso aiutano i leader.

Il libro dimostra anche che l’abbraccio della democrazia diretta è costoso, può generare incertezze e incoerenze e in alcuni casi è facilmente manipolabile. Tuttavia, la promessa della democrazia diretta non dovrebbe essere respinta. Essa è molto più di una semplice e pragmatica seconda scelta quando la democrazia rappresentativa sembra non funzionare come previsto. Correttamente progettata, può responsabilizzare i cittadini, superando alcune delle barriere istituzionalizzate alla responsabilità che sorgono nei sistemi rappresentativi.

Se l’Italia è un paese assai strano sotto il profilo dell’applicazione della democrazia diretta – vedasi gli insuccessi, i voltafaccia e la fellonia del M5s altrove è diventata opinione comune che quanto sopra debba essere completato da un sistema che preveda il sorteggio integrale di ogni carica pubblica. Possa cioè in qualche modo ridare al popolo una speranza di poter tornare a credere nella rappresentanza politica. È un tema che abbiamo già trattato tra queste pagine, e chi fosse interessato può eseguire una semplice ricerca con la parola: “sorteggio”.

Enzo Trentin

 

 

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

I paradossi della politica

In evidenza

Mentre la guerra in Ucraina diventa meno popolare e pretende il suo pedaggio, un disastro elettorale sembra profilarsi nel 2022 e nel 2024 per Joe Biden e il Partito Democratico USA.

Il 19 maggio il comitato editoriale (l’organo dirigenziale) del New York Times, è passato da accenni a un chiaro appello, dichiarando che la “vittoria totale” sulla Russia non è possibile e che l’Ucraina dovrà negoziare una pace in un modo che rifletta una “valutazione realistica” e i “limiti” dell’impegno degli Stati Uniti. Detto per inciso il Times è uno dei principali “incanalatori” della opinione pubblica per l’élite, e quindi le sue dichiarazioni non devono essere prese alla leggera.

Lunedì 23 maggio 2022, in una discussione al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger ha condiviso le sue preoccupazioni sull’invasione russa dell’Ucraina. Questo 99enne ha detto a Klaus Schwab, fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum, che l’Ucraina dovrebbe negoziare con la Russia prima che crei sconvolgimenti e tensioni che non saranno facilmente superati.

E ha proseguito: «La Russia non può imporre una soluzione militare senza isolarsi nel momento in cui molti dei suoi confini sono già precari; per l’Occidente, la demonizzazione di Putin non è una politica ma l’alibi per l’assenza di essa». L’uomo del Cremlino – dice ancora Henry Kissinger – non può rischiare un’altra Guerra fredda dando la parola alle armi; la Casa Bianca (allora Barack Obama, di cui Biden era il vice: vedete che il discorso regge ancora): «Deve evitare di trattare la Russia come un discolo a cui spiegare con pazienza le regole di comportamento volute dagli americani.».

Agli occhi degli editorialisti del Times, la guerra è diventata una contesa per procura degli Stati Uniti contro la Russia che usa gli ucraini come carne da cannone – e sta andando fuori controllo:

«Il momento attuale è disordinato in questo conflitto, il che potrebbe spiegare la riluttanza del presidente Biden e del suo gabinetto a mettere giù chiari obiettivi. […] Gli Stati Uniti e la NATO sono già profondamente coinvolti, militarmente ed economicamente. Aspettative irrealistiche potrebbero trascinarli sempre più in profondità in una guerra costosa e prolungata […]

Le recenti dichiarazioni bellicose di Washington – l’affermazione del presidente Biden che Putin ‘non può rimanere al potere’, il commento del segretario alla Difesa Lloyd Austin che la Russia deve essere ‘indebolita’ e l’impegno della presidente della Camera, Nancy Pelosi, che gli Stati Uniti sosterranno l’Ucraina ‘fino a quando la vittoria non sarà vinta’ – possono suscitare proclami di sostegno, ma non avvicinano i negoziati.».

Mentre il Times respinge questi “proclami eccitanti”, è fin troppo chiaro che per i neocon responsabili della politica estera degli Stati Uniti, l’obiettivo è sempre stato una guerra per procura per abbattere la Russia Questa non è diventata una guerra per procura; è sempre stata una guerra per procura.

La politica estera è l’arte di stabilire delle priorità.

premere l’icona quadrata per i sottotitoli in italiano

Tutto ciò, ad un lettore smaliziato, fa venire in mente i paradossi della politica. La variazione più complessa e intrigante è forse questa: un coccodrillo rapisce un bambino e dice alla madre che glielo restituirà se lei riuscirà ad indovinare se il coccodrillo ha realmente intenzione di restituirlo oppure no.

La madre risponde che il coccodrillo non vuole restituire il bambino e in questo modo l’animale si scopre bloccato, perché se dice che la madre ha torto allora deve restituire il bimbo (cosa che non dovrebbe fare perché lui avrebbe perso la scommessa), mentre se dice che la madre ha ragione allora dovrebbe restituirlo, facendo però così il contrario di quella che era la sua decisione.

Mai come in questo periodo siamo immersi nella distopia della Dezinformacja. Una formula intenzionale e coerente per trasmettere informazioni false o manipolate atta a fabbricare un messaggio fuorviante, e un’immagine del mondo incompatibile con la realtà.

Viviamo nell’epoca della falsa informazione e della manipolazione delle menti.

  • Malgrado ciò che si dice in Occidente, il sostegno del presidente russo Vladimir Putin supera l’80%.
  • Su 195 nazioni, 165 (tra cui India e Cina con il 35% della popolazione mondiale) hanno rifiutato di aderire alle sanzioni contro la Russia, lasciando gli Stati Uniti, non la Russia, relativamente isolati nel mondo.
  • Il rublo, (Biden ha detto che sarebbe rovinato come delle “macerie”), non solo è tornato ai suoi livelli pre-febbraio, ma è stato scambiato di recente intorno a un massimo di due anni di circa 60 rubli per il dollaro rispetto ai 150 di marzo.
  • La Russia si aspetta un raccolto eccezionale, e il mondo è desideroso di grano e fertilizzanti, petrolio e gas che forniscono entrate sostanziali.
  • L’UE ha in gran parte ceduto alla richiesta della Russia di essere pagata per il gas in rubli. L’ENI apre due conti per il gas russo: uno è in rubli. [ L’Eni apre due conti per il gas russo: uno è in rubli. ‘Ma pagheremo in euro’, assicura | Sky TG24 ]
  • Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellin avverte gli europei che un embargo sul petrolio russo danneggerà ulteriormente le economie dell’Occidente.
  • Nella tarda serata del 30 maggio i 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno concordato un “embargo graduale” del petrolio russo. Inizialmente si tratterà del petrolio trasportato via mare, ovvero i due terzi degli acquisti europei di oro nero russo. È stata prevista un’esenzione temporanea per il petrolio trasportato tramite oleodotto al fine di revocare il veto di Budapest. In totale, entro la fine dell’anno il 90% delle esportazioni petrolifere russe nell’Ue sarà interrotto. Il sesto pacchetto di sanzioni europee prevede anche l’esclusione dal sistema finanziario internazionale Swift di tre banche russe, tra cui Sberbank, principale istituzione del Paese.
  • Negli Stati Uniti, l’inflazione, che era già alta prima della crisi ucraina, è stata spinta ancora più in alto e ha raggiunto oltre l’8% con la Federal Reserve che ora si affanna a controllarla aumentando i tassi di interesse. In parte come risultato di ciò, il mercato azionario si è avvicinato al territorio ribassista. Mentre la guerra avanza, molti si sono uniti a Ben Bernanke, ex presidente della Fed, nel prevedere un periodo di alta disoccupazione, alta inflazione e bassa crescita – la temuta stagflazione.
  • Le forze russe stanno facendo progressi lenti ma costanti in tutta l’Ucraina meridionale e orientale dopo aver vinto a Mariupol la più grande battaglia della guerra finora, e una sconfitta demoralizzante per l’Ucraina.
  • Ciò che emerge da un sondaggio dell’Osservatorio Emg Different: il 50,4% degli italiani intervistati si è detto contrario a mandare armi alla resistenza ucraina e crede che il flusso verso Kiev debba essere interrotto. Ma l’ennesimo governo non designato dall’elettorato continua imperterrito a inviare armi all’Ucraina.
  • I mezzi d’informazione mainstream insistono su un ipotetico viaggio a Mosca di Matteo Salvini, ma non si sa bene come potrebbe essere decisivo per la pace un suo incontro con Putin. Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso. (Lev Tolstoj)
  • L’Obiettivo 7 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite si prefigge di assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni. Ad oggi siamo ben lontani dal raggiungere questo obiettivo, in quanto solo il 17,5% dell’energia consumata nel mondo è rinnovabile.
  • Le distruzioni nell’Ucraina devastata dalla guerra hanno provocato inquinamento atmosferico, con molti pennacchi di fumo costituiti da gas tossici e particolato. L’inquinamento si nota anche dove sono state immagazzinate armi convenzionali, metalli pesanti, e materiali energetici.
  • Le comunità autogestite del Medioevo, nell’Italia settentrionale e nell’Europa centrale, offrono esempi significativi di un modo totalmente diverso di garantire la pace e la sicurezza ai propri membri. E si possono ancora vedere i resti di un tale ordine policentrico in un Paese che, assai significativamente, non è ancora afflitto dai “nostri” problemi: la Confederazione elvetica. [Tesi di aprile | Nuova Costituente]
  • Partito Democratico Veneto ha presentato una insoddisfacente Proposta Di Legge Quadro per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Nel testo il partito indica chiaramente quali sono gli obiettivi e le modalità per l’attribuzione alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, il procedimento di approvazione delle intese tra Stato e Regioni e il processo di trasferimento delle risorse finanziarie, strumentali e umane.
  • Invece buona parte dell’elettorato Veneto vorrebbe ritornare ai fasti dell’ex Repubblica di San Marco. Ma la rappresentanza politica indipendentista è inefficiente e ignava sotto il profilo di una nuova proposta politico-istituzionale. Sembrano ignorare uno degli insegnamenti del Mahatma Gandhi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.» Aspirano a farsi eleggere nelle istituzioni italiane, malgrado degli ultimi quarant’anni migliaia di eletti all’Europarlamento, al Senato, alla Camera, nelle Regioni, nelle Province e in centinaia di Comuni non abbiano prodotto alcunché sotto il profilo dell’autonomia, del federalismo, men che meno sull’autodeterminazione.
  • Ammoniva Malcom X: «Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.»

La tolleranza illimitata potrebbe condurre alla scomparsa della tolleranza stessa, perché permetterebbe a tutti di intervenire nella vita pubblica, anche agli intolleranti, che finirebbero per prevaricare sui tolleranti.

Enzo Trentin

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Una leadership non etica è da evitare

In evidenza

La letteratura accademica sulla leadership non etica sta dilatando, forse data l’entità della condotta non etica nelle organizzazioni (ivi comprese quelle politiche), che si manifesta nell’aumento delle frodi e degli scandali aziendali nel panorama imprenditoriale contemporaneo.

L’indagine accademica (internazionale, non certo italiana) ha definito la leadership non etica “come comportamenti e decisioni che sono illegali e/o violano gli standard morali prese da leader, e azioni che impongono processi e strutture che promuovono comportamenti non etici da parte dei seguaci.

Il lettore troverà gli accenni che seguono utili per comprendere le conseguenze e le potenziali strategie per aggirare gli effetti negativi di una leadership non etica, in particolar modo nei confronti dell’odierno modo di far politica, sempre più delegittimata dall’astensione al voto di circa il 50% degli aventi diritto.

Il panorama imprenditoriale contemporaneo sta assistendo a livelli sbalorditivi di condotta non etica che sono emersi in modo sorprendente dalle cifre di fondo con perdite totali stimate per un valore di 42 miliardi di dollari (riportate dal https://doi.org/10.1057/s41291-021-00154-2 Global Economic Crime and Fraud Survey di PwC).

È interessante notare che i contributi del top management in varie pratiche non etiche rappresentano oltre il 26%, il che include alcuni dei casi più costosi di frode che producono non solo impatti finanziari per le organizzazioni, ma anche impatti emotivi e psicologici per ciascuno dei soggetti direttamente o indirettamente coinvolti in un progetto o nell’attività di un’azienda.

Ad esempio, il famoso scandalo delle emissioni di Volkswagen, noto come “Dieselgate”, è costato all’azienda circa 63 miliardi di dollari [ Dieselgate cinque anni dopo. La storia dello scandalo Volkswagen che ha fatto tremare il mondo dell’auto – Il Sole 24 ORE ]. Le conseguenze di questo scandalo sono il risultato di un’interazione di leader e di una cultura organizzativa non etici. Prove simili sono state riportate in un altro famoso caso che coinvolge Enron, una delle società energetiche di maggiore importanza al mondo (su cui è stato girato anche un film nel 2003) dove un clima non etico ha favorito la violazione consapevole delle regole all’interno dell’organizzazione, che ha portato a conseguenze sia reputazionali che finanziarie.

Quindi, la leadership non etica è all’intersezione tra pratiche di leadership immorali e illegali e il clima non etico che rafforza ulteriormente tale leadership. Sia che le mele marce promuovano cattivi comportamenti o che gli atteggiamenti etico-morali ospitino mele marce, l’opinione pubblica responsabile si sta sempre più rendendo conto della natura consequenziale di una leadership non etica.

Questo scenario è stato accentuato dalla crescente segnalazione di cattiva condotta aziendale dei media mainstream sia riguardo la pandemia da Covid-19, che in merito alloperazione militare speciale della Russia in Ucraina, che hanno aumentato l’interesse degli studiosi in questa direzione.

Quello che è importante evidenziare è la perdita di capitale morale subita da un’organizzazione da seguaci indifferenti o deferenti a cattivi leader. Si pensi, ad esempio, al governo ucraino creato a suo tempo dal democratico Obama in combutta con l’allora segretario di Stato USA: Hillary Clinton, con il preciso obiettivo di indebolire la Russia.

Aristotele

Nonostante la proliferazione di codici di condotta, di programmi di etica e conformità in tutta la comunità politica, la prevalenza di malevolenza e malaffare nelle organizzazioni continua ad aumentare. Mentre si sa molto sulla cattiva leadership, molto meno si sa sulla cattiva followership. Tradotto volgarmente: i militonti, ovverosia coloro che si abbeverano alla propaganda di partito piuttosto che alla riflessione critica.

Aristotele è accreditato di aver proposto per la prima volta che le virtù svolgono un ruolo centrale (vedasi il libro “Le virtù di Aristotele”) nel forgiare una forza di carattere in grado di navigare e superare le sfide della vita con forza d’animo morale e con integrità.

Il periodico neozelandese “The Conversation” [ theconversation.com ] ha esaminato attentamente un’intervista [ War in Ukraine: The Economist interviews President Zelensky | The Economist – YouTube ] filmata da “The Economist” con Volodymyr Zelenksyy. E qui, per inciso, si può trarre la constatazione che questo appare come il periodo storico degli attori in politica: Ronald Reagan, Melina Mercouri, Glenda Jackson, Clint Eastwood, Arnold Schwarzenegger, Beppe Grillo, e oggi appunto Zelenskyy.

Il premier ucraino essendo – nell’intervista – senza copione appare più spontaneo che nei suoi discorsi pre-preparati, offre una visione più chiara del suo personaggio.

The Economist” ha trovato tutte e sette le virtù chiave del carattere – umanità, temperanza, giustizia, coraggio, trascendenza, saggezza e prudenza – evidenti nelle risposte di Zelenskyy alle domande degli intervistatori.

La virtù dell’umanità riguarda la cura, la compassione, l’empatia e il rispetto per gli altri. Zelenskyy lo dimostra principalmente attraverso la sua attenzione alla protezione degli ucraini dall’aggressione russa, ma si estende anche alla sofferenza del suo nemico. Egli esprime preoccupazione per il fatto che Putin stia “gettando soldati russi come tronchi nella caldaia di una locomotiva”, e si lamenta che i morti russi non sono né pianti né sepolti.

Questo rifiuto di cedere semplicemente all’odio e alla rabbia quando si parla dei suoi nemici riflette anche una seconda virtù, la temperanza: la capacità di esercitare il controllo emotivo. Anche la modestia di Zelenskyy riflette questa virtù: nell’intervista si scrolla di dosso gli elogi per essere un eroe ispiratore, preferendo attenersi alle questioni principali. La temperanza serve a mantenere l’equilibrio emotivo, consentendo così a Zelenskyy di prendere decisioni difficili in modo equilibrato.

La virtù della giustizia significa agire responsabilmente e garantire che le persone siano trattate in modo equo. Implica cittadinanza, lavoro di squadra, lealtà e responsabilità. Zelenskyy parla del suo “dovere di proteggere” gli ucraini e di “segnalare” con la propria condotta come gli altri dovrebbero agire. Rimanendo in Ucraina, diventa un modello di questa virtù e allo stesso tempo dimostra la virtù del coraggio.

Il coraggio di Zelenskyy è stato ampiamente notato, ma si è osservato che riconosce ripetutamente anche quello dei suoi concittadini, incoraggiandoli così ad agire con virtù.

Esprimendo la speranza apparentemente incrollabile che gli ucraini si assicureranno la vittoria grazie al loro coraggio, Zelenskyy dimostra la virtù della trascendenza – l’ottimismo e la fede che una causa è significativa, nobile, e prevarrà.

Le opinioni di Zelenskyy su ciò che motiva gli altri paesi mostrano la sua saggezza. Nell’intervista dimostra un’ampia prospettiva strategica e una visione dei diversi interessi che modellano le risposte di altre nazioni alla guerra. Questo lo aiuta a creare i suoi appelli agli alleati e alla Russia, che hanno quindi maggiori possibilità di risuonare.

La virtù finale, la prudenza, completa quella saggezza. Implica la capacità di valutare ciò che è la cosa giusta da fare ed è qualcosa di una meta-virtù, guidando la scelta di quali altre virtù sono necessarie di momento in momento. Si sono trovati ripetuti casi di Zelenskyy che dimostrano proprio questo, intrecciando più virtù nelle sue risposte alle domande.

L’analisi della sua leadership indica che Zelenskyy possiede forza di carattere e chiarezza emotiva, intellettuale e morale su ciò che è in gioco. Questo spiega la sua effettiva leadership fino ad oggi. Insomma nonostante il chiaro squilibrio militare tra Russia e Ucraina, l’attore recita alla perfezione la parte che altri gli hanno scritto, e Putin sta affrontando un avversario “preparato”; ma alla lunga e malgrado il cosiddetto mainstream occidentale sia tutto dalla parte del teatrante ebreo, una parte dell’opinione pubblica comincia a porsi delle domande.

Per esempio, secondo recenti sondaggi circa il 50% degli Italiani è contrario all’invio di armi all’Ucraina e si sta chiedendo:

  • «Siamo disposti a morire per difendere la loro indipendenza?»
  • «Abbiamo mandato armi per metterli in condizione di trattare con Putin, o (come vogliono gli americani) in un momento in cui non ci sono soldi per le pensioni e per la sanità pubblica ne abbiamo sostenuto il costo perché vogliamo “detronizzare” l’inquilino del Cremlino?»

John Kerry, veterano del Vietnam, chiese al Senato degli Stati Uniti nel 1971, mentre la guerra ancora infuriava: «Come si fa a chiedere a un uomo di essere l’ultimo a morire per un errore?»

Il nostro ordine capitalista, neoliberista, e globale è ora una palla al piede, poiché il suo finanziamento è simile a un casinò, e il consumismo degradante stanno fomentando la crisi climatica, approfondendo le disuguaglianze, le migrazioni forzate, le implosioni culturali, le frodi e la violenza dilaganti.

In assenza di una riconfigurazione piuttosto drammatica, il nostro “ordine” non è più legittimo o sostenibile per le condizioni in cui ognuno di noi può continuare a vivere. È un tema che abbiamo già trattato qui: [ Con la fine della globalizzazione (vicenzareport.it) ]

Dobbiamo evitare di vivere in uno Stato cleptocratico fallito, con una modalità di governo deviata che rappresenta il culmine della corruzione politica, e una forma estrema dell’uso del governo per la ricerca del profitto personale di chi occupa posizioni di potere. Prima o poi esso dovrà essere sconfitto. Vale non solo per gli ucraini, perché il suo fascismo è virale nell’uccidere la verità e la fiducia del pubblico ovunque entri nelle nostre vite in rapida globalizzazione.

Scrive Noam Chomsky: La vera istruzione è insegnare alla gente a pensare da sola: è una faccenda complicata che richiede la capacità di catturare l’attenzione e l’interesse degli studenti per far sì che questi vogliano pensare, imparare ed esplorare nuovi campi.

E a fare ciò non saranno gli attuali partiti politici, né dopo circa quarant’anni di aperture di credito, gli pseudo leader indipendentisti. Noi” non abbiamo altra scelta ora che opporci a ciò che il nostro sistema imperfetto ha contribuito a creare, perché questi nemici ci distruggerebbero ancora più rapidamente e brutalmente di quanto stiamo già facendo interrompendo e dissolvendo le nostre vite civico-culturali e istituzionali.

Enzo Trentin

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

CON LA FINE DELLA GLOBALIZZAZIONE, IL FUTURO PROSSIMO È AUTODETERMINISTA.

In evidenza

La guerra in Ucraina ha resuscitato un certo pericoloso fascino per la guerra. Nozioni come il patriottismo, i valori democratici, “la parte giusta della storia” o una nuova lotta per la libertà sono mobilitate come imperativi per tutti per prendere parte a questa guerra. Non sorprende quindi che un gran numero di cosiddetti combattenti stranieri siano disposti ad andare in Ucraina per unirsi a una parte o all’altra.

C’è una propaganda dominante che sembra suggerire che la guerra possa essere condotta secondo un insieme di regole accettabili, standardizzate e astratte. Propone un’idea di una guerra ben educata in cui solo gli obiettivi militari vengono distrutti, la forza non viene usata in eccesso e giusto e sbagliato sono chiaramente definiti. Questa retorica è usata dai governi e dalla propaganda dei mass media (con l’industria militare che celebra) per rendere la guerra più accettabile, persino attraente, per le masse. Scrive Antonio De Lauri L’idea pericolosa di una guerra ben educata – Consortium News .

Un esempio di tale narrazione “positiva” (si fa per dire) potrebbe essere rappresentato dalla guerra delle Falkland-Malvinas. Un conflitto militare combattuto tra aprile e giugno 1982 tra Argentina e Regno Unito per il controllo e il possesso delle isole Falkland, della Georgia del Sud e Isole Sandwich Australi.

L’Argentina, nel 1833, aveva rivendicato la sovranità sulle isole, sostenendo che erano parte integrante del territorio nazionale argentino e dovevano quindi essere restituite ai legittimi proprietari.

La Gran Bretagna, da parte sua, affermò che il futuro delle Isole Falkland dovrebbe essere determinato sulla base dei desideri dei suoi abitanti.

Un referendum, con un’affluenza del 92%, sullo status politico si tenne nelle Isole Falkland dal 10 all’11 marzo 2013.

Agli isolani fu chiesto se sostenessero o meno la continuazione del loro status di territorio d’oltremare del Regno Unito in vista dell’appello dell’Argentina a negoziati sulla sovranità delle isole. I sì furono il 99.80%.

Il caso argentino si fondava sul concetto di integrità territoriale e decolonizzazione; quello britannico sul principio di autodeterminazione.

Piaccia o non piaccia, nel nuovo mondo multipolare che si sta aprendo in questi “agitati” anni ’20 del XXI secolo, la spinta all’autodeterminazione dei popoli sono termini della stessa equazione specialmente dopo l’inizio della  “operazione militare speciale” della Russia, e soprattutto della reazione di 4/5 del pianeta, che non pare affatto così tanto pro-globalista e pro-americana (che poi sono la stessa cosa).

A questo punto ricordiamo a tutti che l’indipendentismo veneto assieme a quello sardo e siciliano hanno preceduto di lustri quello che oggi chiamano (impropriamente) “sovranismo”. Esso semplicemente si chiama diritto alla auto-determinazione.

È giunto il momento di renderci conto che, almeno a livello ideologico, la maggioranza delle popolazioni ormai volge lo sguardo in questa direzione. Quando gli imprenditori e i principali finanzieri che controllano questo mondo capiranno che conviene di più investire in paesi legati ad economie di risorse e produzione anziché di speculazione (con monete legate all’oro anziché al dollaro) il paradigma economico del debito illimitato crollerà e ci saranno economie nazionali più equilibrate tra produzione e consumo locale, anche a vantaggio dell’ambiente. Molte multinazionali dovranno ridimensionarsi (sta già succedendo), molti lavoratori torneranno con i piedi a terra e voleranno meno in Cloud o in altre amenità digitali monopolizzate dalle multinazionali. Perché i computer e i telefonini non si mangiano e non riscaldano nessuno.

Soprattutto ci saranno meno disarmonie, meno bullismo internazionale, meno guerre e meno rischi di un cataclisma nucleare, perché quando sai che la casa che amministri è proprio la tua, ti guardi bene dal rischiare di vederla bruciare; scrive da Londra dove lavora il primario di Psichiatrica Giovanni Dalla Valle, originario del vicentino.

Un vero indipendentista può soltanto essere per un mondo multipolare. Non può essere globalista, non può essere neoliberista e nemmeno americanista. Non parla mai di USA: parla di Texas, California, New York, Florida, etc.

Dietro una bandiera, non vede mai un semplice simbolo, ma le facce di milioni di anime con il loro passato, la loro storia, la loro identità, le loro gioie, i loro dolori, i loro orgogli, le loro miserie. Per questo le rispetta tutte, anche quelle dei suoi nemici più acerrimi, e non si sogna mai di andare a rompergli le scatole in casa. Lo fa solo se viene minacciato dentro il suo giardino.

Gli indipendentisti autoctoni hanno semplicemente anticipato queste idee di lustri. Ora tutti possono vedere con i loro occhi che avevano ragione. Quando avremo sempre più fame e sempre più freddo, capiremo che è tempo di tornare a “casa”, e impareremo di nuovo a difendere la nostra famiglia e la nostra identità senza esitazione.

Gli fa eco Riccardo Zanetti (è nato a Padova nel 1998) che dopo essersi diplomato, decide di intraprendere un viaggio in Australia che lo cambierà profondamente e lo porterà nel 2018 ad aprire il suo personale canale su You-tube. Dal quale qui condividiamo un commento redatto con un’ottima proprietà della lingua inglese, (corredato con la cartina che ha postato sulla sua bacheca) e che noi abbiamo tradotto come segue:

«Con il 56%, i veneti rappresentano la percentuale più alta di tutti i gruppi separatisti in Europa che vogliono la loro indipendenza. Considerando il referendum tenutosi nell’ottobre 2017 in cui si chiedeva se volevano l’autonomia, la domanda ebbe un clamoroso 98,1% a favore, […]. In effetti, i veneti non sono “separatisti”. Tutto ciò che vogliamo indietro è il nostro diritto di primogenitura, la terra dei nostri antenati. Non siamo “italiani” e non apparteniamo a una fantasmagorica creazione massonica chiamata “Italia”. Siamo il nostro popolo, abbiamo la nostra identità etnica, la nostra lingua e il nostro territorio riconosciuto. Questi sono tutti i prerequisiti affinché i veneti vengano riconosciuti dalle Organizzazioni Internazionali che pretendono di rappresentare il diritto di un popolo ad esistere e ad essere un popolo autodeterminante.»

Tuttavia questo spirito è stato sinora malamente rappresentato a livello politico locale. Si pensi, per esempio, alla “disavventura” del Partito dei Veneti. Un Ircocervo composto da ben 10 partitini che da soli non riuscivano a raccogliere le (15/20mila) firme necessarie per presentarsi alle elezioni regionali del 2020, finendo per accettare l’esenzione da questo prerequisito ad opera di un discusso, perché disinvolto, Consigliere regionale, e ottenendo la débâcle elettorale di 19.756 voti, pari all’1%.

Questa pretesa rappresentanza politica locale che ancora si agita sulla scena politica non ha ancora offerto al vaglio del suo potenziale elettorato un progetto politico-istituzionale, né si è distinta per l’elaborazione di un  pensiero filosofico-politico peculiare, e molti elettori si stanno domandando perché le soluzioni ai problemi dell’Amministrazione Pubblica e della burocrazia non possono arrivare ed essere risolti direttamente dai cittadini – cosa che avviene regolarmente nei paesi autenticamente democratici quando i politici pagati per farlo sono ignavi, falsi e omissivi.

Come si è constatato, infatti, in varie occasioni l’alleanza politica ed economica fra poteri forti è in grado ostacolare o distruggere ogni libertà politica individuale e collettiva. Questo è il principale difetto della democrazia solo rappresentativa tanto cara e strenuamente difesa sia dalla partitocrazia, sia dai politicanti ideologici che la sostengono, sia dalla burocrazia pervasiva e inefficiente, che si oppongono al bilanciamento e alla deterrenza della Democrazia diretta prevalente nei confronti della Democrazia rappresentativa agli effetti della creazione dell’ordine sociale.

A questo proposito c’è da prendere in seria considerazione la Determinazione ONU del 31-12-2020, per l’Autodeterminazione popolare delle leggi, ovvero: Democrazia diretta o Federale prevalente sulla Democrazia solo rappresentativa, dove si dice, tra l’altro, che le procedure referendarie ingiustamente restrittive e irragionevoli (vedasi i referendum consultivi), debbono avere riguardo alla Sovranità popolare la fonte giuridica della creazione e della legittimazione popolare delle leggi dell’ordine sociale.

È la prima volta (e uno dei pochi casi al mondo), che l’Italia viene condannata per aver violato il diritto politico dei cittadini a partecipare direttamente alla vita politica. Ed è anche la prima volta che il Comitato diritti umani dell’Onu si è espresso in materia di Referendum («…per aver ripetutamente violato gli articoli 2 e 25 del Patto internazionale relativo ai Diritti civili e politici: principale trattato al mondo sui Diritti umani.»), creando un precedente che farà scuola in tutti gli Stati dove si usano strumenti giuridici di Democrazia federale e/o diretta.

Enzo Trentin

Pubblicato su: Con la fine della globalizzazione (vicenzareport.it)

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Quando diciamo “broglio” stiamo parlando veneziano

In evidenza

di Alvise Vivarin Le elezioni sono solo un concorso di bellezza per persone brutte, è uno slogan ironico diffuso su internet. Abbiamo ridotto la democrazia a una democrazia rappresentativa e la democrazia rappresentativa a delle elezioni. Non bastasse: negli ultimi anni non passa elezione che non sia accusata di bogli. Vedasi i risultati di questi giorni in Francia con l’elezione di Emmanuel Macron.

Molti cercano un nuovo sistema politico da contrapporre in sistema politico oramai al tramonto. Democrazia, aristocrazia, oligarchia, dittatura, dispotismo, totalitarismo, assolutismo, anarchia: ogni sistema politico deve trovare un equilibrio tra due parametri fondamentali: l’efficienza e la legittimità.

In molti paesi dell’Occidente ci sono studiosi che hanno messo sotto osservazione la democrazia nell’antica Atene, la quale era regolata da elezioni per alzata di mano, e le più diffuse designazioni per sorteggio. Tali ricercatori sono al ora lavoro per soluzioni di questo sistema binario.

Nell’antica Atene la maggior parte delle cariche pubbliche veniva affidata al sorteggio, ma non per le cariche per le quali occorreva una competenza specifica. La militare specialmente. L’elezione avveniva per alzata di mano nell’assemblea popolare, alla quale potevano partecipare tutti i cittadini maschi maggiorenni e liberi, i cui genitori fossero entrambi ateniesi (legge del 451/450 a.C. voluta da Pericle!).

Anche allora esisteva l’astensionismo. A fronte di una popolazione elettorale, attiva e passiva, di circa trentamila ateniesi, generalmente all’assemblea partecipavano in circa cinquemila. Per ottenere l’ostracismo nei confronti di qualche personaggio accusato di aspirare alla tirannide, occorrevano ben seimila voti favorevoli. Almeno questa è l’interpretazione comune.

Plutarco, nella “Vita di Aristide”, 7, 7-8, racconta un celebre quanto istruttivo aneddoto: «Si racconta che, quella volta [la volta in cui fu Aristide a subire l’ostracismo (483 a.C.), per spiegare la cui procedura Plutarco aveva fatto una digressione], mentre gli elettori scrivevano i nomi sui cocci, un contadino, analfabeta e assai rozzo, consegnasse il suo coccio ad Aristide come al primo capitatogli e lo pregasse di scriverci sopra “Aristide”. Rimase meravigliato Aristide e avendogli domandato che cosa di male quello gli avesse fatto: Niente (rispose); non lo conosco neppure, ma ho a noia di sentirlo chiamare dappertutto “il Giusto”. A tali parole Aristide non rispose nulla, scrisse il suo nome sul coccio e glielo restituì».

Viene spontaneo chiedersi: quel cittadino zotico e ignorante era “uguale” ad Aristide? Lo era senza alcun dubbio. In quanto cittadino ateniese aveva diritto non solo di partecipare alle riunioni dell’Assemblea, ma anche di prendere la parola. Era un diritto, inalienabile, una manifestazione della sua uguaglianza e libertà. Un esercizio di democrazia diretta.

L’antica Atene si reggeva su sistema binario, per elezione (alzata di mano) e per sorteggio, delle cariche pubbliche. La carica più importante, quella di stratego, era elettiva, considerato che la sua funzione primaria consisteva nella capacità di “guidare gli eserciti”, e, in subordine, quella di amministrare la cosa pubblica.

Questo sistema, pur con qualche variante, persisterà in buona parte d’Europa sino alle rivoluzioni americana e francese. Esse proposero le elezioni come strumento che permetteva di conoscere la “volontà del popolo”. Non c’erano ancora né partiti politici, né una legge che stabilisse il suffragio universale. I leader rivoluzionari in Francia e negli Stati Uniti non erano minimamente attirati dal sorteggio, perché non lo erano neppure dalla democrazia. Di conseguenza l’Europa non aveva cittadini ma solo sudditi.

Althing dell’Islanda

Tuttavia prima di quegli eventi rivoluzionali c’erano già state altre forme di democrazia: il Parlamento più antico del mondo, è l’Althing di cui restano solo banchi di pietra nel verde dell’Islanda. La civiltà comunale nacque nell’Italia centro-settentrionale intorno all’anno 1.000, e si diffuse il buona parte dell’Europa. Il federalismo (da Foedus, patto di alleanza, o accordo, o trattato; anche questo di antica origine) ebbe nella Lega anseatica un mirabile esempio. Essa fu un’alleanza di città che nel tardo medioevo e fino all’inizio dell’era moderna mantenne il monopolio dei commerci su gran parte dell’Europa settentrionale e del mar Baltico.

Ciò nonostante non mancarono comportamenti disinibiti e disinvolti. E quando diciamo “broglio” e “ballottaggio” stiamo parlando veneziano.

La Repubblica veneziana, secondo la tradizione è fondata nel 697 da Paoluccio Anafesto. Il primo doge di Venezia. Nel corso dei suoi millecento anni di storia si affermò come una delle maggiori potenze commerciali e navali europee. Essa, dopo il 1071, non era una democrazia, ma una oligarchia: l’apparato di governo era nelle mani di un qualche centinaio di famiglie patrizie che si consideravano i discendenti dei fondatori della città, e che rappresentavano solo l’1% della popolazione totale. Nel 1527 gli aventi diritto a sedere nel Maggior Consiglio, selezionati tra tutti gli uomini oltre i vent’anni delle famiglie più illustri della città, raggiungono il numero massimo di 2.746.

Nei primi secoli a Venezia l’autorità suprema spettava in linea di principio all’Assemblea popolare (Concio o Arengo). In queste adunanze collettive della popolazione avveniva la scelta del doge e l’approvazione delle nuove leggi; ma sembra chiaro che queste operazioni erano dominate dalle famiglie potenti. (si confronti Frederic C. Lane: Storia di Venezia – © 1978 e 1991 Giulio Einaudi editore s. p. a. – Torino).

La descrizione contemporanea di un’antica elezione dogale dà per scontata l’iniziativa dei nobili più influenti, e mette in risalto l’ispirazione divina che era sentita come un elemento capitale del processo di scelta. Alla notizia della morte del doge, nel 1071, innumerevoli imbarcazioni cariche di veneziani provenienti da tutto il territorio lagunare si adunarono fra la chiesa del vescovo a Castello e il monastero di San Nicolò al Lido. Fra chiesa e abbazia si levarono fervide preghiere perché Dio desse ai veneziani la pace, e un doge bene accetto a tutti. A un tratto nella moltitudine risuonò un grido generale: «Vogliamo e eleggiamo Domenico Silvo». Subito una folla di nobili portò innanzi il designato in un battello che mosse verso San Marco alla testa di una processione di barche, fra un grande schiumar di remi e grida di plauso popolare, mentre il clero cantava il Te Deum e le campane di piazza suonavano a stormo. Entrato umilmente in San Marco il doge neoeletto prese dall’altare il bastone simbolo del suo ufficio, e quindi si recò a Palazzo Ducale per ricevere il giuramento di obbedienza del popolo adunato.

Si trattò di un broglio (?) che con l’esercizio democratico dell’Arengo appariva un po’ strabico. La definizione di Broglio (= Intrigo, maneggio) prende quasi sicuramente origine dal brolo che occupava la metà occidentale dell’attuale piazza San Marco, divisa dalla porzione verso la basilica dal rio Batario, interrato nel XII secolo sotto il doge Ziani. L’area viene indicata da Flaminio Corner come il luogo «ove solevano i Nobili aspiranti a qualche carica ridursi ad implorare i suffragj.»

Nel 1268, fu approvato un meccanismo molto articolato (un sistema binario: sorteggio-elezione) per l’elezione del doge, che durò fino al 1797, quando la repubblica cadde per l’operato disinibito di Napoleone Bonaparte.

La trafila burocratico-elettiva prevedeva nove scrutini alternati a sorteggio, e procedeva con il seguente iter:

  • Nella chiesa di San Marco veniva scelto il “ballottino”, cioè un bambino tra gli otto e i dieci anni che aveva il compito di estrarre le ballotte (quasi tutte d’argento, ma un certo numero dorate), ossia le palle utilizzate per le votazioni. Solo in trenta di esse (le dorate) veniva inserito un fogliettino con la scritta “elector”. I trenta sorteggiati non dovevano avere tra loro legami di parentela.

  • A quel punto fra i 30 prescelti ne venivano sorteggiati 9.

  • I 9 sorteggiati nominavano 40 membri che, con un nuovo sorteggio, venivano ridotti a 12.

  • I 12 sorteggiati ne eleggevano 25, che venivano nuovamente ridotti a 9.

  • I 9 sorteggiati dovevano scegliere 45 elettori, che, dopo un’ulteriore estrazione, venivano ridotti a 11.

  • Gli 11 sorteggiati dovevano eleggere i 41 elettori del doge, ciascuno dei quali doveva vedersi attribuire almeno 9 voti.

  • Questo nuovo organismo, noto anche come Eccellentissimo Quarantun, si riuniva a porte chiuse a Palazzo Ducale e provvedeva, previa maggioranza di 25 voti, all’elezione del doge, che doveva essere in ultima battuta approvata dall’assemblea popolare.

La motivazione principale per cui venne adottata questa procedura così complessa era legata all’intento di evitare clientelismi ed episodi di corruzione: si voleva che colui che ricoprisse la carica dogale agisse in maniera limpida, salvaguardando gli interessi generali della Serenissima, invece di quelli legati a poche famiglie patrizie.

In tutte le fasi della procedura elettorale veneziana troviamo indizi analoghi del timore di frodi: segno evidente che gli onori erano oggetto di intensa competizione. Sfortunatamente questo complesso artificio non bastò a fermare la corruzione: nel corso del tempo vennero escogitati trucchi per violare il sistema.

La figura del «Balotin del Doxe»; merita un approfondimento per specificarne meglio le funzioni e i privilegi ad essa associati.

Il balotin (in italiano ballottino) era un bambino, in genere di età compresa tra gli 8 e i 10 anni, che veniva scelto per estrarre le palle (balote) utilizzate per le votazioni.

La scelta del balotin avveniva in modo casuale, ed era compiuta dal Consigliere più giovane del Maggior Consiglio, che, dopo aver pregato nella Basilica di San Marco, usciva in Piazza e accompagnava a Palazzo Ducale il primo bambino in cui si fosse imbattuto. Con il tempo, non fu raro il caso che “primo bambino” non fosse affatto una scelta causale, ma un incontro costruito con… “discreta maestria”.

Per far sì che l’estrazione degli elettori avvenisse regolarmente, il ballottino veniva prima bendato e poi fatto avvicinare all’urna (chiamata Concolo) utilizzata per le votazioni, dalla quale estraeva la “balota” per mezzo di un’apposita manina. Segno evidente che in precedenza c’erano stati casi di brogli. L’utilizzo della manina fa venire come non molti anni fa, a Napoli, il bambino che estraeva dall’urna la “pallina” contenente il numero del Lotto, era addestrato a prelevare quella/e che preventivamente erano state raffreddate in frigorifero.

Se pensiamo che, una volta adempiuti ai suoi doveri, il ballottino venisse congedato come se niente fosse, siamo fuori strada. El Balotin restava in carica fino alla morte del doge. Questo bambino aveva diritto a una serie di privilegi che lo portavano a vivere un’esistenza di gran lunga migliore in confronto alla maggioranza dei veneziani dell’epoca.

Vale la pena elencare i benefit più rilevanti; [ IL BALOTIN DEL DOSE – Visit Venezia – Storia di Venezia ] in particolare:

  • veniva sovvenzionato negli studi, potendo godere di un alto livello d’istruzione in una società nella quale l’analfabetismo era molto diffuso;

  • riceveva in dono vestiti di pregiata fattura;

  • era investito della carica di Notaio Ducale e seguiva il doge in tutte le sue uscite pubbliche;

  • alla morte del doge (che aveva contribuito, seppur involontariamente, a fare eleggere), riceveva 100 ducati di oro zecchino;

  • infine, terminate le sue funzioni di Notaio ducale, veniva stabilizzato con un incarico di alto livello presso la Cancelleria di Stato.

Venendo ai giorni nostri, esiste un magnifico proverbio attribuito spesso a Gandhi, ma che in realtà proviene dall’Africa centrale: “Tutto ciò che fai per me senza di me, lo fai contro di me“. È una sintesi della tragedia della democrazia rappresentativa elettiva di oggi: pur con le migliori intenzioni, quando si dirige il popolo senza farlo partecipare, lo si dirige solo a metà.

Tanto per cominciare in tutto l’ordinamento italiano manca lo strumento del Recall [ Elezione di richiamo – Wikipedia ], ovvero un’elezione revocatoria (chiamata anche referendum revocatorio, petizione di richiamo o richiamo rappresentativo) che è una procedura mediante la quale gli elettori possono rimuovere un funzionario eletto all’incarico attraverso un referendum prima della fine del mandato di quel funzionario. E questo malgrado «Ce l’abbia detto l’Europa…», per mezzo della Carta Europea dell’Autonomia Locale, entrata in vigore il 1° settembre 1988.

Nonostante le differenze notevoli tra gli autori, questi concordano nel ritenere che il sorteggio sia più democratico dell’elezione e che una combinazione dei due metodi abbia degli effetti positivi su una società. Le due procedure, quella aleatoria e quella elettorale, possono quindi rafforzarsi reciprocamente.

Uno dei tanti studiosi del settore è lo statunitense James S. Fishkin (nato nel 1948) che detiene la Cattedra Janet M. Peck in Comunicazione Internazionale presso il Dipartimento di Comunicazione della Stanford University, dove è professore di comunicazione e professore di scienze politiche. È anche direttore del Center for Deliberative Democracy di Stanford [ CDD – Centro per la Democrazia Deliberativa (stanford.edu) ]. Egli teorizza più metodi di consultazione: giurie cittadine, conferenze di consenso, sondaggi deliberativi, cellule di pianificazione, dibatti pubblici, citizens assemblies (“assemblee cittadine”), People’s Pailiaments (“parlamenti popolari”) o town hall meetings (“assemblee pubbliche locali”), dove gli organizzatori hanno sempre ritenuto utile ascoltare la voce del cittadino tra le elezioni. La democrazia rappresentativa elettiva si arricchisce così di una forma di democrazia rappresentativa aleatoria.

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

L’opinione pubblica non ha fiducia nelle istituzioni

In evidenza

di Camilla Badoer La difesa del valore della democrazia dovrebbe essere la massima priorità del Parlamento europeo, afferma l’agenzia ufficiale di sondaggi d’opinione dell’Unione europea (Eurobarometro) nell’autunno 2021. [ EP Autumn 2021 Survey: Defending Democracy | Empowering Citizens – febbraio 2022 – – Eurobarometer survey (europa.eu) ]

Un terzo degli intervistati (32%) ritiene che la democrazia sia il valore più importante da difendere, seguita dalla libertà di parola e di pensiero (27%) e dalla protezione dei diritti umani (25%). L’indagine 96.2 è stata condotta da Kantar Public tra il 1° novembre e il 2 dicembre 2021 in tutti i 27 Stati membri dell’UE. Ma per quanto riguarda le istituzioni democratiche, è chiaro che sono i partiti politici a confrontarsi con la crisi di fiducia più grave: su una scala da 1 a 10, essi ottengono dai cittadini europei (già nel 2012) il voto medio di 3,9, seguiti dai governi (4 su 10), dai parlamenti (4,2 su 10) e dalla stampa (4,3 su 10).

Chi segue le vicende politiche italiane sa che i dati su esposti sono ancora più negativi. L’amara constatazione: la gente, a contatto con questa democrazia, impara che, rispetto all’ideale, la pratica è meno rosea, soprattutto se la democratizzazione va di pari passo con la violenza, la corruzione e la recessione economica. Si ha l’impressione che il sistema si regga solo grazie al “dominio” dell’informazione mainstream.

Per esempio, il nostro sistema di gestione e finanziamento della Rai-radiotelevisione italiana (circa 1.630 milioni di euro all’anno) è erede di un mondo che non esiste più, quando i partiti erano espressione viva dei cittadini e tutto passava attraverso essi. Perché non è stato rispettato l’esito positivo del Referendum abrogativo sulla privatizzazione della RAI che si è svolto il 11 giugno 1995? Oggi i partiti sono gruppi di potere e di “clienti” che, a malapena votati dalla maggioranza degli elettori (circa il 50% degli aventi diritto diserta le urne), parlano a se stessi, tant’è che anche le massime cariche esecutive delle istituzioni sono affidate a persone a loro esterne (Mario Draghi docet) e che, proprio per questo, sembrano ispirare maggiore fiducia e credibilità… anche agli stessi partiti.

In una panoramica dei livelli di appartenenza ai partiti nelle democrazie europee alla fine del primo decennio del ventunesimo secolo vengono discusse le implicazioni dei modelli osservati nei dati sui membri, e si suggerisce che l’adesione abbia ormai raggiunto un riflusso così basso da non costituire più un indicatore rilevante della capacità organizzativa del partito.

Il declino dell’appartenenza al partito nell’Europa contemporanea è oggetto di ricerca già nel 2011. In Austria e Norvegia si registrava un’emorragia di iscritti che supera il 10%, in altri casi si avvicina al 5%. Tutti i paesi, a eccezione del Portogallo, della Spagna e della Grecia (che conoscono la democrazia solo dagli anni settanta), registrano un notevole abbandono degli aderenti. I cittadini iscritti a un partito hanno un calo di un milione o più in Gran Bretagna, in Francia e in Italia, di circa mezzo milione in Germania.

I partiti politici hanno perso più della metà dei loro iscritti dal 1980, in Svezia, in Irlanda, in Svizzera e in Finlandia. Sono dei dati sorprendenti, che indicano che la natura e il significato dell’appartenenza a un patito politico sono profondamente cambiati. [ vedere: Andare, andare, . . . andato? Il declino dell’appartenenza al partito nell’Europa contemporanea – VAN BIEZEN – 2012 – European Journal of Political Research – Wiley Online Library ].

Oggi, i due terzi, se non addirittura i tre quarti, dei cittadini intervistati provano diffidenza verso le istituzioni del loro stesso ecosistema politico. E anche se una cittadinanza critica presuppone un certo scetticismo, è lecito chiedersi in quali proporzioni questa sfiducia possa crescere ancora, e a partire da quale livello una sana diffidenza si trasformi in vera avversione.

Ci sono studi che mostrano, al contrario, che l’attenzione per la politica è cresciuta: le persone affrontano l’argomento più spesso che in passato con i loro amici, familiari o con i colleghi. Ma i politici, per lo più, partono dal principio che i cittadini hanno valori diversi e meno elevati dei loro.

A questo punto sia detto en passant: ispirano umana commiserazione quei pseudo autonomisti, federalisti e ora indipendentisti che ancor oggi promuovono inconcludenti partiti che ben potrebbero figurare tra gli ispiratori del cantautore Gino Paoli. «Eravamo quattro amici al bar / Che volevano cambiare il mondo / Si parlava con profondità di anarchia e di libertà»

In quasi 50anni (i primi rappresentanti entrano in Parlamento nel 1983) e con centinaia di eletti all’Europarlamento, al Senato, alla Camera, nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni, i risultati sul piano dell’autonomia e del federalismo sono stati zero. Eppure c’è ancora qualche pseudo leader indipendentista (veneto in particolare) che aspira a farsi eleggere nelle istituzioni italiane. Ovvero un ossimoro, una lucida pazzia, considerando che non anticipano come dovrebbe essere la nuova e credibile entità indipendente, né mostrano d’avere i necessari appoggi internazionali.

C’è tutto un mondo di attivisti che sembra sconosciuto non tanto ai predetti pseudo autonomisti, federalisti e indipendentisti di cui sopra, ma anche a quel cittadino medio che lUNESCO definisce, dal 1984, analfabeta funzionale, ossia «la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità.», e per semplicità copieremo un elenco (non esaustivo) pubblicato nel libro del fiammingo David Van Reybrouck: “Contro le elezioni – perché votare non è più democratico” – @ Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano – Prima edizione in “Serie Bianca” settembre 2015:

Stiamo distruggendo la nostra democrazia limitandola alle elezioni, quando in realtà le elezioni stesse non sono state inventate come uno strumento. Democratico. […] Oggi possiamo stupirci che la democrazia ateniese, al suo apogeo, abbia potuto funzionare sulla base di un principio così singolare come il sorteggio, ma per i contemporanei è perfettamente naturale. Aristotele, in particolare, scriveva senza mezzi termini: «Cito come esempio le magistrature: il sorteggio è considerato democratico, l’elezione oligarchica.» […]

Certe organizzazioni di rinnovamento democratico sono particolarmente attive su internet. In particolare, penso ai seguenti siti internazionali:

  • OpenDemocracy.net: sito indipendente senza fini di lucro che presenta spesso dei contributi di alto livello.

  • Participedia.net: il principale sito internazionale sulla democrazia partecipativa.

  • Sortition.net: portale che fornisce una serie di testi storici e numerosi link utili.

  • Equality by Lot (equalitybylot.wordpress.com): blog molto ricco, con una comunità online molto attiva di “kleroteriani” che si consultano sul sorteggio.

Inoltre, sempre più paesi occidentali hanno una piattaforma nazionale d’innovazione democratica, con dei siti internet spesso molto interessanti:

  • The Jefferson Center for New Democratic Processes (Usa): il nome parla da sé.

  • Center for Deliberative Democracy (Usa): legato all’Università di Stanford, è il centro di James Fishkin, buone informazioni sui sondaggi deliberativi.

  • AmericaSpeaks e GlobalVoices (Usa): organizzano dei forum di cittadini su larga scala, siti ben forniti.

  • NewDemocracy.com.au (Australia): informazione chiara e abbondante sul sorteggio.

  • We the Citizens (Irlanda): sito di un’iniziativa cittadina di grande levatura in Irlanda.

  • 38Degrees (Regno Unito): organizzazione influente di partecipazione cittadina, più di un milione di aderenti.

  • Mehr Demokratie (Germania): organizzazione creata venticinque anni fa, ma sempre combattiva, milita in favore del diritto di iniziativa e dei referendum.

  • Initiative für mehr Demokratie – Iniziativa per più democrazia, Bolzano, Italy Iniziativa per Piu’ Democrazia, Initiative Fuer… – Bolzano, Bozen, Via Argentieri, Silberga… (Recensioni, indirizzo e numero di telefono) (unilocal.net) associazione figliata dalla omonima tedesca. Attiva (con risultati lusinghieri) da oltre 25 anni sul territorio provinciale di Bolzano, e in misura minore su quello trentino. [N.d.A.]

  • Democracy International (Ue): organizzazione paneuropea con base in Germania, che ha difeso per anni l’iniziativa cittadina europea.

  • Teknologi-ràdet (Danimarca): Consiglio danese per la tecnologia, all’origine di numerosi processi partecipativi commentati in inglese sul sito.

  • NetwerkDemocratie (Olanda): piattaforma olandese per il rinnovamento governativo, in particolare con l’utilizzo di tecnologie digitali.

  • G1000 (Belgio): sito web quadrilingue dell’omonima iniziativa cittadina, che fa parte della Fondazione per le generazioni future.

  • Fondation Roi Baudouin (Belgio): rinomato attore internazionale, in particolare per il suo progetto pluriennale sulla governance.

  • iDemocracia Real Ya! (Spagna): organizzazione di attivisti a favore della democrazia, nata dai movimenti di protesta popolare del marzo 2011.

  • Association pour une démocratie directe (Francia): sito internet di un’organizzazione giovane e dinamica, che promuove in Francia una maggiore trasparenza.

  • Le Plan C (Francia): sito web dell’infaticabile Étienne Chouard che invoca da anni un rinnovamento politico; la più importante piattaforma in Francia per il dibattito sul sorteggio.

E.mail: accademiadegliuniti@goldnet.pro

Il declino dell’Occidente tra democrazia e totalitarismi

Lo scrittore statunitense Charles Bukowski diceva: «La differenza tra Democrazia e Dittatura è che in Democrazia prima si vota e poi si prendono ordini; in una Dittatura non c’è bisogno di sprecare il tempo andando a votare.»

Dimostrata la malafede di chi per decenni si è riempito la bocca dellamagicaparola democrazia, molti di noi ora credono che non stiamo in questo mondo per rimanere a guardare. Non è vero che ciò che vediamo non ci riguarda, tanto meno è utile omologarci alla massa. Molti di noi vogliono vivere con coraggio e coerenza.

Tuttavia è difficile vivere coerentemente la democrazia senza avere gli strumenti per esercitarla. Anzi quando tali dispositivi sono completamente stravolti: i referendum consultivi per esempio; oppure essendo liberi di votare, ma nell’impraticabilità di revocare anzi tempo (recall) gli eletti.

E se questo è riscontrabile a livello locale e nazionale, c’è da rimanere sgomenti nel constatare l’esistenza di un potere finanziario che attraverso un controllo capillare della società rende possibile quasi ogni scelleratezza. Compreso un processo di deindustrializzazione dell’area EU in costante crescita, e un’economia sempre più precaria.

Se altrove i totalitarismi la fanno da padrone, nel cosiddetto Occidente l’«Impero» ha messo a punto quelle che convenzionalmente vengono definite le tecniche di colpo di stato alla Maidan”. Non esattamente un processo democratico.

Ma torniamo per un momento alla libertà di voto.

Lo scrittore Leonardo Sciascia, inLe parrocchie di Regalpetra (© Laterza, 1956) scrive:Mi viene l’idea di far loro eleggere il capoclasse, e tutti pongono la propria candidatura. Io spiego il sistema, di come debbono concentrare i loro voti, della metà più uno eccetera. Tempo perso. Al primo scrutinio risulta che ciascuno ha votato per sé. Pare si rendano conto che a questo modo non si può. Ma il risultato della seconda votazione differisce dal primo soltanto per il fatto che tre o quattro voti si concentrano su un solo nome. Alla terza i voti concentrati diventano cinque o sei. Dopo mezza giornata di votazioni vien fuori un capoclasse eletto con appena la metà più uno dei voti.


Dopo qualche giorno tutti a gran voce mi propongono di destituirlo; il ragazzo si riteneva investito dell’incarico di picchiare i compagni, anche fuori della scuola; con minacce e piccole torture chiedeva tributi. Lo dichiariamo decaduto. La destituzione lo abbatte, gli mette dentro rancore. Non credo mi verrà più l’idea di far eleggere un capoclasse.”


Preso atto del pensiero di Sciascia, il neonato 2024 è “il più grande anno di elezioni della storia”, come ha recentemente titolato l’autorevole settimanale britannicoEconomist”. L’elenco completo degli appuntamenti elettorali dell’anno vede coinvolti 76 Paesi in cui tutti gli elettori avranno la possibilità di esprimere il proprio voto. Più di 4 miliardi di persone, oltre la metà della popolazione mondiale, saranno chiamate a esprimere un voto: non solo dunque per gli attesi rinnovi del parlamento europeo in giugno, e della presidenza Usa in novembre o quello, più blindato oltre che prevedibile, del leader del Cremlino, in marzo. [ https://www.agi.it/estero/news/2023-12-30/anno-2024-elezioni-mondo-24626572/ ]

Ma…

Le elezioni sono spesso contestate in tutto il mondo. E poi non è possibile sapere in anticipo quali elezioni saranno contestate o meno.

Solo qualche esempio:

  • nel 2019, Martin Fayulu ha contestato i risultati delle elezioni presidenziali in Congo, chiedendo un riconteggio alla Corte Costituzionale.
  • le elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti sono state contestate dal presidente uscente Donald Trump.
  • alla fine di novembre 2023 nei Paesi Bassi l’estremista, anti-islamico ed euro-scettico, Geert Wilders stravince le elezioni, ma non dovrebbe avere i numeri per fare un governo. Si profila una coalizione di centro sinistra, come in Polonia e Spagna.

In Italia (lo abbiamo già scritto) la partitocrazia è sempre meno legittimata dal voto, e cerca ora di abolire i limite ai mandati negli Enti locali e regionali. Salta agli occhi il pericolo: che le decisioni politiche seguano la vecchia logica del pensiero competitivo. Governo contro opposizione. Ciò si traduce in una continua rivalità improduttiva, che esclude metà della popolazione votante e i suoi rappresentanti eletti. L’opposizione reciproca incondizionata fa sprecare molto tempo, energie e idee preziose. Tutto ciò non è al servizio del bene comune della popolazione.

I cittadini più attenti e sensibili si aspettano che sia abbandonato questo stile politico obsoleto e venga abbracciato un nuovo modo di lavorare, basato sulla collaborazione e su una politica che guardi questioni concrete. Ivi compresa la sostituzione delle elezioni con il sorteggio di cui abbiamo già abbondantemente trattato.

I cittadini si aspettano una politica orientata alla soluzione dei problemi, una composizione del governo nazionale e locale in cui siano rappresentate tutte le forze politiche. A seconda della questione, inoltre, devono essere possibili anche maggioranze variabili. Senza vincoli di frazione, senza giochi di potere improduttivi e con strumenti ben funzionanti che permettano e facilitino la reale partecipazione e la co-decisione democratica diretta da parte del popolo sovrano.

Le personalità più sensibili sentono la necessità di un diverso costrutto politico-istituzionale, ben coscienti che: «Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno».

Con questa affermazione, infatti, il letterato e diplomatico francese Paul Claudel, sottolineava come gli esseri umani nel tentativo di rendere concrete, grazie al progresso della scienza, architetture sociali ideali tese alla prosperità collettiva, finiscano inevitabilmente per dare vita a realtà cupe e antidemocratiche. Si osservi come il potere politico-finanziario lascia emergere idee e personaggi solo per svilirli e depotenziarli. Vedasi il fasullo federalismo di Umberto Bossi e la sua Lega Nord, oppure la presunta democrazia diretta predicata e poi snaturata dal M5S.

Infine, oggi assistiamo alla tendenza degli Stati e delle loro organizzazioni che tendono a farsi sempre più grandi. In realtà dovremmo in proposito recuperare il pensiero di Don Lorenzo Milani (Profeta in Barbiana, 31 luglio 1966): «Gli imperialismi? Ci vorrebbero ventimila sammarini per eliminarli. Il mondo cambierebbe radicalmente in meglio, sarebbero protette le culture e le identità. Sostanzialmente sarebbe protetta anche la pace, perché le guerre diverrebbero guerricciole.»

Un modo empirico potrebbe essere rappresentato dal recupero dello spirito originario della Carta Europea delle Autonomie Locali, capziosamente stravolta dalla partitocrazia.

Enzo Trentin